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La tecnica del siero innesto rende la mozzarella più digeribile

Il recupero della tecnica di produzione del siero innesto è stato il tema di “Ritorno al genuino”, convegno organizzato dal Consorzio Caseario di Gioia del Colle. Per tornare a una mozzarella biologica, più digeribile

 
25 giugno 2015 | 14:58

La tecnica del siero innesto rende la mozzarella più digeribile

Il recupero della tecnica di produzione del siero innesto è stato il tema di “Ritorno al genuino”, convegno organizzato dal Consorzio Caseario di Gioia del Colle. Per tornare a una mozzarella biologica, più digeribile

25 giugno 2015 | 14:58
 

“Ritorno al genuino” un dialogo pubblico organizzato dal Consorzio Caseario di Gioia del Colle con alcuni opinion leader sulle prospettive per valorizzare una tecnica di produzione, quella del siero innesto, utilizzata nel passato e in parte abbandonata preferendo sistemi che accelerano i tempi di lavorazione e riducono i costi a scapito della digeribilità e palatabilità della mozzarella.



Il siero innesto è la più tradizionale delle tecniche di colture lattiche naturali che abbiamo in Italia e soprattutto l’unica autorizzata da chi fa produzione biologica, in quanto i disciplinari di produzione, predisposti dai consorzi di tutela prevedono specificatamente l’impiego di colture lattiche caratterizzate da “microflore autoctone”, ovvero provenienti dalla zona di produzione. La mozzarella "industriale", tendenzialmente più ricca di lattosio, con un sapore più anonimo ed una consistenza più morbida, è facilmente riconoscibile in quanto nell'elenco degli ingredienti figura la dicitura “correttore di acidità".

Il Consorzio di Gioia del colle, nato nel 2013 presieduto da Teresa Curci, al momento riunisce otto caseifici con l’obiettivo ambizioso di riportare l’arte casearia gioiese ai livelli degli anni 60, quando Gioia del Colle era l’indiscussa capitale della mozzarella, recuperandone l’artigianalità, il sapere ed il sapore antico. Il Consorzio con la consulenza di Gianni Mottola, maestro assaggiatore Onaf (Organizzazione nazionale assaggiatori formaggio), ha redatto un disciplinare di produzione per mozzarella nelle varianti nodini e trecce, burrata e scamorza che devono essere prodotte con latte raccolto in Puglia e Basilicata, utilizzando il siero innesto e modellate a mano. Le confezioni poi devono riportare il simbolo del Consorzio.

Gioia del colle (Ba), una cittadina federiciana a metà strada fra il mar Jonio e l’Adriatico, in posizione favorevole per le vie di comunicazione, può contare, oltre alle bellezze paesaggistiche e quelle culturali, su alcune produzioni tipiche importanti per l’economia locale come la mozzarella, il vino Primitivo e i salumi. Le origini della mozzarella risalgono più o meno al periodo tardo medioevale, quando nelle masserie delle Murge baresi si cominciò a produrre questo formaggio, allora riservato al consumo familiare, ai padroni delle masserie ed agli ammalati, utilizzando le bovine dell’antica razza podolica, introdotta in Italia all’incirca nel 452 d.C. al seguito degli Unni.



Alla fine dell’Ottocento un commerciante di vino introdusse la razza bruno-alpina dalla Valtellina, particolarmente adatta alla produzione di latte, che si è perfettamente integrata ed adattata al territorio. La nascita dei caseifici si fa risalire agli inizi del Novecento e la diffusione e commercializzazione di questo particolare formaggio veniva affidata ai “mozzarellari”, ovvero dei commessi ambulanti che viaggiavano, con le loro grandi scatole di latta zincata per mantenere la temperatura adeguata alla conservazione, sulla tratta Bari-Taranto per vendere il prodotto acquistato dai casari o sostavano alla stazione dei treni. I latticini di Gioia del Colle hanno rappresentato per anni una vera eccellenza conosciuta in quasi tutte le città italiane e Gioia del Colle era una sosta o una deviazione obbligata per il loro acquisto.

Una testimonianza della storia casearia di Gioia del Colle la troviamo nel museo della Civiltà contadina ed industriale, una straordinaria raccolta di testimonianze storiche ed etnografiche del mondo rurale pugliese. Un vero archivio, una collezione privata, di singolare rarità e sicuramente unica per il numero di oggetti, tutti funzionanti, dal più piccolo trapano per riparare i piatti di creta al gigantesco mulino a macina in pietra, raccolti e restaurati dallo stesso ideatore, Vito Santoiemma.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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