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Dal Maffei all'Amo Bistrot: il modello Gambaretto conquista Verona

Cinque insegne attive, oltre 90 dipendenti e una direzione precisa: con il gruppo “Do It Better”, Luca Gambaretto ha dato forma a un sistema che coniuga visione imprenditoriale e radicamento cittadino. Dalla centralità della sala al valore del team, tra bistrot, ristoranti storici e nuove trattorie urbane, Verona ritrova così un'identità gastronomica concreta e plurale

11 giugno 2025 | 10:40
Dal Maffei all'Amo Bistrot: il modello Gambaretto conquista Verona
Dal Maffei all'Amo Bistrot: il modello Gambaretto conquista Verona

Dal Maffei all'Amo Bistrot: il modello Gambaretto conquista Verona

Cinque insegne attive, oltre 90 dipendenti e una direzione precisa: con il gruppo “Do It Better”, Luca Gambaretto ha dato forma a un sistema che coniuga visione imprenditoriale e radicamento cittadino. Dalla centralità della sala al valore del team, tra bistrot, ristoranti storici e nuove trattorie urbane, Verona ritrova così un'identità gastronomica concreta e plurale

11 giugno 2025 | 10:40
 

Non si conquista una città con i proclami. La si conosce, la si abita e la si interpreta, giorno dopo giorno. Verona, con le sue simmetrie di pietra, il suo doppio registro tra storia e immagine, richiede gesti lenti e profondi. La ristorazione, in questo senso, è forse il modo più politico per entrare in una città e cambiarla da dentro. Lo sa bene Luca Gambaretto, classe 1989, che da quindici anni dirige un gruppo imprenditoriale oggi tra i più solidi e identitari dell'intero nord-est.

Dalle chiavi del Maffei a un gruppo da 90 persone: la parabola di Gambaretto

«Nel 2010 avevo 21 anni. Mi hanno dato le chiavi del Maffei mentre facevo ancora l'università. Mi hanno detto: vediamo se ce la fai. Era un salto nel vuoto, ma dentro quel ristorante c'era tutto. Storia, città, memoria. E c'era anche mio padre, che l'aveva rilevato nel 1990 insieme ad altri soci». Il padre, Ferdinando, era un commercialista. Aveva scelto il Maffei come investimento, ma la passione vera, inattesa, tocca al figlio. «All'inizio facevo il lavapiatti, poi aiutavo ai primi. Ma è in sala che ho capito chi fossi. Lì c'è il rapporto con l'ospite, lì si gioca tutto».

Dal Maffei all'Amo Bistrot: il modello Gambaretto conquista Verona

Il ristorante Maffei di Verona

Dal 2010 a oggi, Luca ha costruito un piccolo sistema. Non un impero, ma un'idea coerente. Oggi il gruppo "Do It Better" conta oltre novanta dipendenti, un forno in apertura, cinque insegne attive, una sesta che si prepara a prendere forma. «Ma quello che conta davvero sono le persone. I progetti vengono dopo. Puoi avere l'idea più bella del mondo, ma se non hai chi li porta avanti, è carta straccia».

Luca Gambaretto, dal primo progetto in solitaria alla svolta imprenditoriale

Il primo passo dopo il Maffei si chiama Oblò, aperto nel 2014. «Era la prima hamburgeria della città. Era un momento in cui Verona non conosceva ancora quel tipo di proposta, semplice ma fatta bene. Quello è stato il mio primo progetto in solitaria». Tre anni dopo, nel 2017, arriva la vera svolta, l'apertura quasi simultanea di Amo Bistrot, del secondo Oblò a Trento e di Saos, un format salutista che oggi non fa più parte del gruppo. «In sette mesi siamo passati da due a cinque locali. Ho sbagliato tanto, e per fortuna. Credo molto nella cultura dell'errore. In Italia è vista male, ma è fondamentale. Se sbatti la testa, poi impari”.

Il bistrot che nessuno voleva: oggi è in Guida Michelin

Amo Bistrot oggi è l'insegna più visibile, quella che ha saputo dialogare meglio con la città e con il suo cambiamento. Si trova accanto a Palazzo Forti, in uno dei luoghi più stratificati di Verona: da sede storica del Museo Opera, a hub culturale per arte, musica, eventi. «Il locale ha avuto quattro gestioni in cinque anni prima di noi. Quando ho deciso di prenderlo mi dicevano tutti che ero pazzo. Oggi siamo in guida Michelin. Ma non è quello il punto. Il punto è che da sette anni abbiamo lo stesso chef, lo stesso direttore, una squadra stabile. Questo è il segreto».

Dal Maffei all'Amo Bistrot: il modello Gambaretto conquista Verona

Alcuni piatti dell'Amo Bistrot di Verona

Mirco Pasini, alla guida della cucina di Amo dal primo giorno, ha costruito una proposta che fonde la cucina giapponese con quella italiana, in un gioco costante di contrappunti, equilibri, rimandi. «Il Pad Thai, il salmone marinato al koji, i bao, i takoyaki. Abbiamo scelto piatti veri, che portano con sé una cultura. Non li abbiamo occidentalizzati. Abbiamo studiato le tecniche, le materie prime, ci siamo affidati a chi li conosce davvero». E accanto alla cucina, il cocktail pairing. «Il bere è parte della proposta. Ogni piatto ha un suo drink, ogni sapore trova una spalla liquida».

