Il 'fenomeno” del cibo halal e kosher cresce a ritmo costante. Il suo volume d'affari supera i 3,6 miliardi di euro per una crescita del 12% all'anno, conquistando fette di mercato anche tra i non religiosi. Infatti, nell'Italia di oggi chi compra alimenti kosher (prodotti nel rispetto delle regole della Torah ebraica) e cibi halal ("leciti", ovvero offerti dalla Provvidenza di Dio come recita il Corano per i musulmani) lo fa (almeno 4 volte su 10) sia per una ragione di gusto che di sicurezza. Ecco spiegato il perché il mercato si sia aperto all'esercito di salutisti amanti del leggero salame di capra, ai vegetariani, agli allergici al lattosio o al glutine, o più semplicemente agli amanti del cibo etnico. Si aggiunge il fatto che la certificazione religiosa sia diventata sinonimo di controllo e genuinità.
Certificare significa, infatti, garantire genuinità, salubrità, assenza di additivi vietati, garantire certezza che le carni provengano da animali uccisi secondo il rito prescritto, controllare che le gelatine presenti in molti alimenti, caramelle e non solo non vengano dal proibitissimo maiale, che i coloranti usati nelle bibite, come nelle stoffe, non derivino da insetti come la cocciniglia (usata da secoli per il rosso carminio).
A favorire certamente la diffusione di questa 'cultuta alimentare” è il numero dei musulmani in Europa (ben 35 milioni e 4 milioni quelli residenti stabilmente in Italia, immigrati o nativi di prima o seconda generazione). Fino a poco tempo fa era difficile trovare nel nostro Paese ristoranti o menu halal, come avviene in Germania, in Belgio o in Francia, e tantomeno appositi scaffali nei supermercati con prodotti di purezza assoluta. La spinta era frenata in Italia, nonostante l'interesse della Grande distribuzione, non da un problema di costi ma dalla difficoltà di garantire una certificazione uniforme e affidabile. Difficoltà che progressivamente sta sparendo, grazie alla costituzione di organi ed enti di certificazione. Citiamo ad esempio, la neonata Halal Italy, l'unico organismo italiano aderente all'Ihi (International Halal integrity alliance), l'Orthodox Union, l'organizzazione mondiale maggiormente rappresentativa in termini di certificazione Kosher, e l'Italy Kosher Union.
Sono proprio i dati a parlare. Secondo Stefano Hamid di Halal Italia nel 62% dei casi i cibi certificati da rabbini e imam sono scelti per la loro qualità, sono più salutari per il 51% dei clienti e più sicuri per il 34%. A dimostrarlo il moltiplicarsi delle macellerie che praticano la macellazione rituale, gli scaffali dedicati in alcuni supermercati e le imprese che aprono negozi certificati su web. Un affare da 56 miliardi di euro l'anno solo in Europa, che in Italia apre il mercato delle esportazioni a diverse aziende: dall'olio alle conserve, fino ai vini e alle grappe kosher che arrivano nei negozi di Manhattan.
«Il giro d'affari dei prodotti halal - ha sottolineato il presidente di Halal Italy Sharif Lorenzini - che coinvolge altri settori come il cosmetico, il farmaceutico, i trasporti, la logistica, la distribuzione, i servizi, il turismo, l'edilizia, gli arredi e l'industria meccanica, cresce ogni anno nel mondo del 20%. Le nostre imprese possono portare il made in Italy nei Paesi emergenti di fede islamica e in Medio Oriente, nel Golfo Persico e nell'Est Asiatico. In Italia, spesso, manca ancora la consapevolezza delle opportunità offerte da una richiesta in crescita». E proprio per spingere i produttori italiani grandi e piccoli a fare sistema, dotandosi di certificazione, sono state create due iniziative: Halal Italy Club e Halal Italy Union.
Il rituale della carne
che piace a Dio
Per ottenere la carne che piace a Dio occorre eseguire una macellazione rituale-religiosa ben precisa. Iniziamo col sottolineare che Islam ed Ebraismo prescrivono che gli animali siano macellati senza preventivo stordimento, anche attraverso tutta una serie di regole affinché la carne sia considerata commestibile. Per quanto riguarda i precetti halal, è fondamentale che tutti gli animali e il bestiame siano in salute e che in attesa della macellazione siano trattati accuratamente. L'uccisione deve essere effettuata da un imam (musulmano adulto purificato) in locali, con utensili e personale separati e diversi da quelli impiegati per l'uccisione non halal (impura).
Parallelamente, il rituale della macellazione degli animali nell'Ebraismo va effettuata da un rabbino competente. Prevede l'uccisione dell'animale con un solo taglio alla gola eseguito con un coltello affilatissimo e senza alcun difetto o sgraffio sulla lama, in modo da provocarne l'immediata morte e il completo dissanguamento. Poi si esaminano gli organi interni per controllare che non ci siano difetti o tracce di malattia che lo rendano impuro. Essendo vietato il consumo di sangue, dopo la macellazione è necessario che tutto il sangue rimasto sulla carne sia passato e lavato con acqua e sale per non meno di venti minuti e non più di un'ora.
Dove e come mangiare e alloggiare 'lecito”
Determinante per la diffusione del fenomeno halal e kosher è la presenza di ristoranti, negozi e anche strutture ricettive 'lecite”. Nelle principali città italiane è praticamente impossibile non trovare punti di ristoro dove gustare prodotti puri. Citiamo, ad esempio, il ristorante pariolino Il Ceppo, dove lo chef bengalese Kabir Hossain da 20 anni a Roma delizia i palati con specialità certificate halal (sempre rigorosamente biologiche), oppure lo strorico ristorante La Caverna situato nel centro di Milano. Un ristorante, per dirsi halal o kosher, non solo deve servire prodotti puri ma seguire tutta una serie di accortezze nella realizzazzione della ricetta e nei processi di servizio e conservazione tali da garantire la purezza dell'alimento.
A fornirci un'interessante testimonianza diretta di questo processo è uno degli agriturismi certificati kosher in Italia. Ci troviamo a Siena, precisamente all'Agriturismo San Fabiano dove Rachel, Filippo e David Fiorentini (nella foto accanto) accolgono i loro ospiti in un'atmosfera rispettosa dei dettami della Torah. «I nostri clienti - ci spiega Filippo Fiorentini - sono italiani e stranieri, in particolare d'estate vengono dagli Stati Uniti e da Israele intere famiglie che affittano il podere per una o più settimane e vogliono mangiare kosher. Sotto la sorveglianza del rabbino capo e del capoculto di Siena cuciniamo piatti kosher e serviamo vini del Chianti kosher».
«Kosher - ci racconta Fiorentini - vuol dire che un rabbino certifica tutto il processo di produzione degli ingredienti, conservazione, cottura e presentazione. Questo si estrinseca in un marchio sui prodotti. Poi però la famiglia o il ristorante deve utilizzarli correttamente. Cioè, se una carne kosher viene tagliata con un coltello che non è purificato e con cui si era affettato del prosciutto, la carne perde la sua purezza. Quindi occorre avere in cucina due armadi, con due set di pentole e posaterie distinte, una per i latticini e una per la carne. Così anche il forno di cottura va purificato con la fiamma ossidrica per eliminare residui di grassi animali e per la preparazione degli alimenti è meglio usare piatti e vassoi di carta e di alluminio usa e getta».
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