Il 2025 non è stato l’anno della crisi, ma nemmeno quello della ripartenza. Per la ristorazione italiana è stato un tempo sospeso, fatto di equilibri precari e di segnali che chi lavora nel settore conosce bene: consumi interni in frenata, costi che non mollano la presa, personale che manca e investimenti che restano lontani. A tenere in piedi il sistema è stato soprattutto il turismo internazionale, vera stampella di un comparto che continua a essere centrale nell’economia del Paese ma trattato, troppo spesso, come un’attività accessoria. È da questa fragilità strutturale che si apre il 2026: non come un anno qualunque, ma come un bivio che obbliga a scegliere se crescere o continuare a galleggiare.

Il 2025 non è stato un anno semplice per il comparto della ristorazione
Da qui, guardando al 2026, il settore - tramite la voce del presidente della Fipe (la Federazione italiana pubblici esercizi, che quest’anno, ricordiamo, ha spento 80 candeline), Lino Stoppani - indica, di conseguenza, una serie di priorità per risolvere alcuni problemi e “superare” il bivio: inserire la ristorazione nel perimetro delle imprese turistiche per aprire l’accesso a finanziamenti e strumenti di sviluppo; rafforzare l’educazione alimentare nelle scuole, la regolamentazione, la formazione e la promozione delle professioni rivolte alle nuove generazioni; investire nella comunicazione positiva del comparto e in un riconoscimento internazionale (aka il “boost” Unesco), per consolidare il valore culturale e identitario della cucina italiana. Non è un bilancio consuntivo né un esercizio di retorica settoriale. È una fotografia utile per capire se la ristorazione italiana verrà finalmente trattata come un comparto strategico o continuerà a essere gestita a colpi di emergenze.
Un 2025 in equilibrio instabile tra resistenza e fragilità
Ed è proprio guardando ai numeri che si capisce perché servano quelle misure. Il 2025, infatti, ha mostrato un settore che, pur lontano dalla tempesta del post-Covid e dallo shock inflattivo del 2023, non può dirsi sereno. «Se penso agli anni della pandemia (2020 e 2021, ndr) e ai mesi della crisi energetica, il 2025 è sì sembrato quasi una passeggiata - ha osservato ironicamente Stoppani - ma i segnali di sofferenza non sono spariti, anzi».
Lino Stoppani, presidente della Fipe
A conferma della “sofferenza”, i dati: nei primi nove mesi, il saldo fra aperture e chiusure ha parlato infatti di 7.740 nuove imprese contro 14.150 cessazioni, fotografia di un turnover ancora troppo alto e di una fragilità strutturale che non accenna a rientrare. Sul versante economico, il fatturato ha registrato un -2,4% in termini reali su base annua (settembre su settembre) e un -1,1% nella media gennaio-settembre, segno di una domanda interna, come detto, frenata dal rallentamento del potere d’acquisto degli italiani e da un clima di incertezza che pesa sui consumi delle famiglie (-3,9% di arrivi italiani e -0,1% di presenze).
Il turismo estero come scialuppa di salvataggio
Al contrario, come detto, il turismo estero ha fatto da scialuppa: +1,3% di arrivi internazionali e +2,2% nelle presenze. «Siamo stati letteralmente salvati dai turisti stranieri, senza di loro il quadro sarebbe stato ben diverso» ha rimarcato Stoppani. Non si tratta di un normale turnover imprenditoriale, ma del segnale di un sistema che fatica a reggere.
Lavoro e produttività: il nodo che blocca il futuro
E a completare questo quadro di fragilità, il lavoro, che continua a restare la variabile più critica: «La carenza di manodopera e di attrattività è un problema nazionale e senza produttività rischiamo di non poter pagare meglio il personale, né innovare, né reggere le transizioni digitale ed ecologica». Un (grosso, grossissimo) nodo che si è intrecciato e si intreccia (ancora) con il clima geopolitico: tassi alti, crisi internazionali, conflitti ancora aperti. «Tutto questo non aiuta la fiducia. Chi ha redditi finanziari spende, chi vive di salari si ferma».
Ristorazione italiana: i numeri chiave
- 380mila imprese attive
- 1,4 milioni di addetti
- Oltre 100 miliardi di euro di fatturato
- 53,9 miliardi di valore aggiunto
- -2,4% il fatturato reale nei primi nove mesi 2025
- 7.740 aperture contro 14.150 chiusure
- +2,2% le presenze turistiche estere
- -3,9% gli arrivi turistici italiani
Un settore che regge, ma non corre. E senza interventi strutturali rischia di fermarsi.
Il riconoscimento Unesco come leva strategica, non simbolica
Passando poi al capitolo strategico (per migliorare il futuro del comparto e, a cascata, del nostro Paese), il punto di svolta si lega al riconoscimento Unesco della cucina italiana. Per Stoppani non è una medaglia da appendere al muro, ma un passaggio chiave: «L’Unesco non premia un piatto o una ricetta, ma il valore culturale complessivo della nostra cucina. È uno strumento di soft power: reputazione, immagine, credibilità internazionale». Da qui la necessità di trasformare questo riconoscimento in politiche economiche e industriali: «Ora serve continuità, serve una regia. Senza una strategia rischiamo di perdere un vantaggio competitivo enorme». Senza una regia nazionale, il rischio è che il riconoscimento resti un vantaggio comunicativo per pochi e un’occasione mancata per il sistema.
