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Deliveroo, condanna del tribunale: Un algoritmo danneggia i riders, risarcimenti per 50mila euro

Il Tribunale di Bologna ha condannato la nota piattaforma di delivery dopo che i sindacati l'avevano denunciata per poca chiarezza nelle modalità di affidamento degli ordini ai fattorini.

 
08 gennaio 2021 | 17:04

Deliveroo, condanna del tribunale: Un algoritmo danneggia i riders, risarcimenti per 50mila euro

Il Tribunale di Bologna ha condannato la nota piattaforma di delivery dopo che i sindacati l'avevano denunciata per poca chiarezza nelle modalità di affidamento degli ordini ai fattorini.

08 gennaio 2021 | 17:04
 

Colpo basso per gli algoritmi. Il 30 dicembre il tribunale di Bologna ha emesso un'ordinanza, firmata dalla giudice Chiara Zompì, che definisce discriminatorio quello utilizzato da Deliveroo, la nota piattaforma di consegna del cibo a domicilio, per gestire le prenotazioni delle sessioni di lavoro da parte dei rider. Una sentenza che condanna l'azienda a pagare 50mila euro di risarcimento alle organizzazioni sindacali che hanno fatto ricorso oltre a sostenere le spese legali.

Il tribunale punisce Deliveroo - L'algoritmo danneggia i riders Deliveroo risarcirà 50mila euro

Il tribunale punisce Deliveroo

Primo caso di un algoritmo condannato
«È probabilmente il primo caso in cui un algoritmo viene chiamato a comparire in tribunale e ritenuto illegittimo in Europa nel rapporto tra privato e privato - commenta Mario Guglielmetti, legale presso lo European Data Protection Supervisor (EDPS), l'autorità europea indipendente per la protezione dei dati personali - esistono diversi precedenti riguardanti algoritmi utilizzati da soggetti pubblici, come ad esempio il sistema SiRy che stimava la probabilità dei cittadini olandesi di commettere frode ai danni dello Stato, sospeso a febbraio dalla corte distrettuale dell'Aia perché accusato di violare i diritti umani. Il pronunciamento del tribunale di Bologna è il primo in cui un sistema automatico viene considerato illegittimo nel rapporto tra due soggetti privati, come sono da considerarsi Deliveroo e i riders, che l'azienda inquadra come collaboratori autonomi».

Problemi sulle priorità d'accesso
Ma perché l’algoritmo è finito sul banco degli imputati? Esso stabilisce le priorità di accesso al sistema di prenotazione delle sessioni di lavoro e il suo funzionamento non è chiaro; durante il procedimento è stato ricostruito solo grazie alle testimonianze di alcuni fra i riders che si sono rivolti alle associazioni sindacali per ricorrere contro l'azienda. Nessuna obiezione da parte di Deliveroo. «Questo rende particolarmente significativa questa ordinanza: l'opacità dei sistemi automatici di assistenza alla decisione non è più sufficiente a proteggere le aziende e sollevarle dalle loro responsabilità nei confronti dei lavoratori», afferma Massimo Durante, professore associato all'Università di Torino, filosofo del diritto ed esperto di governance algoritmica (il suo ultimo libro in italiano è “Potere computazionale”, edito da Meltemi).

Visto l’alone di mistero che regna sugli algoritmi in genere e nello specifico su questo è doveroso chiarire perché è discriminatorio. Si tratta del sistema che assegna le priorità di accesso al "self-service booking", la prenotazione delle sessioni di lavoro settimanali. Ogni lunedì i rider iscritti alla piattaforma hanno la possibilità di prenotare le sessioni di lavoro della settimana. Ma non lo fanno tutti nello stesso momento. Coloro che hanno un punteggio reputazionale maggiore, infatti, possono accedere alla prenotazione dalle 11 del lunedì. Chi è in posizione intermedia vi accederà dalle 15, i rider che occupano i posti più bassi della classifica solo dalle 17 in poi. Chi accede più tardi ha meno possibilità di scelta, chiaramente.

Secondo quanto riferito da uno dei testimoni accedendo alle 11 si possono prenotare fino a 40 ore settimanali, alle 15 ci si assicura tra le 13 e le 17 ore settimanali, mentre alle 17 le sessioni settimanali ancora disponibili superano difficilmente le due ore. Le prime sessioni a essere prenotate sono quelle del weekend, in cui il numero di consegne è sensibilmente più alto e dunque le possibilità di guadagno maggiori.

