La costa marchigiana tra Grottammare (Ap) e San Benedetto (Ap) possiede il profilo lungo di una frase che parte dal porto, sale tra le palme del lungomare liberty, attraversa la terrazza del Kursaal e si spinge oltre la linea dell’acqua, dove il mare prende luce in una maniera che scuote lo sguardo e al tempo stesso lo calma. In cima al palazzo, Attico sul Mare occupa un piano alto che sembra scelto apposta per guardare il territorio dall’alto e dal centro, con la sabbia pettinata in basso, il traffico leggero del lungomare più in basso ancora e l’Adriatico che entra a fiotti dalle vetrate della sala bianca.

Attico sul Mare: la vista
Qui la definizione di “cucina tipica contemporanea” esce dai confini della formula e si riempie di facce, di nomi, di piatti, di storie. I riconoscimenti lo confermano e al tempo stesso arrivano dopo una lunga marcia: segnalazione tra le novità della Guida Michelin 2025, ingresso nella lista dei cento ristoranti innovativi di Forbes, due forchette del Gambero Rosso, presenza nelle guide de L’Espresso e del Touring. L’indirizzo resta una terrazza affacciata sull’Adriatico, la sostanza assomiglia a un osservatorio sul modo in cui una costa intera decide di raccontare se stessa attraverso il mare e la campagna.
La muccigna della nonna e il mare visto dalla cucina
Dentro questa storia il primo capitolo porta il nome di una donna, la nonna di Simone e Sara Marconi, che vendeva muccigna (termine dialettale marchigiano che indica l'ultima cassetta di pescato dai pescherecci prima di rientrare in porto, composta da pesciolini piccoli, freschissimi ma difficili da commercializzare, usata storicamente per pasti casalinghi) con il carretto in una frazione di San Benedetto, tra Porto d’Ascoli e le strade interne che odorano di pesce e di terra umida. Le cassette arrivavano dagli armatori come un segno di riconoscenza verso i pescatori che lavoravano sulle barche.

Attico sul Mare: Simone e Sara Marconi
Il pesce più minuto finiva in casa, accompagnava la vita quotidiana e riempiva i piatti di chi non vedeva il mare da un tavolo di ristorante, ma dalla finestra della cucina. Le parti più ricercate seguivano altre rotte, raggiungevano mercati lontani, alimentavano una geografia commerciale fatta di viaggi notturni e fermate in città maggiori. Nelle case restava il pesce “povero”, che povero non appare più quando entra nella pentola con l’attenzione di chi impara a estrarre sapore da tagli considerati marginali. Da quella abitudine nasce la convinzione che la ricchezza passa da ciò che il mare offre ogni giorno, la tavola si costruisce a partire dalle parti meno celebrate e il gusto nasce da un rapporto stretto con ciò che arriva dal porto.
Brodetto lungo e aceto forte con il mare in profondità
Il brodetto alla sambenedettese rappresenta la forma più alta di questo rapporto e porta con sé una storia che parte dal Settecento e dall’Ottocento, quando le barche affrontavano pesche oceaniche e il tempo sulla nave richiedeva piatti capaci di resistere e di accompagnare giornate intere. Aceto e peperoni entrano in gioco per questa ragione, verdura che resta viva fuori dalla ghiacciaia, acidità che salva, conserva e sostiene. Chi guarda la ricetta con gli occhi di oggi pensa a un gesto estremo, quasi a una scelta controintuitiva; chi osserva attraverso la lente della storia vedrà invece l’atto lucido di una comunità che si affida a ciò che possiede.