Educazione alimentare: investire oggi per non pagare domani
Per Stoppani, la linea d’azione si articola in tre assi centrali indicati come «fondamentali per ripartire». Il primo è quello dell’educazione alimentare, che il presidente della Fipe definisce «fondamentale per costruire il futuro del comparto». L’idea è tornare nelle scuole, dentro l’educazione civica, con percorsi che parlino non solo di nutrizione ma di cultura, identità, spreco e salute pubblica: «I ragazzi devono sapere da dove viene il cibo: storia, etica, antropologia. E serve superare le gare d’appalto al ribasso sulla ristorazione scolastica, perché la qualità non può essere un costo da tagliare». Un tema che si incrocia inevitabilmente con le preoccupazioni sanitarie tra cui obesità, diabete, intolleranze e malattie cibo-correlate. «La prevenzione passa dall’educazione, non dal pronto soccorso».
La scuola ha un ruolo fondamentale per il rilancio del comparto ristorativo
Regole chiare per fermare le asimmetrie competitive
Il secondo, invece, riguarda le regole e le asimmetrie competitive: «Abbiamo attività simili trattate in modo diverso: agriturismi, circoli privati, fiere, modelli ibridi, somministrazione mascherata. Così non reggiamo» ha sottolineato Stoppani. L’obiettivo è definire un perimetro chiaro che tuteli chi investe e genera valore: «Se la ristorazione deve essere un elemento di filiera e di attrazione turistica, allora servono regole lineari. Altrimenti la concorrenza sleale erode le imprese serie e i territori perdono identità».
Formazione e giovani: il vero capitale del settore
Il terzo pilastro è la formazione, vero nodo della manodopera. Stoppani guarda con attenzione alla riforma tecnico-professionale: «Gli Its, il modello 4+2, la filiera Hlmi: questo è il vivaio. Se non parte dalle scuole, il ricambio generazionale non arriva. Nel nostro settore il 39,9% dei lavoratori ha meno di 30 anni - 456mila persone - e il 12,3% delle imprese, circa 40.400 attività, è già in mano ad under 35». Da qui la necessità di cambiare narrazione: non “lavoretti di ripiego”, ma percorsi professionali. «È un settore che può dare indipendenza economica e crescita: manca la comunicazione, non le opportunità».
Comunicazione e reputazione: parlare alle nuove generazioni
Da qui discende, appunto, il tema della comunicazione (ricordando che Italia a Tavola, da sempre, ne è una delle voci portanti al fianco del settore): «Serve parlare ai giovani con i linguaggi dei giovani. Se non li intercettiamo, non cresciamo». L’obiettivo è quindi quello di riposizionare l’immagine del settore: qualità, dignità professionale, prospettive. «Il “vecchio” non consuma. I giovani sì. E se la ristorazione non parla ai giovani, si taglia le gambe da sola».
La domanda scomoda
Se la ristorazione è uno dei primi motivi per cui gli stranieri scelgono l’Italia,
perché continua a restare fuori dai grandi bandi sul turismo, sull’innovazione e sulla sostenibilità?
Finché sarà trattata come un servizio accessorio e non come un’infrastruttura economica, il problema non sarà la mancanza di vocazioni, ma la mancanza di scelte politiche.
Il 2026 e la sfida decisiva: ristorazione come impresa turistica
Arrivando al capitolo finale, il 2026 “politico” del settore deve iniziare da una priorità assoluta: inserire la ristorazione nel perimetro delle imprese turistiche. «In Italia se non sei impresa turistica, sei escluso dai bandi miliardari sulla riqualificazione, sull’innovazione, sulle transizioni digitale ed ecologica - ha detti Stoppani. Finché restiamo fuori da quella categoria, guardiamo i finanziamenti passare». Considerando che è una questione identitaria e non solo economica: «Siamo il secondo motivo per cui lo straniero viene in Italia e il primo per cui ritorna. Questo dato da solo basterebbe a chiudere la discussione».
L’obiettivo “politico” per il 2026 è quello di far riconoscere la ristorazione come impresa turistica
Parallelamente, Stoppani richiama la questione dei contratti, della fiscalità e del costo del lavoro: «La marginalità oggi si erode prima di arrivare a fine mese. Se non si alleggerisce la pressione sui conti delle imprese, non esiste investimento, non esiste innovazione e non esiste salario migliore. È ora che il settore abbia la considerazione che merita: 380mila imprese, 1,4 milioni di addetti, 100 miliardi di fatturato, 53,9 miliardi di valore aggiunto. È economia reale, non una cartolina da weekend».
Insomma, la ristorazione italiana arriva al 2026 con una consapevolezza diversa: non più settore accessorio del turismo, ma architrave di un’economia che vive di attrattività, qualità e reputazione internazionale. «Servono politiche economiche che non si limitino a riconoscere il nostro ruolo, ma lo mettano in condizione di produrre sviluppo». Perché senza investimenti non c’è innovazione, senza innovazione non c’è produttività e senza produttività non esistono né salari migliori né futuro per 380mila imprese.«Il 2026 non deve essere l’anno in cui sopravviviamo, ma quello in cui cominciamo a crescere».
Ristorazione italiana: l'anno delle scelte
Il 2026 non può essere l’anno in cui la ristorazione italiana si limita a resistere. Deve diventare l’anno delle scelte: riconoscere il settore per quello che è - un’infrastruttura economica, culturale e turistica - e metterlo nelle condizioni di investire, innovare e crescere. Senza fondi non c’è sviluppo, senza regole non c’è concorrenza leale, senza giovani non c’è futuro. Continuare a rimandare significherebbe accettare un lento logoramento. E questa volta, a differenza del 2025, non basterà il turismo estero a tenere in piedi il sistema.