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Centri commerciali chiusi la domenica Lo chiede una petizione di Change.org

La liberalizzazione degli orari e delle aperture degli esercizi commerciali introdotta dal governo Monti all’inizio del 2012 ha messo in ginocchio i negozi al dettaglio, incapaci di far fronte alla concorrenza dei colossi dello shopping. Secondo Confesercenti sono oltre 73mila le piccole medie imprese chiuse in Italia

di Lucio Tordini
 
11 agosto 2017 | 10:37

Centri commerciali chiusi la domenica Lo chiede una petizione di Change.org

La liberalizzazione degli orari e delle aperture degli esercizi commerciali introdotta dal governo Monti all’inizio del 2012 ha messo in ginocchio i negozi al dettaglio, incapaci di far fronte alla concorrenza dei colossi dello shopping. Secondo Confesercenti sono oltre 73mila le piccole medie imprese chiuse in Italia

di Lucio Tordini
11 agosto 2017 | 10:37
 

Chiudere i centri commerciali le domeniche e i giorni festivi”. È questo il titolo della petizione lanciata alcuni giorni fa dal portale Change.org, che ha ormai quasi raggiunto i 19mila sostenitori (ma l’obiettivo è raggiungere le 25mila firme) e che si rivolge alle più alte cariche istituzionali. Ciò su cui si punta il dito sono gli effetti disastrosi che il decreto liberalizzazioni varato dal governo Monti alla fine del 2011 ha avuto nei confronti del commercio al dettaglio.

Centri commerciali chiusi la domenica Lo chiede una petizione di Change.org

Facciamo un passo indietro. Tra le norme contenute nella manovra cosiddetta “Salva Italia”, entrata in vigore all’inizio del 2012, c’erano quelle relative agli orari degli esercizi commerciali: aperture di negozi e centri commerciali con orari prolungati, sette giorni su sette, inclusi quindi la domenica e i giorni festivi. Una misura che nelle intenzioni avrebbe dovuto favorire le nuove assunzioni, i consumi e la crescita economica, ma che di fatto ha messo in ginocchio i piccoli e medi esercenti, incapaci di far fronte alla concorrenza spietata dei grandi centri commerciali, che si fondano sull’abbattimento del costo del lavoro e sull’obbedienza alle logiche della grande distribuzione. Il commercio al dettaglio ha dimostrato di non avere il numero di dipendenti necessari per sostenere orari prolungati di apertura, arrivando in molti casi a dover abbassare per sempre la saracinesca.

«L’occupazione è rimasta invariata - si legge nel testo della petizione di Change.org - così come i fatturati delle aziende. Confesercenti ci dice che sono oltre 73mila le piccole medie imprese chiuse in Italia e si sono persi 60 miliardi in spese da parte delle famiglie da quando è in vigore questa legge. I lavoratori sono gli unici a pagare: turni massacranti tutte le domeniche e tutti i festivi a lavoro senza la giusta retribuzione; straordinari non pagati; flessibilità oraria; ricatti, esuberi, licenziamenti e abusi di ogni genere. Ci state togliendo la nostra cultura, le nostre tradizioni, la nostra famiglia e la nostra dignità! Chiediamo che la legge in questione venga modificata e che si discuta la proposta ferma in Senato da anni».

La petizione acquista ancor più valore se si considera una tendenza in atto ormai da qualche anno, acuita in particolare negli ultimi mesi: la progressiva chiusura dei centri commerciali oltreoceano. Negli Stati Uniti, infatti, oltre 4mila negozi e grandi magazzini hanno chiuso nel giro di pochi mesi, a cavallo tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017. Entro fine anno il numero potrebbe salire a 9mila. Il Fort Steuben Mall, in Ohio, ha visto il proprio valore precipitare da 43 a 7 milioni di dollari in una decina d’anni. Sembra essere in atto un processo di de-industrializzazione in America. Un fenomeno che presto arriverà anche in Europa e in Italia. Parlando di occupazione, sempre negli Usa da gennaio a luglio i licenziamenti nel settore retail sono aumentati del 46,7%, in 15 anni il comparto ha perso un quarto dei suoi dipendenti e il nuovo esercito del lavoro è composto da cassieri e commessi a 25mila dollari lordi l’anno.

Il modello economico che invece sta prendendo sempre più piede è quello dell’e-commerce e della sharing economy. Le piattaforme digitali stanno attraversando una fase di grande sviluppo, consentendo all’economia di scambio di ridurre quasi a zero i costi marginali. Tale settore, dall’inizio della recessione del sistema economico ad oggi, ha generato ben 355mila posti di lavoro, tanto che di recente il colosso dell’e-commerce Amazon ha tenuto una “job fair” per assumere 50mila persone.

Per firmare la petizione di Change.org CLICCA QUI.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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