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Giro di vite sui kebab? Assolutamente improponibile

 
07 marzo 2009 | 16:00

Giro di vite sui kebab? Assolutamente improponibile

07 marzo 2009 | 16:00
 

è recente la decisione del Comune di Lucca di vietare nel centro storico cittadino l'apertura di nuovi locali etnici. Non più kebab, dunque, nè Mc Donald's nè sushi, ma neanche pizza al taglio, fast food, sexy shop e altre realtà etniche. Tutto questo per tutelare e valorizzare il patrimonio storico ambientale del centro cittadino. Il provvedimento ha fatto discutere e non è passato inosservato. E subito si sono creati due schieramenti: i favorevoli e i contrari.
«La norma - ha motivato l'assessore alle Attività produttive del Comune di Lucca Filippo Condelice - risale a una delibera del 2000, che noi abbiamo aggiornato, riconducibile ad etnie diverse. Capisco che possa generare malintesi, ma era necessario porre un limite all'invasione dei kebab».
Anche il presidente dei ristoratori della locale Ascom, Benedetto Stefani, come altri, ha sostenuto che il provvedimento mira a tutelare la nostra cucina in pericolo a causa delle recenti liberalizzazioni del settore.

 Alcuni chef, come ad esempio Fulvio Pierangelini del 'Gambero rosso” di San Vincenzo (Li), sono invece di parere diverso perché contrari ai divieti tout court. A mio avviso, infatti, sarebbe più appropriato negare licenze a chi non controlla la qualità dei prodotti, non dimostra di rispettare le regole e, perché no la tradizione del Paese che li ospita. Senza dimenticare i controlli che devono essere attuati periodicamente.
Non è possibile oggi elevare barriere protezionistiche in salsa italiana. Anche l'Adoc, l'Associazione per la difesa e l'orientamento del consumatore, è contraria al provvedimento perché considerato quasi una misura per vietare la concorrenza. 

La polemica è rientrata nel vivo dopo la presentazione in Regione Lombardia della proposta di un consigliere per la regolamentazione dei locali etnici. In una città come Milano la proposta sarebbe però improponibile. Sono presenti infatti nel centro cittadino moltissimi ristoranti cinesi, indiani, giapponesi, vietnamiti, greci, messicani che, anche per i prezzi non elevati, riscuotono il favore della gente contribuendo a richiamare visitatori e a garantire vitalità e sviluppo economico.
I centri della vita notturna milanese sono invece così organizzati: la zona Ticinese-Navigli presenta un ristorante arabo, uno libanese e uno persiano; la zona Garibaldi-Isola spazia dalla taverna greca (Ilios), al saloon (Old Wild West); infine nella zona Sarpi-Sempione-Fiera sono visibili insegne indiane (Namastè), cingalesi (Little Dream) e francesi (Omelette & Baguette). Come dire, sono talmente diffusi a Milano i locali etnici che pensare di regolamentarli in modo coercitivo appare senza senso. E quello che vale per Milano in realtà è identico in tutta le altre città lombarde e... in tutta Italia.

Sergio Mei

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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