Attico sul Mare: Brodetto alla sambenedettese
Il brodetto perfetto richiede cinque o sei ore di cottura, richiede residui, lische, teste, passaggi successivi, richiede una cura ferma nell’equilibrare aceto e dolcezza naturale del pesce. Quando la curva acida trova il punto giusto, il piatto assume una profondità che racconta la povertà, la fatica, il mare lungo e la necessità di portare a bordo qualcosa di caldo e nutriente. All’Attico questa storia trova due forme: il brodetto tradizionale su prenotazione, quasi un rito che occupa tempo e fuoco, e il riflesso contemporaneo dentro piatti come la rana pescatrice con peperone alla brace, dichiarata in menu “come in un brodetto alla sambenedettese”, un secondo che porta sulla porcellana la memoria di quella zuppa antica con una struttura più essenziale e concentrata.
Statue al molo, poesia e curva: l’anima di San Benedetto del Tronto
San Benedetto del Tronto vive intorno a questo piatto e lo circonda di simboli che non appaiono in carta ma restano sottotraccia in sala. Le statue delle donne affacciate sul molo ricordano gli sguardi rivolti all’orizzonte in attesa del rientro delle barche, la poesia Nuttate de luna mette in fila parole che descrivono la paura e la speranza, il fiato sospeso per riconoscere la vela di famiglia. Quelle figure femminili guardano ancora il mare, mentre la città contemporanea parla di calcio, derby e curve. Anche la Sambenedettese, la squadra cittadina, nasce da un gesto comunitario, guidato dai pescatori che offrivano cassette di pesce per convincere i giocatori a vestire quella maglia, come se il mare finanziasse direttamente la squadra, come se il porto volesse un riverbero sulla terra. Non a caso, diecimila spettatori in Serie D raccontano proprio la forza di questo legame.
Il baratto tra orto e porto, i figli con il camice e i nonni in mare
Lo stesso mondo produce un’economia di scambi tra mare e orto. I pescatori possiedono un passato contadino, i contadini salgono sulle barche durante certe stagioni, il baratto tra pesce e prodotti dell’orto diventa pratica comune. La nonna di Simone e Sara consegna un chilo di pesce e riceve in cambio pane, verdura, frutta, ciò che serve in quel momento. Le discussioni tra barche sul brodetto rientrano nella stessa grammatica: c’è chi sostiene che una versione senza aceto tradisce la regola, c’è chi insiste per una dose più forte, c’è chi considera la propria pentola l’unica legittima. L’immagine di un vecchio pescatore che guarda il nipote medico o dottore e lo indica come traguardo desiderato corona una vita intera in mare, mesi fuori casa e sacrificio perché figli e nipoti potessero studiare. Il ristorante di oggi discende da quell’intenzione, prende forma dentro una traiettoria che parte da chi in mare ha passato anni e sui libri ne desiderava altri per chi veniva dopo.

Attico sul Mare: la sala
Dal Kursaal stanco a un attico vivo sul mare
Attico sul Mare entra in scena in un momento in cui il Kursaal vive una fase faticosa. Il locale al piano alto porta una storia di cambi di gestione e commenti taglienti in paese. Carne, pesce, pizza, una sequenza confusa che lascia dietro di sé diffidenza. Simone e Sara decidono di prendere in mano il posto in questa fase, con amici che lo guardano con stupore e una comunità che arriva al massimo per curiosità. I primi anni si basano su una strategia spiazzante: grandi serate con cantanti, comici, figure popolari che riempiono la sala. Paghi un prezzo che copre spettacolo e cena, vieni per la musica o per l’artista e scopri lentamente che anche la cucina regge e cresce. Serve tempo per cancellare le voci ma lo sforzo costruisce una fiducia nuova, abbastanza solida da permettere un passo successivo.
Tommaso Melzi, la tecnica delle montagne e il pesce dell’Adriatico
In quel momento entra in gioco la figura di Tommaso Melzi, cuoco cresciuto tra la trattoria piemontese della nonna e la cucina dell’hotel di famiglia, passato dalle montagne altoatesine della Stua de Michil, con una stella Michelin e una cultura di cucina che pretende disciplina, organizzazione e attenzione maniacale alla cottura e ai tempi di servizio. Tommaso porta in Attico sul Mare il bagaglio tecnico maturato in quel contesto e lo innesta al mare marchigiano e al carattere della famiglia Marconi.

Attico sul Mare: lo chef Tommaso Melzi
San Benedetto e Grottammare mettono sul tavolo bomboletti, seppie, macchioline di mare, merluzzi, rombi; la memoria piemontese aggiunge fondi, salse, rispetto per il quinto quarto; le radici abruzzesi completano il quadro con una sensibilità per la carne e per le cotture lunghe. Il confronto quotidiano tra Simone e Tommaso produce la cucina attuale, che si definisce davvero nel corso degli ultimi tre anni con una scelta netta verso una ristorazione riconoscibile, ancorata al territorio ma aperta a prospettive contemporanee.

Attico sul Mare: Rombo dalla testa alla coda
Hortus, arancio biondo e un giardino storico che nutre la cucina
La terra entra in scena in maniera esplicita con Hortus, la fattoria di famiglia a pochi chilometri dalla costa. Diciassette ettari che nascono come casa di campagna del suocero di Simone, diventano orto per la famiglia, poi orto per l’Attico sul Mare e infine azienda agricola registrata. Lì crescono frutteti, vigne, ortaggi, cereali, piante di arancio biondo del Piceno e di limone pane, insieme a polli, faraone, pavoni, animali da cortile che riportano la cucina a un’idea di cortile agricolo abitato.

Attico sul Mare: Insalatina di mare
Il giardino storico al centro della proprietà custodisce un antico agrumeto, riconosciuto come il giardino del Crocifisso da un’alta funzionaria dell’amministrazione museale, che spinge per il recupero di quell’area e porta il Ministero della Cultura a classificare il sito come museo a cielo aperto. Oggi il giardino è visitabile con biglietto e audioguida, vive una stagione di riscoperta botanica e storica e alimenta fisicamente la cucina del ristorante. L’arancio biondo del Piceno, con buccia sottile, polpa dolce e colore caldo, entra in piatti come la faraona in salsa d’ostriche con tuberi e bernese all’arancio biondo.

