Il Governo ci lascia fare la pipì. Bagni aperti, ma solo nei ristoranti in zona gialla

Le Faq spiegano che per i clienti di bar e ristoranti è possibile usufruire dei servizi igienici senza paletti come "l'assoluta necessità" indicata nel decreto. In quelli in zona rossa e arancione invece resta il divieto . Una situazione assurda che si aggiunge ad altre del Decreto riaperture, come l'impossibilità di bere il caffè al bancone su cui Fipe chiede di fare dietrofront

30 aprile 2021 | 11:44
Siamo al punto che per capire se si può accedere ai bagni dei ristoranti e dei bar bisogna aspettare le Faq del Governo. Che nella tarda serata di giovedì - quattro giorni dopo il via libera all'apertura solo all'aperto dei locali - hanno dato il via libera alla possibilità di utilizzare i servizi igienici senza paletti come "salvo casi di assoluta necessità”, dettaglio che era contenuto nel decreto. Come Italia a Tavola avevamo sollevato il problema chiedendoci cosa significasse, quante sfumature avesse e come dovessero comportarsi i clienti e i ristoratori. Sembrava - anzi lo era - un assurdo ed ora ecco la risposta.

Ma, c'è un ma. I bagni dei pubblici esercizi potranno aprire solo in zona gialla, non in zona rossa o arancione. Una falla che fa cadere il concetto di locale come servizio pubblico. Aspettiamoci città sempre più sporche, puzzolenti. Aspettiamoci scene poco civili, perchè del resto quando scappa, scappa. Siamo all'assurdo, anche nel raccontarlo, ma è la realtà creata dal Governo, troppo impegnato a scrivere in burocratese piuttosto che a farsi capire e ad usare il buonsenso.


Il testo della Faq

Il testo della Faq recita: "I clienti possono entrare nei locali esclusivamente per l’uso dei servizi igienici, per effettuare il pagamento del conto (ove non fosse possibile effettuarlo all’esterno) o per acquistare i prodotti per asporto e comunque per il tempo strettamente necessario senza creare assembramenti. In fascia arancione e rossa, invece, l’ingresso nei locali è consentito solo per il tempo strettamente necessario ad acquistare i prodotti per asporto. Non è, quindi, consentito l’utilizzo dei servizi igienici da parte dei clienti".

Ricordarsi di andare in bagno prima di uscire

Insomma se in zona arancione vogliamo trascorrere una giornata all'aria aperta a passeggiare o se vogliamo passare qualche ora a sgranchirci le gambe dobbiamo ricordarci di fare tutti i nostri bisogni prima di uscire, come ci insegnavano da bambini. Oppure, arrangiarci. Ecco, appunto, arrangiarci: come detto le città saranno destinate al degrado - oltre che alla desertificazione di attività - e la strada verso questo triste destino è già iniziata.

Città verso il degrado

Basta guardarsi attorno e vedere come siano sempre di più le persone che si accampano per strada a mangiare un piatto d'asporto. Il panino non basta più, la scodella di insalata è per pochi, il trancio di pizza è roba da anni '90: io giovani oggi cercano la pizza intera nel cartone da mangiarsi al parco, vogliono il completo di sushi, un poké stracolmo e accompagnarsi con birra e vino. L'idea è affascinante, sa di pic-nic, porta i giovani all'aria aperta a condividere ancora il piacere della "tavola": ma le scene di sporcizia che si rivelano il mattino dopo sono, a tratti, raccapriccianti.

Ma diversamente non possiamo fare. Stare chiusi in casa, no, non ne possiamo più. Mangiare all'esterno nei ristoranti è un'occasione, ma non siamo ancora pronti a scontrarci con la dura realtà di mille regole, incertezze e volti tesi dei ristoratori. E allora ci arrangiamo per strada, a mangiare e a fare i nostri bisogni perchè non dappertutto si può accedere al bagno. Certo, un'autocritica sul senso di civiltà che ai cittadini manca diffusamente è doveroso. Ma che il Governo non sappia stilare da subito regole chiare, precise, semplici, di buonsenso è una colpa che dura dal primo decreto alla quale ancora non è stato posto rimedio.

Ancora polemiche per il divieto di consumo al bancone

Anzi, l'assurdità delle norme si moltiplica. Basti pensare al divieto di bersi un caffè al volo al bancone, in pieno stile italiano: buono, ma rapido prima del lavoro. A distanza di quattro giorni dall’entrata in vigore effettiva del Dl Riaperture, Fipe-Confcommercio accende un riflettore sul tema delle consumazioni al banco, da sempre consentite in zona gialla, non esplicitamente vietate dal nuovo decreto, ma impedite da una circolare diffusa il 24 aprile dal Viminale. Una circolare con la quale si mette al bando un consumo pratico, veloce e sicuro particolarmente apprezzato dai consumatori anche per la sua economicità.

«Il divieto di consumazione al banco è privo di fondamento giuridico e sanitario. Se il governo non vuole contraddire sé stesso, dovrebbe chiarire una volta per tutte e in maniera inequivocabile che bere un caffè al banco e mangiare un croissant è possibile e, con il giusto distanziamento interpersonale, privo di rischi. Ci aspettiamo che si metta subito mano ad un intervento che ristabilisca la possibilità di consumare al banco».

«Siamo di fronte a un doppio paradosso - sottolinea Aldo Cursano, vicepresidente vicario della Federazione italiana dei Pubblici esercizi – dall’inizio della pandemia ci hanno spiegato che il virus si trasmette in seguito a contatti prolungati, ravvicinati e non protetti. Eppure ora si vieta il consumo al banco, che per sua natura è estremamente rapido. Il secondo paradosso è che, in base a quanto stabilito dal decreto appena entrato in vigore, dal primo giugno si potrà riprendere il consumo ai tavoli anche al chiuso. Curiosamente però, stando alle indicazioni del Viminale, non al banco».

«Questo - conclude Cursano - è un attacco al modello del bar italiano, che noi vogliamo invece difendere lanciando una campagna a livello nazionale. Un modello, conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, fatto di caffè bevuti velocemente, al bancone, tra una pausa e l’altra e accompagnati al massimo da un salato o un dolce. Un’abitudine per milioni di italiani che è linfa vitale per i 144mila bar del nostro Paese che dall’inizio della pandemia hanno registrato una perdita di fatturato di 8 miliardi di euro e una riduzione della forza lavoro pari a 90mila persone».

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Alberto Lupini


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