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L’Italia punta ai mercati islamici Un giro d’affari da 3mila miliardi l'anno

L’economia italiana trarrebbe giovamento dalle esportazioni nei mercati islamici. Se tutte le imprese fossero certificate Halal (idonee a commercializzare sul mercato islamico), in 18 mesi l'Italia uscirebbe dalla crisi. Sono 220 le imprese italiane che in 3 anni si sono certificate (altre 60 stanno per concludere l'iter), vedendo salire il fatturato

 
25 marzo 2014 | 17:07

L’Italia punta ai mercati islamici Un giro d’affari da 3mila miliardi l'anno

L’economia italiana trarrebbe giovamento dalle esportazioni nei mercati islamici. Se tutte le imprese fossero certificate Halal (idonee a commercializzare sul mercato islamico), in 18 mesi l'Italia uscirebbe dalla crisi. Sono 220 le imprese italiane che in 3 anni si sono certificate (altre 60 stanno per concludere l'iter), vedendo salire il fatturato

25 marzo 2014 | 17:07
 

«L'Italia ha tutte le carte in regola per diventare il Paese leader nelle esportazioni verso il mondo islamico, e noi vogliamo offrire a istituzioni e imprese tutto il supporto perché questo accada». Lo sottolinea all'Ansa Sharif Lorenzini, presidente della sezione italiana di Halal International Autority (Hia), l'unico organismo riconosciuto per la certificazione di qualità dei prodotti secondo gli standard islamici.



A pochi giorni dal World Halal Food Council, che radunerà per la prima volta in Italia tutti i rappresentanti delle autorità Halal mondiali e gli esponenti dei 57 Stati islamici dell'Organization for Islamic Cooperation (Oic), a Roma dal 27 al 29 marzo prossimi, Lorenzini illustra le opportunità per l'economia italiana nei mercati islamici. «Stiamo parlando - spiega - di un giro d'affari da 3mila miliardi l'anno, in crescita di circa il 15% ogni anno tra i due miliardi di musulmani nel mondo».

Un tema, quello del cibo halal, a cui Italia a Tavola già più di due anni fa ha dedicato un servizio speciale e alcuni approfondimenti.

Per aprire le porte a questo potenziale, le imprese italiane di ogni tipo, dal cibo alla cosmesi e all'abbigliamento, devono produrre secondo standard previsti dalla Sharia, cioè dalla legge islamica che stabilisce cosa è “Halal”, quindi ammesso per il consumo da parte di un musulmano, e cosa è “Haram”, ovvero proibito (ad esempio suino e alcol).

«In realtà - dice Lorenzini - si tratta di un ritorno alla natura, alla semplicità nella produzione, e senza alcun costo aggiuntivo per l'azienda che si adegua. E le imprese italiane sono agevolate in questo processo poiché gli standard di qualità, specialmente nel cibo e nella cosmesi, sono già molto elevati». Lo sanno bene le 220 imprese italiane che in tre anni si sono certificate (altre 60 stanno per concludere l'iter Halal), vedendo "salire il proprio fatturato".

«Di queste aziende - spiega Lorenzini - 150 hanno cominciato a certificarsi perché hanno avuto un ordine dal mondo islamico. Sono partite con una percentuale di certificazione tra il 3% e il 5%, ma in tre anni sono arrivati al 60-70%. Parecchie stavano per chiudere, invece ora non riescono a far fronte da sole a tutte le richieste».

Secondo le stime di Lorenzini, «le esportazioni italiane verso i mercati islamici, prevalentemente Malesia, Indonesia e Sud-Est asiatico, ma anche America e Europa dove ci sono molti musulmani, ammontano a 15-16 miliardi l'anno». Ma è «in grande crescita il giro d'affari anche tra i cinque milioni di musulmani in Italia».

«Sono moltissimi - aggiunge Lorenzini - i non musulmani che hanno compreso come Halal equivalga a maggiori controlli e qualità, e quindi comprano solo prodotti certificati da noi». Nei 57 Stati islamici, evidenzia Lorenzini, «possono entrare solo prodotti Halal: per questo da quando siamo in Italia, da tre anni, il mondo islamico ha trovato per la prima volta un interlocutore e le imprese italiane hanno cominciato ad aprirsi a nuove opportunità: se tutte fossero certificate Halal in 18 mesi l'Italia uscirebbe dalla crisi».

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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