Crespi d'Adda, situato nel punto in cui le acque del fiume Brembo si immettono nell’Adda, è un affascinante villaggio industriale nato nel 1876 su un territorio precedentemente incolto vicino al fiume. L'esperimento di Crespi d'Adda durò cinquant'anni, concludendosi nel 1929. Oggi, la fabbrica non è più operativa, ma l'abitato ospita una comunità discendente da coloro che vissero e lavorarono qui. Dal 1995 entra a far parte della lista del Patrimonio Mondiale dell'Umanità, come “esempio eccezionale del fenomeno dei villaggi operai, il più completo e meglio conservato del Sud Europa”.
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Il villaggio operaio di Crespi d'Adda
Situato all'estremo sud dell'Isola Bergamasca, ai piedi delle Orobie, Crespi d'Adda rappresenta un microcosmo con architetture sognanti e speranze ingenuamente intrecciate. Il villaggio è un capolavoro urbano dove spazio, tempo e architettura si fondono in un meccanismo perfetto. Nonostante la sua apparente indifferenza al contesto circostante, è un luogo intriso di significato, storia e cultura. Crespi d'Adda è più di un esempio di storia architettonica; è un viaggio nelle aspirazioni industriali dell'Ottocento, un'utopia che ha preso forma attraverso macchine, formiche, ostinazione e illusioni. Nasce dalla determinazione di un uomo ricco, autoritario e ostinato nel perseguire i suoi sogni, con suo figlio che cerca di realizzarli.
Questo luogo fuori dal tempo è il risultato di un progetto totale che investì il territorio. Il villaggio industriale di Crespi d'Adda è un testimone dell'importanza di coniugare l'utilità con la bellezza, riflettendo l'opinione raffinata dell'Ottocento che credeva che le cose pratiche dovessero anche essere belle. Oggi, Crespi d'Adda è un'esperienza di viaggio unica, dove ci si orienta non con mappe, ma con passi, sguardo e esperienza. Attraverso le sue fragili architetture e la sua storia industriale, il villaggio offre una prospettiva affascinante sull'ascesa e la caduta di un sogno, catturando l'essenza di un'epoca e di una comunità che ha lasciato un'impronta duratura nella storia.
La Casöla Bergamasca
La Casöla nel dialetto bergamasco (o Cassoeula in milanese) è uno stufato a base di carne di maiale e verza, con l'aggiunta di diversi tagli di carne suina. La casöla bergamasca si distingue dalla versione milanese, e la stessa pronuncia del termine evidenzia le sue peculiarità. Mentre la cassoeula milanese prevede l'utilizzo di piedi, cotenne, orecchie e muso, la casöla bergamasca si concentra su costine e insaccati come cotechini o salamini.
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la Casöla Bergamasca
La scelta della verza è un elemento chiave nella preparazione della casöla. La regola tradizionale suggerisce di utilizzare la verza che ha subito il gelo, conferendole un gusto più dolce e tenero. Questo dettaglio riflette l'attenzione per gli ingredienti e la stagionalità, testimoniando l'antica saggezza culinaria della zona.
Celebre piatto culinario della tradizione lombarda, si distingue per la sua peculiare preparazione e il suo legame con la cultura locale. Il 17 gennaio, giorno dedicato a Sant'Antonio Abate, segna l'inizio di questa tradizione gastronomica, in un contesto dove si intrecciano fili religiosi, culturali e antropologici. Nato come uno spartiacque tra le festività natalizie e le allegre celebrazioni carnevalesche, questa data diventa il momento propizio per macellare i maiali, associando questa pratica al santo del freddo e dell'inverno. Questa connessione tra Sant'Antonio Abate e il maiale risale all'XI secolo, quando ai monaci antoniani fu concesso di allevare e consumare questi animali.
Il lungo tempo di cottura della casöla, con la bollitura delle ossa del maiale, è un rituale ancor oggi rispettato nelle famiglie locali durante i giorni di freddo intenso. Questo piatto non è solo un'esperienza culinaria, ma un modo di testimoniare l'importanza storica e culturale di una comunità che, attraverso il cibo, conserva le proprie radici e celebra la sua identità.