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Carenza di personale in bar e ristoranti, la colpa è della paga oraria?

Con la fine del “posto fisso” e delle assunzioni “a tempo indeterminato”, in cui ciò che si guardava e ci si faceva bastare era lo stipendio mensile, ora è sulla bocca di tutti l’ammontare della paga oraria

di Vincenzo D’Antonio
 
09 luglio 2022 | 13:36

Carenza di personale in bar e ristoranti, la colpa è della paga oraria?

Con la fine del “posto fisso” e delle assunzioni “a tempo indeterminato”, in cui ciò che si guardava e ci si faceva bastare era lo stipendio mensile, ora è sulla bocca di tutti l’ammontare della paga oraria

di Vincenzo D’Antonio
09 luglio 2022 | 13:36
 

Un’inversione di campo è in atto. Una commutazione paradigmatica che, a non coglierla si resta spiazzati, si smarrisce l’orientamento e si corre il rischio di voler affrontare scenari nuovi secondi schemi divenuti obsoleti. Di cosa stiamo parlando? Diciamo che l’occasione è data dall’argomento che da qualche mese a questa parte è diventato tra i più chiacchierati, sovente scivolando ai livelli da bar sport, quando il lunedì mattina si scopriva che tutti gli avventori del bar, dotati del dono dell’ubiquità, erano stati spettatori in tutti gli stadi dove si erano disputate le partite e pertanto potevano contribuire fattivamente alle accese conversazioni. Gli albergatori e i ristoratori non trovano persone che vogliano lavorare durante la stagione estiva che nel mentre è già cominciata (e che tra un paio di mesi è già finita!).

Carenza del personale, ma la colpa è della paga oraria?


La ricerca della colpa

Tante le amenità ascoltate in giro, ma due assurgono all’onore della notizia: a) colpa del reddito di cittadinanza; b) vorrebbero (i lavoratori) avere il fine settimana libero e poi non è bello lavorare quando gli altri si divertono. Addossare la colpa al reddito di cittadinanza, è confondere uno strumento che ha forza di legge con le storture occorse nell’attuazione di questa legge; inoltre, sebbene in filigrana, ciò lascia intendere che il datore di lavoro aveva nella sua testa un’idea di compenso da corrispondere al lavoratore pressoché simile all’importo mensile del suddetto reddito di cittadinanza. No comment!


Supportare l’argomentazione di quanto sia traumatico lavorare quando gli altri si divertono è tentativo risibile e poco commendevole. Ma di cosa stiamo parlando? Piloti ed equipaggio che portano i passeggeri in vacanza alle Maldive sono imbronciati? I lavoratori dello spettacolo, i comici che “devono” far ridere, devono divertire il pubblico sono adirati? No comment!


Cosa non va nell’incontro tra domanda e offerta

Suvvia, il fenomeno del mismatch va diversamente analizzato. Partiamo proprio dal mismatch, ovvero dal mancato incontro tra un soggetto che offre ed un soggetto che domanda. Sì, eccoci alla locuzione alla quale siamo adusi: l’offerta di lavoro, intesa come proposta datoriale e la domanda di lavoro intesa come questua della persona inoccupata. Perché non si riflette sul fatto che ad invarianza di un ruolo offerente e di un ruolo domandante sono cambiati gli attori dei due ruoli?


Non è più attuale che ci sia offerta di lavoro da espletare e non è più attuale che ci sia domanda di mansione da svolgere.


Oggi chi “domanda” è l’imprenditore che chiede a persone provviste di skills specifiche, se le sue richieste per accedere a quelle specifiche skills sono appetibili. Oggi chi “offre” è la persona detentrice di expertise che offre l’accesso al suo expertise a chi ne fa domanda. Semplice ma vero. È così: chi offre è offerente di suo know-how; chi domanda è richiedente di quel know-how.


Sarà pur vero direbbe lo scettico, anche volendo crederci a questi ruoli invariati in contesto di attori variati, perché sovente l’incontro non ha esito felice?  Insomma, diciamocela tutta, perché io ristoratore non trovo persone?
I motivi fondamentali sono due, tra loro ineludibilmente connessi.


Quando c’era il “posto fisso”, quando le assunzioni erano “a tempo indeterminato”, quando gli aumenti salariali erano pattuiti dai contratti collettivi stipulati tra l’associazione datoriale e il sindacato dei lavoratori, la grandezza di riferimento del compenso era lo stipendio mensile.


