Il riconoscimento Unesco alla cucina italiana non è una medaglia da appendere al petto: è la certificazione ufficiale di un sistema vivo, concreto, quotidiano, che parte dai campi e arriva alle tavole. Oggi salgono simbolicamente sul palco sfogline, pizzaioli, cuochi, camerieri, produttori agricoli e artigiani del gusto. Tutti. È la vittoria dell’Italia che lavora, non dell’Italia da cartolina.
E, diciamolo senza filtri: dopo anni di immobilismo imbarazzante sul dossier, un Ministero ha finalmente preso in mano la pratica, l’ha coordinata, l’ha difesa e l’ha portata fino al sì. Una politica che, per una volta, non ha scelto il sonno profondo come default.
Il sì dell’Unesco è la fotografia nitida di ciò che siamo davvero: una cultura alimentare fatta di persone, non di slogan. Altro che pizza-spaghetti-mandolino: oggi il mondo riconosce che la nostra cucina è patrimonio dell’umanità perché nasce da mani, gesti, continuità, comunità. Non appartiene a una nicchia glamour: appartiene a chi condivide la tavola ogni giorno. Ed è forse questo il senso più vero dell’identità italiana.

Tutta la filiera bnrinda al successo della Cucina italiana col riconoscimento Unesco
È un sì all’Italia che lavora, non a un monumento gastronomico
Oggi è il giorno delle sfogline che fanno brillare l’impasto come un gioiello ereditato, dei pizzaioli che hanno trasformato un cibo povero in un linguaggio planetario, dei cuochi che fanno convivere tecnica e memoria delle nonne, dei pasticceri che riempiono l’Italia di mille dolci diversi.
Ma è anche il giorno dei camerieri, dei sommelier, dei barman custodi dell’ospitalità – per troppi anni ignorati, troppo spesso invisibili - e della filiera agricola che tiene in piedi l’intero edificio: contadini, allevatori, casari, pescatori, vignaioli, ortolani.
Vince l’Italia del bello e del buono, della continuità e del lavoro.
E quel che conta è che il riconoscimento non premia un piatto. Non premia il fine dining del momento. Premia un ecosistema umano, economico e culturale che vive ogni giorno e che fa dell’Italia un unicum mondiale. E a ben guardare, dietro la parola Cucina, nel caso italiano ci sono le Cucine regionali, che moltiplicano e valorizzano questa realtà.
Perché l’Unesco conta davvero
Il riconoscimento Unesco valorizza l’intera filiera: agricoltura, pesca, allevamento, artigianato, ristorazione, ospitalità.
È un booster reputazionale e turistico, ma soprattutto culturale: “certifica che la cucina italiana è un modello sociale”, economico e identitario.
Non è un premio al passato: è una responsabilità per il futuro.
Una candidatura che poteva essere chiusa molti anni fa
E qui il tono soft finisce, perché la verità va detta: l’Italia avrebbe potuto ottenere questo riconoscimento molto prima. Il patrimonio c’era, la credibilità pure. Mancava solo la volontà politica.
Per anni il dossier è stato trattato come un soprammobile: bello, evocativo, ottimo per qualche conferenza stampa. Pessimo per la concretezza. Una danza stanca fatta di annunci, rimpalli, rinvii, immancabili tavoli tecnici che non decidevano nulla. Italia a Tavola potrebbe esibire una collezione di proposte e documenti finiti nel dimenticatoio.
Una candidatura che il mondo ci invidiava veniva gestita come una pratica di condominio.
Il cambio di passo: quando qualcuno, finalmente, ha detto “adesso basta”
Poi arriva il momento in cui il ministero dell’Agricoltura, dopo anni di ignavia diffusa, decide di salire in cabina di regia. Niente più slogan, niente più deleghe evaporate nel nulla. Il coordinamento – quello vero - l’ha fatto il Ministero delle Politiche agricole. È emersa da subito una regia. Una strategia. Una volontà chiara.
Francesco Lollobrigida, pur con qualche gaffe di percorso, ha dimostrato di crederci e di capire il valore strategico – anche economico – del riconoscimento. E soprattutto ha fatto ciò che i predecessori non hanno fatto: prendere il dossier, ripulirlo da anni di polvere, chiamare regioni, associazioni, consorzi, accademie, attivare relazioni diplomatiche e portare il sistema Italia a parlare con una voce sola. E in questo è stata fondamentale la collaborazione con le più importanti associazioni del comparto, dalla Fipe alla Fic, dall’Ais a Conpait.