Attico sul Mare: Un sottobosco di bomboletti
Tre percorsi in carta tra orto, mare e memoria di tavolate marchigiane
Il menu racconta questo sistema in maniera trasparente. HortusGiardino presenta quattro portate dedicate ai prodotti della fattoria, percorso che mette in fila ortaggi, erbe spontanee, agrumi, carni di cortile in una chiave contemporanea, con piatti come la tagliatellina al verde con pesto di erbe spontanee e profumo di limone o i tortellini ciauscolo, verza e mela rosa dei Sibillini, piatto che lega Marche interne e memoria emiliana attraverso un formato riconoscibile e un ripieno profondamente territoriale.

Attico sul Mare: Tagliatellina al verde, panocche, crudo di gamberi rosa e profumo di limone
OrmaiClassici raccoglie cinque portate di mare che hanno scandito i primi diciotto anni del ristorante, memoria condivisa tra brigata e clienti affezionati, con la possibilità di aggiungere i superclassici: crudi alla vecchia maniera, in cassetta con ostriche e crostacei, e gli spaghetti “Latini” con pomodorini e vongole cotti alla brace, piatto che sembra nato in spiaggia, con il fumo leggero della griglia che entra nel sugo e sposta il sapore di un formato apparentemente semplice .

Attico sul Mare: Cavatelli alla quintessenza di mare
ManoLibera, sette portate a sorpresa tra terra e mare, rappresenta la zona di maggiore libertà creativa. La carta, invece, apre uno spazio conviviale con la sezione CondividiConAmore, in cui la selezione di quattro antipasti di mare scelti da Tommaso e il carosello di antipasti con crudi rappresentano un omaggio alle tavolate marchigiane, alle cene in famiglia, alle domeniche al ristorante in cui il centro tavola si riempie di piatti da assaggiare a turno. Il brodetto sambenedettese richiama quella stessa mentalità, inserito in questa sezione come zuppa tipica su prenotazione e un prezzo che racconta il valore del tempo impiegato, più che il solo costo delle materie prime.

Attico sul Mare: Faraona in salsa d'ostriche, carota e bernese all'arancia bionda del Piceno
Una sala bianca, un pianoforte nero e una cantina lunga diciannove metri
La sala lega tutto questo con un linguaggio proprio. Il bianco delle pareti e delle tovaglie amplifica la luce del pomeriggio e restituisce alla sera un chiarore morbido, il pianoforte nero occupa una posizione che ricorda le stagioni dei concerti ma oggi rappresenta soprattutto un segno di continuità estetica. Simone si muove tra i tavoli con il passo di chi conosce il proprio pubblico, guida nelle scelte senza invadenza, inserisce aneddoti, racconti sul pescatore che ha portato un certo pesce, sul lavoro nell’orto, su una vendemmia particolare. Sara porta in dote una carta dei vini ampia e stratificata dentro una cantina lunga diciannove metri, progettata e costruita da un artigiano locale, con pannelli che si spostano e permettono di ridisegnare lo spazio delle bottiglie. Tre calici raccontano il territorio, cinque costruiscono un viaggio tra Italia e Francia, con verticali ragionate e abbinamenti studiati per i diversi percorsi di cucina.

Attico sul Mare: la cantina
Nuvola, caffè del marinaio e dolci che allungano la rotta del vino
I dessert proseguono il discorso. Nuvola riprende l’idea del maritozzo e la porta verso una struttura più leggera, con fondente e marmellata di arancia biondo del Piceno; in abbinamento la sommelier propone un amaro locale prodotto con arancio biondo e alloro, oppure un Muffato della Sala, con la muffa nobile che costruisce una dolcezza ampia. Il tiramisù al caffè del marinaio omaggia una bevanda tipica dei pescatori sambenedettesi, mentre il sorbetto mediterraneo con arancia, finocchi e olive nere unisce elementi di costa e di orto in un bicchiere che pulisce la bocca e apre un altro tratto di conversazione.

Attico sul Mare: Tiramisù del pescatore
Un attico sull’Adriatico che tiene insieme tutto questo
Attico sul Mare oggi appare così, una terrazza affacciata su un tratto di Adriatico che pulsa di memorie e di lavoro, un luogo in cui la nonna con il carretto, il pescatore che discute sull’aceto del brodetto, il contadino che baratta verdure con cassette di muccigna, il sindaco storico e il tifoso in curva finiscono dentro lo stesso racconto. La sala bianca del Kursaal, con il mare che spinge contro le finestre, tiene insieme tutte queste traiettorie, mentre un brodetto sobbolle in cucina e un pianoforte nero continua a occupare il suo angolo, testimone muto di un pezzo di Adriatico che ha scelto l’altitudine per spiegare la propria profondità.
Piazza Kursaal 6 63066 Grottammare (Ap)