Diciamola diversamente: vado a lavorare cinque giorni a settimana dalle 8 alle 17. Espleto con diligenza il mio lavoro e in uno schema contrattualizzato di diritti e doveri so che alla fine del mese ricevo una busta paga: è il compenso mensile, è lo stipendio. Questa somma mi basta, me la faccio bastare; su di essa adeguo il mio tenore di vita, la realizzazione di piccoli progetti del tempo medio e così via.

 


Dal “mensile” alla paga oraria

A momenti (eccoci al punto!) manco ci faccio caso, neanche mi prendo la briga di calcolare quale è la mia paga oraria! Vivo il mio essere sociale in funzione dello stipendio mensile, tredicesima e scatti biennali di anzianità inclusi, e va bene così o almeno deve andarmi bene così!


Con la fine del “posto fisso” e delle assunzioni “a tempo indeterminato” cosa viene a galla? Cosa giaceva nel fondo, opacizzato dal valore della tranquillità del mese che “va e viene”? Giaceva nel fondo, nel senso che non veniva a galla e non generava interrogativi incresciosi, l’ammontare della paga oraria!


Ma adesso non è più così! Dall’avvento dei voucher in poi, praticamente si ragiona in termini di ore da lavorare, ergo ore da retribuire. L’elemento che si considera e che pertanto diviene visibile è la paga oraria!


Ma allora è tutta e soltanto una questione di soldi? Saremmo propensi ad affermare che no, non è soltanto una questione di soldi. Sia ben chiaro che, soprattutto adesso che ad invarianza di ruoli sono cambiati gli interpreti dei ruoli e quindi chi offre è la persona che ha know-how specifico e chi domanda è l’imprenditore che di quel know-how abbisogna, i soldi da soli non motivano. Per motivare l’offerente, colui il quale lascia che si acceda al suo know-how e dedica tempo ed energie a ciò, ci vuole ben altro. Il team va costruito, la mission va resa nota e va condivisa, l’ambiente di lavoro deve essere confortevole in tutti i sensi, la performance deve essere brillante e riconosciuta. Sono questi i fattori che motivano, non i soldi! Sì, e chi dice ciò è un illuso che crede alle fate! No, chi afferma ciò ha sano pragmatismo perché sa bene che è proprio così ma soprattutto sa che il pensiero si completa e diviene valevole opportunamente aggiungendo che ribadiamo che i soldi da soli non motivano, però vero è che essi demotivano se percepiti come incongrui e non dignitosi.


E rieccoci alla paga oraria, il dato emerso! C’è un dato sulle retribuzioni che salta agli occhi in un recente rapporto dell’Istat, quello dei lavoratori dipendenti nel settore privato. È venuto fuori che per circa 1,3 milioni di dipendenti (il 9% circa) la retribuzione oraria lorda è inferiore agli 8 euro. Lorda! Netta, all’incirca 6 euro; all’incirca 10 centesimi al minuto!


Adesso si aprirebbe pagina successiva. Si analizza meglio il mismatch e siccome, letteralmente, non è che le cucine e le sale di tutti i ristoranti sono deserte, quindi, cuochi e camerieri che lavorano ci sono, ci si dovrebbe domandare quali condizioni si devono verificare a ché il mismatch diventi match. Quali le precondizioni a ché offerta e domanda si incontrino e dall’incontro ne sortisca esito felice? Ci si ripromette di parlarne a breve.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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13/07/2022 10:02:44
2) Il mercato del lavoro moribondo
Ho fatto il cuoco per 17 anni e dal mondo della ristorazione sono fuggito come un evaso. La ristorazione raccoglie in sé tutte le peggiori distorsioni del mercato del lavoro. Non ci sono regole, non ci sono controlli e di fronte ad abusi e scorrettezze non ti difende nessuno. In Italia a furia di comprimere diritti e stipendi, non si troveranno più lavoratori. E molte attività chiuderanno.
Riccardo Gastaldi

13/07/2022 05:58:16
1) Troppe tasse!!
Non penso che sia così disastrosa la situazione, penso che non vogliono lavorare perché la vita notturna è bellissima e poi non ci si può alzare al mattino per andare a lavorare e ci nascondiamo dietro ma non pagano troppe ore mi fanno una miseria non è vero non è vero Poi c’è il varo tasse dello stato : su una busta paga di 1000.euro il datore di lavoro paga 730 di tasse il 73% di f24 così non si può andare avanti e poi non assumono e lavorano in nero e mal pagati Ecco La VERITÀ LO STATO CARO TASSE !!
Paolo Ottaviani



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