Il Ministro Francesco Lollobrigida con i cuochi della Fic
Il “sì tecnico” ora arrivato non è un regalo: è la prova che quando esiste un metodo operativo, funziona. All’estero lo considerano normale. Da noi sembra un miracolo.
Al momento del voto politico dei vari Paesi in sede Unesco, l’Italia è arrivata con un dossier solido, una narrazione coerente e un Ministro che - anche disturbando più di qualcuno - ha fatto ciò che i predecessori non avevano avuto il coraggio di fare: chiudere la partita mettendoci la faccia (si poteva anche perdere visti gli interessi in gioco…).

È un sì all’Italia che lavora, non a un monumento gastronomico
Una vittoria culturale e politica. Ma soprattutto un impegno per il futuro
Il riconoscimento Unesco è un messaggio fortissimo: la cucina italiana non è un gingillo sentimentale. È una risorsa strategica per turismo, lavoro, formazione, export, qualità agricola, sostenibilità.
È la certificazione di uno stile italiano che da 40 anni Italia a Tavola sostiene come asse fondamentale della nostra industria principale: il turismo. E tutto ciò che ne deriva per i nostri prodotti, la nostra immagine, il nostro mercato.
La domanda ora è: che cosa ne facciamo?

Ha vinto chi ogni giorno tiene in piedi il sistema
Lasagne, tortellini e pizza vanno valorizzati. Ma con filiere vere, non con scorciatoie
Ma attenzione, l’Unesco non ama la nostalgia o il glamour, ama la vitalità. Serve formazione seria nelle scuole, tutela vera delle filiere, investimenti sui giovani, salari dignitosi in sala e in cucina, difesa del paesaggio agricolo, innovazione senza snaturamento. Le lasagne, i tortellini, il timballo, la pizza o la pastiera napoletana vanno valorizzati e resi contemporanei, non stravolti e realizzati con prodotti importati. Anche perché l'Unesco è oggi l'occasione per valorizzare tutta la biodiversità agricola italiana, a rischio se non trova sbocco nei ristoranti...
Soprattutto: questa vittoria deve servire a rafforzare la fascia media del mercato: il 97% dei locali che fanno davvero il turismo italiano. Trattorie, ristoranti di territorio, pizzerie, agriturismi, pasticcerie, bar, imprese familiari che da decenni custodiscono le tradizioni oggi premiate dall’Unesco.
È qui che batte il cuore della ristorazione italiana, ed è qui che rischiamo il collasso se continuiamo a ignorare salari, formazione e filiere.
Gli stellati? Certo che contribuiscono. Ma non sono loro a custodire la vitalità sociale che interessa all’Unesco. La Corea ottenne lo stesso riconoscimento senza un solo ristorante stellato: dato che vale più di mille comunicati.
Cosa la politica non può più ignorare
- Formazione seria per cuochi, pizzaioli e camerieri
- Tutela delle filiere agricole e dei territori
- Salari e condizioni di lavoro dignitose
- Investimenti nella qualità, non nel folklore
- Una diplomazia gastronomica stabile e non episodica
Il bollino Unesco è un inizio, non un traguardo. Ora bisogna sostenerlo.
A vincere non sono state le mode, ma la realtà e la tradizione
È nella fascia media, oggi schiacciata tra l’alta cucina (3/4mila locali al massimo) e il fast food globale (che oggi vale il 14% del mercato), che batte il cuore della ristorazione italiana. È qui che si custodiscono le radici del gusto, la memoria delle ricette, il valore umano del mestiere e la passione di intere generazioni che continuano, con fatica e coraggio, a dare senso al concetto di “mangiare italiano”.
Nessuno ha premiato i sifonati, le fermentazioni modaiole o il marketing.

Il cuore della ristorazione italiana batte nelle mani di lavora
Ha vinto chi ogni giorno tiene in piedi il sistema. Ed è da loro che deve ripartire la narrazione. Non dalle multinazionali, né dalle agenzie di comunicazione.
Perché dal futuro di queste aziende dipende tutto il resto: fornitori agricoli, artigiani, tecnologie, servizi Horeca. La filiera vive se vivono loro. E il modo più sicuro è vigilare perché chi propone Cucina italiana Unesco nel suo locale certifichi che utilizza prodotti italiani. Si tratta dell'unico modo per dare fra l'altro un senso vero alle politiche contro l'italian sounding. Se non ci impegnamo per primi in Italia a utilizzare per le nostre ricette prodotti italiani, come possiamo pensare che sia possibile combattere i tarocchi "tricolore" nel resto del mondo? In questo la strategia annunciata dal ministro Lollobrigida è chiara, serve però che tutta la filiera collabori, a partire dai ristoratori. Trovare una latta di pomodori cinesi in cucina dovrebbe essere sufficiente per perdere il diritto di usare un richiamo all'Unesco.
Oggi festeggiamo. Da domani, si lavora.
Perché se la cucina italiana è patrimonio dell’umanità, la politica non può continuare a essere patrimonio del “si vedrà”.
E il settore deve essere pronto a chiederne conto, non a dire grazie e basta.