L’estate ci ha portato a riflettere su un tema. Le città d’arte e le aree costiere ci restituiscono elementi preoccupanti di un calo vertiginoso dei turisti, di quelli che fruiscono dei servizi che offre una città. È sempre di più un turismo mordi e fuggi, il turismo dei “selfie” e del panino, che lascia poco o nulla nei territori che sorvola.

Città piene, ristoranti vuoti: contro il turismo dei selfie serve cambiare modello
La mancanza dei turisti di valore e le cause internazionali
Questo crea profonda preoccupazione: manca una certa tipologia di turisti, quelli che hanno lasciato negli anni grande valore e attorno ai quali sono state costruite proposte adeguate, dall’accoglienza all’offerta ristorativa e tutti i servizi connessi. Mancano gli americani, per esempio. Si tratta di conseguenze degli scenari internazionali, dai dazi alle ritorsioni, messaggi che lasciano intendere come l’Europa abbia approfittato dell’America. Messaggi che non fanno bene al turismo.
Città piene, ma senza ricadute economiche reali
È qualcosa di profondo che sta diventando strutturale. Vediamo città all’apparenza piene, ma di fumo senza arrosto. Passaggi giornalieri, che non lasciano nulla. Strade piene e negozi e ristoranti semi vuoti. Sono elementi che spingono a una riflessione per chi come noi vive a contatto diretto con le persone, tocca con mano e si rende conto che la capacità di spesa dei nostri concittadini, ma non solo, dalla Germania alla Francia, alla Spagna, è sempre più ridotta. E queste guerre, che sembrano essere senza prospettiva di pace, cambiano le priorità, le aspettative, i bisogni.
Una fuga che non è solo di cervelli: ora se ne vanno anche le braccia
Oltre le fughe dei cervelli, poi, ora ci sono anche le fughe delle braccia. Un modello complessivo che preoccupa nella sua prospettiva. Serve allora ripensare ai mercati, alle nostre strategie di promozione. Tornare a coltivare mercati diversi con offerte e politiche differenti da quelle a cui ci siamo abituati.
Un sistema che va ripensato per rispondere a un mercato che cambia
Oggi il prezzo, la capacità di attrarre, e gli scenari geopolitici ci impongono di essere veloci, flessibili e capaci di adattarci. Il nostro modello di riferimento, però, non risponde più a un mercato che continua a modificarsi. Quindi c’è bisogno, pubblico e privato, di essere interpreti di un cambiamento profondo che ripensi a un sistema che forse ha dato ciò che ha potuto.
Serve un segnale: la crisi può diventare occasione
Quello che stiamo vedendo deve essere un segnale d’allarme. Abbiamo seguito modelli che ci hanno portato fuori strada.I dazi hanno dato un colpo di grazia e ci indurranno a pensarci in un modo nuovo, curando anche di più il mercato interno. Abbiamo un modello costoso, burocratico e complesso per essere in linea con la capacità di spesa dei nostri concittadini. Dobbiamo alleggerire e siamo chiamati a uno sforzo complessivo.
Politica, strategia e visione comune per non perdere centralità
Questa grande preoccupazione che deve trasformarsi però in opportunità. Ci vogliono la politica e una strategia condivisa, con l'obiettivo di fare quadrato intorno a un Paese che ha bisogno di ritrovare una sua centralità. A rischio c’è un intero modello produttivo e distributivo che ha fatto la storia, ma che oggi è in difficoltà. Ed è un problema non solo per noi, ma per l'intero Paese.