Affidabilità e partecipazione tra gli indici
Due sono gli indici che contribuiscono a classificare un rider: affidabilità e partecipazione. L'affidabilità decresce quando il lavoratore non esegue l'accesso alla piattaforma entro i primi 15 minuti dall'inizio della sessione di lavoro localizzandosi nell'area per cui ha dato disponibilità a eseguire il servizio di consegna, tranne nel caso in cui l'abbia cancellata almeno 24 ore prima. La partecipazione invece aumenta con il numero di sessioni di lavoro in cui il rider ha prestato il suo servizio durante i periodi di picco, dalle 20 alle 22 di venerdì, sabato e domenica. Se un rider non cancella la sua prenotazione con sufficiente anticipo per via di uno sciopero a cui vuole prendere parte o per motivi di salute o di cura dei figli minori, l'algoritmo comunque lo giudicherà meno affidabile e lo farà scendere nella classifica reputazionale mettendo a rischio la sua priorità di accesso alle prenotazioni.

Nella sentenza la giudice ha sottolineato che l'algoritmo è in grado di contemplare delle eccezioni, nel caso in cui si verifichi un incidente nel turno precedente a quello a cui il rider non partecipa o nel caso in cui la piattaforma che gestisce i rider si blocchi e diventi inaccessibile. Sarebbe, dunque, bastata la volontà da parte dell'azienda di tenere in considerazione il diritto allo sciopero, diritto costituzionalmente garantito, per adeguare di conseguenza l'algoritmo. L'ordinanza potrebbe avere rilevanza nazionale, visto che il sistema con cui Deliveroo ha gestito le priorità di accesso alle prenotazioni da parte dei rider è stato in uso su tutto il territorio nazionale.

Da Deliveroo nessuna obiezione
«L'altro elemento estremamente interessante di questa sentenza è che inverte, seppur parzialmente, l'onere della prova nell'ambito di un giudizio antidiscriminatorio che si applica al funzionamento di un algoritmo», commenta ancora Durante, «la giudice ha infatti accettato le testimonianze delle parti ricorrenti a prova degli effetti discriminatori dell'algoritmo sui lavoratori chiedendo all'azienda di provare l'insussistenza della discriminazione». Deliveroo, dal canto suo, non ha fornito a riguardo alcun dettaglio, a parte dichiarare che il sistema non è più utilizzato dal 2 novembre 2020 e che anche prima di quella data i rider hanno sempre avuto un'alternativa alla prenotazione, quella del cosiddetto free login. «L'azienda ha accettato la ricostruzione del funzionamento del sistema automatizzato emersa in corso di causa, piuttosto che dimostrare il contrario svelando la cosiddetta black box della intelligenza artificiale utilizzata»commenta ancora Guglielmetti, «questo ha impedito di condurre un vero audit tecnologico sull'algoritmo», conclude.

Cambia il diritto al lavoro
La sentenza ha ripercussioni anche dal punto di vista del diritto del lavoro. In un intervento sulla rivista Il Mulino, Antonio Aloisi e Valerio de Stefano, autori del volume 'Il mio capo è un algoritmo. Contro il lavoro disumano' edito da Laterza, notano come autonomia e indipendenza dei lavoratori delle piattaforme digitali siano di fatto virtuali e che questo sia stato ormai riconosciuto da diversi tribunali in Europa (tra gli ultimi esempi la sentenza del tribunale di Palermo del novembre 2020 che ha imposto a Glovo di assumere a tempo indeterminato uno dei suoi ciclofattorini).

Sottolineano però i due giuristi, che l'ordinanza del tribunale di Bologna consideri di fatto i rider di Deliveroo come subordinati e si concentri su un altro aspetto, quello della responsabilità dell'azienda riguardo le decisioni prese automaticamente sulla base di valutazioni statistiche. La corte dunque è andata oltre il formalismo dell'inquadramento del rapporto di lavoro e ha affermato un principio: è giunto il tempo di guardare dentro alle scatole nere degli algoritmi e correggerne i difetti se non si vuole incorrere in giudizi come quello di Bologna. Nell'affermare questo principio si comunica anche un altro concetto centrale al problema della governance algoritmica: i sistemi automatici non sono né neutri, né oggettivi. Come ha scritto la giornalista Cathy O'Neil nel suo libro 'Weapons of Math Destruction': «i modelli non sono altro che opinioni scritte nel linguaggio della matematica».

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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