Pochi pescatori professionisti (un'ottantina circa) e specie ittiche sempre più ridotte. O meglio: Lombardia, Veneto e Provincia autonoma di Trento hanno deciso di dare il via libera a uno studio sulla presenza di coregoni e agoni (la sardina del lago) nel Garda. Finalmente si conoscerà la situazione del bacino lacustre più grande d'Italia, dove da alcuni anni è in vigore (è sempre utile ricordarlo) il divieto di pesca delle anguille a causa della presenza di diossina (PCBs, policlorobifenile) nei fondali.

Qual è la salute dei pesci del lago di Garda? Parte lo studio
L'Università dell’Insubria di Varese dovrà rispondere in sostanza a due quesiti: come stanno i pesci del Benaco? Quali politiche vanno messe in campo per preservare la fauna lacustre e garantire la sostenibilità della pesca? Insomma, com'è lo stato di conservazione della fauna ittica. «Un ambiente ricco di biodiversità - ha ricordato l'assessore lombardo all’Agricoltura Alessandro Beduschi - ma esposto a diverse pressioni: dall'impatto umano alle specie invasive, fino all'inquinamento. Tutti fattori che negli ultimi anni hanno inciso sulla qualità e quantità del pescato».
Lo studio, finanziato con 830mila euro, si concluderà nel 2027. Analisi necessaria anche perché l'offerta da parte dei ristoranti di pesce di lago è diventata sempre più una rarità; o meglio, quel che viene messo in carta spesso proviene da altre destinazioni (leggasi: allevamenti non sempre trasparenti nella filiera dell'acqua dolce). Oggi sul Garda sono attive 80 imprese di pesca professionale che portano avanti un’attività storica e identitaria, che vive un periodo di difficoltà a causa della sospensione della immissione e cattura del coregone, legata a vincoli di legge ancora in vigore. Lo studio concentrerà le proprie analisi sulle specie di maggior interesse per la pesca professionale (coregoni e agoni), con particolare attenzione alla sostenibilità e alla convivenza con il carpione, specie endemica e simbolica dell’ecosistema gardesano.
Di Renato Andreolassi