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E se vendessimo il Colosseo per ridurre le tasse?

di Alberto Lupini
direttore
 
03 novembre 2014 | 18:37

E se vendessimo il Colosseo per ridurre le tasse?

di Alberto Lupini
direttore
03 novembre 2014 | 18:37
 

Visto che la politica in Italia la si fa ormai solo su Twitter, anche il ministro Dario Franceschini segue il premier Renzi e affida al web l’idea di ricostruire il pavimento del Colosseo, tolto un secolo fa dagli archeologi per ragioni di studio. Uno dei monumenti più visitati al mondo potrebbe così ritrovare almeno un’idea della sua funzione di arena, e non essere desolatamente solo lo scheletro dell’ex cava di pietra di molti palazzi romani.

Una proposta innovativa e che sosteniamo con decisione visti gli ottimi risultati degli interventi analoghi fatti recentemente sul Foro di Augusto. Un segnale preciso per uscire dall’immobilità e dai condizionamenti delle false tutele che hanno finora bloccato troppi progetti capaci di ridare slancio al nostro turismo culturale, che finora ha vissuto, malamente, solo di luce riflessa.

C’è chi si è spinto a definire “coraggiosa” la proposta di Franceschini, ma francamente questo ci pare eccessivo. Simili espressioni hanno però senso considerando l’immobilismo che ha finora caratterizzato la pessima gestione del patrimonio storico-artistico (e ambientale) del nostro Paese. Per non parlare della casta dei Soprintendenti, più usi a porre vincoli che non a favorire uno sviluppo del settore.

Coraggiosa, con la C maiuscola, potrebbe essere la scelta di valorizzare sul piano economico i nostri “giacimenti” culturali, per mutuare un’espressione di Gino Veronelli riguardo alla scarsa considerazione del nostro patrimonio enogastronomico. E non ci riferiamo tanto ad una destinazione più moderna di musei o edifici. Né alla stucchevole querelle sull’opportunità o meno di considerare nei dati del patrimonio dello Stato dipinti, chiese o castelli, così da abbassare il peso del debito pubblico.

Stante l’impossibilità oggi di dare un valore al patrimonio artistico italiano (il più ricco del mondo, al netto di ogni enfasi o sbruffoneria sulla percentuale di beni posseduti nel mondo...), e avendo ben presente che esso è costituzionalmente tutelato e in gran parte inalienabile (art. 9 della Costituzione), perché non cominciare a mettere sul mercato qualche opera d’arte o qualche sito? Perché non vendere quadri, statue o siti archeologici per pagare i debiti? Nelle famiglie sane in tempi di crisi si vendono i “gioielli di famiglia” per mandare i figli a scuola, pagare la casa o l’ospedale.

In questa logica perché non vendere addirittura il Colosseo a qualche plutocrate russo, ad uno sceicco o a un miliardario indiano? Si possono fare contratti di 99 anni e, in ogni caso, il “proprietario” non potrebbe spostare un sassolino e dovrebbe garantire la fruibilità al pubblico. Il vantaggio per i grandi ricchi della terra sarebbe di “possedere” beni unici e di disporre in maniera esclusiva dell’immagine. Il che vuol dire promuovere l’Italia.

Non sarebbe la truffa di Totò che nel ‘62 cercava di vendere la Fontana di Trevi per 10 milioni di lire. Si tratterebbe di reperire risorse e al tempo stesso dare slancio al nostro turismo. Un dato per tutti. Secondo alcuni calcoli legati alle assicurazioni il solo David di Michelangelo varrebbe 35 miliardi di euro, l’equivalente dell’attuale legge di stabilità in discussione al Parlamento. Magari per un po’ meno potrebbero comprarlo brasiliani amanti del fisico perfetto, senza che la statua lasci il museo dell’Accademia a Firenze.

E, tanto per fare un esempio, se qualcuno proponesse a Fred Hu, il più importante finanziare privato cinese con una società che si chiama “Primavera Group”, di comprare la Primavera di Botticelli (che non si muoverebbe mai dagli Uffizi) qualcuno potrebbe dubitare che non sarebbe pronto a versare miliardi di euro pur di usarne l’immagine? E a qualche altro suo collega cinese non si potrebbe passare in gestione Pompei? In pochi mesi gli alberghi della Campania non basterebbero per sostenere l’assalto dei turisti con gli occhi a mandorla.

Per alcune generazioni qualche bene resterebbe nel nostro godimento senza averne ufficialmente la proprietà e senza sostenerne i costi di manutenzione... Forse più che coraggio ci vorrebbe però lungimiranza, giusto ciò che a burocrati e a troppi politici oggi difetta. Se poi la Camusso, Grillo o Fassina fossero contrari, allora vorrebbe dire che si tratta proprio di una cosa giusta e innovativa.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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