Si scopre l’acqua calda se si dice che la Cina è vicina. “La Cina è cambiata”, ecco qualcosa di appena un po’ meno banale, e continuando sulla stessa strada c’è da capire se è cambiata la percezione italiana del mondo cinese. Chi sono “loro”, per noi? I lavoratori infaticabili capaci di sacrificare ogni affetto al dio denaro? I rivenditori di cineserie a buon mercato, a cominciare dall’involtino primavera surgelato e riscaldato alla meglio, dal sapore di cavolaccio bollito? Stereotipi anche questi, talora venati di razzismo.

«In realtà la vera cucina cinese la si conosce ben poco, qui a Milano». L’affermazione è di Elena Shang, titolare del ristorante “Blue Ginger”, a Milano in viale Troya 22, zona Giambellino. «Io sono cinese ma il mio ristorante non punta sui soliti piatti italo-cinesi che buona parte dei milanesi ha mangiato almeno una volta: pollo alle mandorle, involtini primavera, gelato fritto… e chi l’ha mai visto, in Cina, il gelato fritto? Tutta roba creata per venire incontro ai gusti occidentali».
Pur sapendo che il cuoco cinese del ristorante, Cheng Kang, sa spaziare dal cinese al giapponese e dal thailandese al vietnamita, io sono stato attirato qui da un superclassico: la gloriosa tradizione cantonese del Dim Sum, che si potrebbe forse tradurre con “spuntino”. Si tratta dei tradizionali ravioli che in Cina vengono serviti insieme al té a qualsiasi ora del giorno, o da portar via e consumare magari a scuola mentre aspetti che arrivi il professore dell’ora successiva - anche in posti insoliti, quindi. Insoliti? Solo per noi occidentali…

Elena Shang
«Il Dim Sum è già qualcosa di più autenticamente cinese e meno commerciale», continua Elena. «Ma siccome lo chef ama aggiungere sempre un tocco personale alle tradizioni orientali, le sfoglie che avvolgono i vari ripieni hanno colori e gusti sempre nuovi: stasera assaggerà il raviolo al cioccolato ripieno di astice, e poi ancora la sfoglia all’arancia con dentro il salmone, e poi altri abbinamenti come sfoglia alla barbabietola con rombo, noci e mango. La frutta è una vera propria passione, in questo ristorante, e riusciamo a lavorarla in tantissime forme e combinazioni. Ho fatto solo alcuni esempi di fantasia culinaria, con cui lo chef spesso riesce a sorprendere anche me, nonostante lo conosca da anni: ci vuole tanto tempo per sperimentare le sfoglie nuove ma Cheng ci mette davvero il cuore, altrimenti sarebbe fermo alle solite proposte. C’è affiatamento, tra noi, perché si è creato un rapporto di fiducia».
Elena, dopo nove anni di lavoro nello stesso posto, ha mai pensato di replicare il successo da qualche altra parte?
Sì, ci ho pensato. Avevo cominciato a fare un piano e poi mi son fermata. La fiducia, dicevo prima: in questo locale s’è creato un buon rapporto con i clienti, si fidano di me e questo è importante. Cosa succederebbe se ci fossero tre “Blue Ginger” da gestire? Io non riesco a lavorare controllando da lontano come girano le cose, mi piace essere presente, riconoscere le persone che tornano a mangiare da me e diventano clienti abituali.
Non so se si possa parlare di sentimentalismo o di mania del controllo, nel caso di Elena Shang, perché alla fine i risultati sembrano darle ragione: le puntine di maiale in salsa piccadillo che mi ha fatto servire testimoniano di una gentilezza e di un’attenzione non comune, che si esprime nella tenerezza della carne e nel perfetto equilibrio fra grasso e polpa. Ci vuole un po’ di studio, ma anche passione e pazienza per ottenere tutto ciò.
E quindi al di là delle solite immagini del ristorante cinese in cui non riesci a capire bene cos’hai nel piatto, e il livello di fiducia scende a zero, è il caso di rimanere curiosi e sperimentare qualcos’altro: perché la Cina è vicina, la Cina cambia, ed è talmente grande e antica da riproporre in una luce nuova i rapporti di fiducia tra clienti e ristoratori. Proprio a partire da Milano, magari.
Per informazioni:
www.blueginger.it