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venerdì 19 dicembre 2025  | aggiornato alle 11:59 | 116433 articoli pubblicati

La crisi della sala è nata alle scuole medie: lì l’alberghiero è stato raccontato male

La crisi della sala non è una scossa improvvisa. È un processo lungo, che nasce molto prima dell’ingresso nel lavoro. Già alle scuole medie, l’alberghiero è stato spesso indicato come un’alternativa di serie B, una strada per chi “non aveva altre opzioni”, costruendo nel tempo una percezione distorta e penalizzante della sala

di Nicholas Reitano
Redattore
19 dicembre 2025 | 05:00
La crisi della sala è nata alle scuole medie: lì l’alberghiero è stato raccontato male
La crisi della sala è nata alle scuole medie: lì l’alberghiero è stato raccontato male

La crisi della sala è nata alle scuole medie: lì l’alberghiero è stato raccontato male

La crisi della sala non è una scossa improvvisa. È un processo lungo, che nasce molto prima dell’ingresso nel lavoro. Già alle scuole medie, l’alberghiero è stato spesso indicato come un’alternativa di serie B, una strada per chi “non aveva altre opzioni”, costruendo nel tempo una percezione distorta e penalizzante della sala

di Nicholas Reitano
Redattore
19 dicembre 2025 | 05:00
 

La crisi della sala non è un’emergenza improvvisa né un problema nato dentro i ristoranti. È una frattura più profonda, che affonda le radici molto prima dell’ingresso nel mondo del lavoro. Per capirla davvero bisogna infatti tornare alle scuole medie, al momento in cui l’alberghiero viene raccontato spesso come una scelta di ripiego e adatta a chi “non è portato” per altro. Il risultato di tutto ciò è sotto gli occhi di tutti: il crollo delle preferenze per gli istituti alberghieri, passate dal 9,2% del 2014/15 al 3,94% nell’anno scolastico 2025/26, con effetti diretti sulla qualità e sul ricambio generazionale della sala.

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È da qui che, secondo Vito Pecoraro - dirigente scolastico dell’istituto alberghiero Pietro Piazza di Palermo e presidente di Renaia (la Rete nazionale degli istituti alberghieri) - bisogna ripartire. «Se non cambiamo il modo in cui orientiamo e comunichiamo queste scuole, continueremo a inseguire l’emergenza senza risolverla». Una riflessione che, in sostanza, chiama in causa tutti, famiglie, docenti e istituzioni, perché la scelta dell’alberghiero avviene troppo presto per essere lasciata a stereotipi che nulla hanno a che fare con la realtà.

Oltre la comunicazione: i fattori strutturali della crisi

Il problema, però, non si esaurisce nella comunicazione sbagliata. A renderlo più complesso sono i fattori strutturali che negli ultimi anni hanno accelerato la crisi. Tra questi, in particolare, il calo demografico, ma da solo non basta a spiegare la perdita di attrattività degli alberghieri. «È vero, nascono meno ragazzi rispetto a dieci anni fa - osserva Pecoraro - ma quello che vediamo è anche uno spostamento delle scelte verso altri indirizzi. C’è una quota crescente di studenti che guarda altrove, spesso senza conoscere davvero cosa offre oggi un istituto alberghiero».

La crisi della sala è nata alle scuole medie: lì l’alberghiero è stato raccontato male

Vito Pecoraro, dirigente scolastico dell’istituto alberghiero Pietro Piazza e presidente di Renaia

Al Piazza di Palermo il dato è evidente: in due anni gli iscritti sono passati da circa 2.900 a circa 2mila. Una flessione importante, che riflette un trend nazionale. Eppure, dentro questa contrazione, emergono segnali interessanti. «Quando si arriva al momento della specializzazione, al terzo anno, vediamo diminuire la cucina a favore della sala. È una crescita lieve, ma costante rispetto al passato».

Un segnale che suggerisce come il problema non sia il mestiere in sé, quanto l’idea che se ne ha prima di entrarci davvero in contatto. A pesare, poi, come detto, anche altri elementi: la scarsa conoscenza reale delle opportunità offerte dall’ospitalità e una filiera dell’orientamento che spesso semplifica invece di spiegare. È in questo spazio, prima ancora che nei numeri, che si forma la distanza tra scuola, professione e percezione sociale.

Orientamento e pregiudizi: il vero nodo culturale

Tutto torna, quindi, ancora una volta, all’orientamento. «È lì che dobbiamo intervenire» insiste Pecoraro. «Non solo con gli studenti e le famiglie, ma anche all’interno del mondo della scuola». Il pregiudizio sull’alberghiero come scelta di serie B continua a circolare: «C’è ancora chi pensa che se uno è bravo va al liceo, altrimenti finisce nel professionale. È una visione sbagliata». Perché, ricorda, «qui servono studio approfondito, creatività, capacità gestionali, spirito di iniziativa. Non basta saper fare una ricetta o un cocktail». E i programmi, spesso denigrati, «sono invece seri e attuali», puntualizza Pecoraro (confermando quanto detto già da Fiorenzo Ferrari, preside del Maggia di Stresa).

Raccontare l’alberghiero per quello che è davvero

Per questo la comunicazione diventa decisiva. Durante gli open day, l’istituto lavora per mostrare la varietà delle figure professionali e delle traiettorie possibili. «Non raccontiamo solo lo chef o il cameriere. Facciamo vedere che si può lavorare nel bar, nella vendita, nella gestione, nell’accoglienza. È un mondo enorme, aperto anche all’innovazione». Un linguaggio diverso, più aderente alla realtà, che prova a intercettare le aspettative delle nuove generazioni.

La crisi della sala è nata alle scuole medie: lì l’alberghiero è stato raccontato male

L’orientamento è decisivo perché è lì che si formano le prime gerarchie di valore

Il dato spesso trascurato è che l’alberghiero continua a offrire sbocchi concreti. «Chi si diploma e vuole lavorare, trova lavoro. La richiesta è alta». Una parte degli studenti sceglie l’università, altri cambiano settore, ma «circa il 40% resta nell’ospitalità». Numeri che raccontano un settore tutt’altro che fermo, ma che ha bisogno di una visione più lunga.

Scuola, risorse e imprese: una responsabilità condivisa

In questa prospettiva, Pecoraro richiama anche il ruolo delle istituzioni. «Dopo il Covid, con il Pnrr, sono arrivati fondi importanti per la scuola, ma spesso non rispondono alle esigenze quotidiane degli alberghieri». Nel concreto: «Mancano risorse per le derrate alimentari, per le esercitazioni di cucina e di bar. Senza questo, la formazione pratica si indebolisce». Un investimento strutturale, non episodico, resta una richiesta aperta. C’è poi il tema del rapporto con le imprese. «Al mondo della ristorazione chiederei di credere di più nella scuola. Quando accoglie uno studente in alternanza, deve vederlo come una persona in formazione, non come un lavoratore da sfruttare. Serve un patto di corresponsabilità».

Alla fine, il punto è sempre lo stesso: restituire senso e prospettiva. «Ai ragazzi bisogna far capire che questo è un mondo in cui ci si può realizzare, professionalmente e personalmente». Perché la sala - e più in generale l’ospitalità - non è una parentesi, ma un settore che permette di costruire carriere vere, anche ambiziose, con possibilità di crescita, mobilità e responsabilità che pochi altri ambiti offrono con la stessa rapidità. Ma senza un cambio di linguaggio e di orientamento, il rischio è continuare a rincorrere l’emergenza. Con una comunicazione più onesta e una scuola messa nelle condizioni di funzionare, invece, la partita resta aperta.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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