C'è un dato che racconta più di mille analisi perché l'Italia oggi fa sempre più fatica a riconoscersi come Paese moderno e competitivo: nel 2024, come riportato dall'Istat, oltre 190mila persone hanno lasciato il nostro Paese, di cui 155mila cittadini italiani. Una diaspora silenziosa, che supera persino i picchi della Grande recessione e si consuma in un momento storico in cui, sulla carta, il lavoro non dovrebbe mancare. Gli occupati toccano i massimi storici, l'export (soprattutto agroalimentare) continua a crescere e la disoccupazione è ai minimi da vent'anni. Eppure, sempre più giovani "votano con i piedi" e se ne vanno.
Non emigrano i disperati: partono i migliori
Dietro i numeri, poi, c'è una fotografia ancora più amara: non emigrano i disperati, ma chi ha competenze, energie, ambizioni. E la fuga si sente ovunque, ma colpisce in modo devastante settori chiave come il turismo e la ristorazione. Due motori storici, fondamentali, del made in Italy, che, ricordiamo, nel 2024 si sono trovati senza benzina: infatti, oltre la metà delle assunzioni programmate è rimasta scoperta. Il 55% dei posti per diplomati in turismo, enogastronomia e ospitalità non ha trovato candidati. La ristorazione, nonostante 443mila posizioni aperte, ha dovuto registrare quasi il 49% di difficoltà di reperimento.

Per i talenti l‘Italia non è più un posto dove restare
Ma non è solo un problema congiunturale. È strutturale. È il risultato di anni di disattenzione, di formazione che non incrocia più i bisogni reali del mercato, di condizioni di lavoro che non riescono più ad attrarre né trattenere. E adesso i nodi vengono al pettine, proprio mentre il settore turistico ed enogastronomico italiano sta vivendo il suo grande rilancio nel mondo dopo il brutto stop per la pandemia.
Turismo e ristorazione senza eredi
Già qualche mese fa, Giuseppe Tripoli, segretario generale di Unioncamere, aveva messo a fuoco il problema senza giri di parole: «La difficoltà di reperimento delle persone è un serio problema per il sistema produttivo nazionale». Un allarme che oggi suona ancora più attuale, mentre i numeri confermano una deriva che nessuno sembra voler fermare. «In questo scenario, l'invecchiamento demografico sarà uno dei fattori più rilevanti nell'intensificare il mismatch nei prossimi anni - aveva avvertito. Per farvi fronte serve un mix di interventi dedicati: orientamento ai giovani, miglior dialogo scuola-impresa e una strategia nazionale per trattenere e valorizzare i giovani talenti, premiandone le competenze e soddisfacendone le legittime aspirazioni». Parole che, lette oggi, suonano come una diagnosi precisa di una malattia già in fase avanzata: il Paese continua a esportare capitale umano, proprio mentre resta a corto di lavoratori nei suoi settori vitali.
Dati reali e mercato del lavoro in crisi
Guardando ai flussi reali, il quadro è ancora più sconfortante. I dati Istat raccontano solo metà della storia: chi lascia il Paese spesso non cancella nemmeno la residenza italiana. Per questo basta incrociare i numeri dei Paesi di destinazione per capire quanto il fenomeno sia più ampio. In Svizzera, secondo l'ufficio statistico di Berna, gli arrivi dall'Italia sono oltre il 50% in più rispetto a quanto certifica l'Istat. In Germania, nel 2023, si registrano 44mila nuovi arrivi italiani, contro meno della metà rilevata ufficialmente. E poi c'è la Spagna: dieci anni fa raccoglieva appena quattromila italiani, oggi accoglie circa 48mila nuovi ingressi l'anno. Un dato che non può essere liquidato con la solita retorica delle "nuove opportunità": significa che la Spagna, con meno rigidità e più apertura, sta diventando per i giovani italiani quello che l'Italia non riesce più a essere.

Crescono sempre di più gli arrivi degli italiani in Svizzera, Germania e Spagna
E intanto, dentro i confini, il sistema arranca. Nel solo 2024, su 5,5 milioni di assunzioni pianificate complessivamente, le imprese italiane hanno registrato percentuali di difficoltà che oscillano tra il 49% per i diplomati tecnico-professionali e il 50% per i laureati. La situazione è drammatica nei settori più strategici: 87,5% di irreperibilità nel comparto energetico, oltre il 70% in meccatronica e moda. Gli Its Academy, pensati per essere la risposta flessibile alle esigenze delle imprese, non riescono a formare abbastanza giovani per colmare i vuoti.
Mentre si esportano prodotti, si esportano anche persone
Tutto questo accade mentre l'Italia si ostina a ignorare il problema di fondo: la mancanza di un sistema fiscale e sociale che premi il merito e la competenza. Come ha ricordato Ernesto Maria Ruffini nel suo libro "Più uno: la politica dell'uguaglianza", «le entrate erariali che possono ancora essere considerate progressive non raggiungono neanche il 40% del totale». Oltre il 60% delle tasse che paghiamo è "piatta", uguale per tutti, a prescindere da quanto si guadagna o possiede.
Una stortura che colpisce proprio i giovani lavoratori, i dipendenti senza scorciatoie e senza privilegi, quelli che oggi riempiono gli aeroporti più che i concorsi. E questo senza nemmeno aprire il vaso di Pandora del tema pensioni: un sistema che continua a pesare sulle spalle di chi rimane, aggravando una forbice generazionale sempre più drammatica. Un quadro che non si risolve con slogan sul "rilancio del turismo" o sull'"eccellenza italiana", se nel frattempo il Paese smette di trattenere chi dovrebbe costruirlo.
Così, mentre camerieri, chef, receptionist e manager turistici partono per Berlino, Madrid o Zurigo, in Italia restano imprese sempre più in affanno, tavoli serviti da meno persone e camere d'albergo gestite con organici ridotti. Se non si cambia rotta subito, resteranno solo i ricordi di un'Italia capace di trattenere e far crescere i suoi talenti. Non basterà continuare a vendere turismo come il nostro "petrolio" se mancheranno le mani e le teste per estrarlo. Serve coraggio adesso, prima che anche l'ultima generazione spenga la luce e chiuda la porta.