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Agroalimentare italiano, qualità e web le chiavi per promuovere l'export

Ridurre i costi dell’agroalimentare per favorirne l’export è un errore; l’Italia deve invece puntare sulla qualità che può offrire grazie ai prodotti certificati, e adeguarsi alla cosiddetta “digital society”. Le aziende non possono prescindere della presenza in organico di un export manager e da un’attività di e-commerce

 
03 marzo 2016 | 10:48

Agroalimentare italiano, qualità e web le chiavi per promuovere l'export

Ridurre i costi dell’agroalimentare per favorirne l’export è un errore; l’Italia deve invece puntare sulla qualità che può offrire grazie ai prodotti certificati, e adeguarsi alla cosiddetta “digital society”. Le aziende non possono prescindere della presenza in organico di un export manager e da un’attività di e-commerce

03 marzo 2016 | 10:48
 

L’export agroalimentare italiano nello scorso anno ha raggiunto la considerevole quota 37. Sì, il valore dell’export agroalimentare italiano è stato di 37 miliardi di euro. Ne consegue, sebbene non naturalmente e linearmente, che l’obiettivo di quota 50 (50 miliardi di euro) al 2020 (incremento di quasi 3 miliardi di euro all’anno) sia ardimentoso ma non velleitario.

Molto dipende da quanto, senza infingimenti, si sia disposti a ritenere l’agroalimentare un asset strategico per il nostro Paese. Non si tratta di ridurre i costi per unità di prodotto, sarebbe errore grave; si tratta di procedere ulteriormente, invece, sull’incremento della qualità e sull’ancor più radicato e soprattutto visibile valore distintivo del made in Italy. Ne consegue, cosa non da poco, anzi fattore chiave, il premium price. E qui si vuole intendere, innanzitutto e soprattutto, l’avvalorata presenza delle nostre Dop e Igp.



Il flagello dell’Italian sounding, sinistro e irridente, lascia anche agevolmente intendere quanto grande è la potenzialità del mercato estero: Usa principalmente. L’incremento dell’export viene agevolato, in onda lunga, dall’incoming turistico. Si consente al gourmet di rivivere in casa propria, le deliziose emozioni vissute da turista in Italia. Sappiano comprendere, le aziende che approcciano il mercato estero, la necessità della presenza in organico dell’export manager e sappiano anche attrezzarsi per una profittevole e irrinunciabile attività di e-commerce. Di forte ausilio, sovente addirittura vettore trainante, il ruolo dei Consorzi di tutela.

Il panorama italiano palesa forte disomogeneità: si va da virtuose realtà ben strutturate che efficacemente assolvono alla loro mission, (citiamo quali casi di eccellenza i consorzi dell’Asiago Dop, del Gorgonzola Dop, della Mozzarella di Bufala Campana Dop, del Parmigiano-Reggiano Dop, del Pecorino Toscano Dop, dell’Olio Collina di Brindisi Dop, dell’Olio Toscano Igp), ad opache realtà che lavorano poco e male.

Giammai disgiunto dalla formazione, che permane essere fattore cruciale (e qui per formazione si intende anche il saper raccontare il cibo italiano e la cucina italiana) è indispensabile saper tessere, mantenere nel tempo ed evolvere, le giuste relazioni con la Gdo e con il canale Horeca. Soltanto questa forte e motivata relazione può giustificare il premium price. Ma soltanto il racconto del prodotto ne abilita il valore distintivo e il conseguente posizionamento. Siamo in start-up di volano. Esso diviene vizioso e nocivo allorquando l’assenza di racconto banalizza il prodotto e spalanca portoni all’Italian sounding. Esso diviene virtuoso e lodevolmente profittevole allorquando il suadente racconto del made in Italy nobilita il prodotto, lo rende unique ed appealing e ne giustifica ampiamente il premium price. Dalla chiave emozionale, sia chiaro, non si può e non si deve prescindere.

Vorremmo dire che, se è vero (ed è verissimo e lo abbiamo detto e ribadito) che le aziende che esportano non possono fare a meno dell’export manager, altrettanto vero è che esse non possono fare a meno dell’aedo! Acquisire consapevolezza di ciò e conseguentemente attrezzarsi è condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per agire sul mercato internazionale.

Può la ristorazione italiana (anche quella ubicata all’estero) fare a meno delle nostre Dop e Igp? Viene da rispondere no. No, non può farne a meno. Può il sistema dell’agroalimentare italiano di qualità fare a meno di privilegiare il mondo della ristorazione italiana di qualità (anche quella ubicata all’estero)? E anche qui verrebbe da rispondere no. No, non può farne a meno. E invece, triste a dirsi (sad but true) sembra che sia ancora così o, per meglio dire, che ancora tanti e vasti siano i territori in ombra e solo poche le aree in luce.

Probabilmente ancora chiara non è la soluzione win win (con winner finale e soddisfatto il cliente al tavolo, ovviamente) che sortisce da un doppio no che stia, però, a certificare la vera realtà. Ed eccoci al cospetto di un luminoso faro che irradia vivida luce: la tecnologia abilitante. Nel caso, parliamo delle nuove modalità di comunicazione e relazione rese possibili (necessarie!) dalla digital society. Qui si gioca il tutto. Qui si decide se si è in grado di essere key player (e la dimensione aziendale conta poco) oppure ci si rifugia mestamente in cortile. Non essere presenti in rete, nel social media, è errore grave. Ma, attenzione, il rischio alto e vero è quello di commettere errore ancora più grave, ovvero esserci in maniera inadeguata e di ciò essere inconsapevoli.



Quanti i siti ancora solo in italiano? E quanti quelli con la versione inglese sovente malfatta e incompiuta? Quanti i siti che offrono un vero e-commerce che comporti un vero easy to buy? Quante le presenze attive, costanti e smart sui social media? Quante e quali le relazioni in essere world wide con i tanti stakeholders? Quale la confidenza con i big data, l’attenta analisi dei quali fornisce i suggerimenti giusti per correzioni e adeguamenti di offering?

Quale la propensione, per le piccole realtà, ad aggregarsi per fruire in outsourcing di ufficio studi e ufficio stampa? Quale la confidenza con il dashboard, vero e proprio cruscotto aziendale ignorando il quale si naviga a vista e non si è padroni di timone e di rotta? Il momento è critico: si vive e si prospera (altrimenti ci si relega alla pigra sopravvivenza) se ci si internazionalizza. Internazionalizzarsi comporta che non si può prescindere dal premium price. Il premium price, data per acclarata l’eccellenza qualitativa del prodotto, lo si conquista con la costruzione e la diffusione dello storytelling esistente dietro ogni prodotto e con approccio win win con la ristorazione di qualità e con il retail di qualità.

Tutto ciò ha percorribilità se e solo se si è presenti efficacemente ed efficientemente (e non solo perché adesso così si fa) nella digital society. Per fare ciò non si può prescindere da competenze forti e specifiche, siano esse in house, siano esse reperibili in outsourcing. È un percorso lungo e non sempre agevole. Vero. Ma la strada si fa camminando.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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