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Ma Amo è anche un contenitore di altro. Arte, esposizioni, concerti, eventi. «Vogliamo parlare a un pubblico giovane, curioso, cittadino. La nostra idea di fusion è anche culturale. Non è solo nei piatti, è nei linguaggi. Abbiamo ospitato mostre, fatto suonare musicisti, esposto artisti emergenti. Amo deve essere un posto vivo». Nel 2024, accanto al bistrot, ha aperto Amo Giardino, cocktail bar stagionale allestito nel cortile. «Un modo per sfruttare meglio gli spazi e offrire una proposta diversa. Funziona, perché la gente vuole luoghi dove stare, non solo dove consumare».

Il Maffei, tra scavi romani e cucina classica: dove tutto è cominciato

Il Maffei, intanto, resta la base, il fulcro. «Lì è iniziato tutto. Palazzo Maffei è uno dei luoghi simbolo della città, si affaccia su Piazza delle Erbe, sorge sopra gli scavi del Capitolium romano. È una responsabilità portarlo avanti. Ma è anche un onore». Il ristorante ha 170 coperti, un dehors su piazza, due sale storiche, una cantina e una sala immersa negli scavi archeologici, il celebre tavolo Giulietta & Romeo. «Facciamo una cucina italiana, classica, ben fatta. Abbiamo due percorsi degustazione, Terra e Mare. Il nostro cliente cerca bellezza e sicurezza. E deve trovarle entrambe». Accanto a Luca c'è Silvia Gambaretto, sorella e restaurant manager. Si occupa della formazione in sala, dell'accoglienza, degli eventi.

La Pigna è tornata. E Verona ha di nuovo la sua trattoria di riferimento

L'ultima insegna del gruppo è La Pigna, aperta nel 2024 in via Pigna, a pochi passi da Piazza Erbe. «Era la trattoria preferita di mio padre. Non amava i ristoranti eleganti, amava le osterie. La Pigna è un omaggio a lui e ai veronesi. Un posto popolare, di città, dove puoi fare l'aperitivo o mangiare trippe e lumache, bigoli e baccalà. Siamo partiti con una proposta semplice, vera, radicata. Ma dietro c'è tutto il nostro metodo».

Dal Maffei all'Amo Bistrot: il modello Gambaretto conquista Verona

Silvia e Luca Gambaretto

La Pigna ha tre ambienti: un banco bar per l'aperitivo, una sala al piano terra accessibile e una taverna con volte a botte. «Il menu è costruito con piatti identitari italiani, con attenzione alle materie prime. La carta dei vini punta su etichette naturali e piccoli produttori. Vogliamo che sia un posto libero, informale, cittadino».

Luca Gambaretto: «La sala è tutto. Il futuro si gioca sull'accoglienza»

Oggi Gambaretto guida un gruppo che costruisce relazioni. «Per me la ristorazione è fatta di persone. Il nostro modello prevede due giorni liberi a settimana, contratti da 40 ore, corsi di lingua, di sommellerie, di cucina. Abbiamo creato una nostra academy interna. C'è chi segue i nuovi assunti, c'è chi diventa tutor. Tutti devono crescere, non solo lavorare». Ma il tema centrale resta quello della sala. «Ho discusso tanto con mio padre. Lui diceva che sono gli chef a fare l'immagine di un ristorante. Io dico che la sala è tutto. Lo chef non ti apre la porta. Non ti fa star bene. Ti puoi dimenticare un piatto, ma non come ti sei sentito. E questo lo determina chi ti accoglie. La sala forma trasforma, insegna. Stare in sala vuol dire imparare a stare al mondo».

«Noi abbiamo perso per troppi anni intere generazioni di professionisti di sala perché li abbiamo trattati come manodopera. Ma questo è un mestiere bellissimo. Se sei bravo puoi fare tutto. Ti apre un sacco di porte. Però devi investire sulle persone. Non puoi pensare che restino se gli dai solo ore da fare e zero prospettive». Gambaretto fa parte anche degli Ambasciatori del Gusto. «Ci si confronta. Ci si ascolta. Ma serve cambiare testa. Oggi non è più l'azienda che sceglie il candidato. È il contrario. Se non dai un progetto, la gente se ne va. E fa bene. Noi dobbiamo meritarci i collaboratori. E tenerli. Altrimenti non siamo imprenditori, siamo solo datori di lavoro».

Turismo e identità: il rischio di una Verona senz'anima

La città, intanto, osserva. Verona si è molto uniformata negli ultimi anni. «C'è stato un grande impatto turistico. Il rischio è che si perda l'anima. Noi cerchiamo di restare legati al territorio, ma senza chiuderci. Verona ha tradizioni forti, piatti iconici. Ma ha anche voglia di nuovo. Il punto è non svendere la propria identità». E per chi arriva a Verona senza sapere dove mangiare? Ammesso, va da sé, che abbia già fatto tappa nei locali del gruppo. ”Io consiglio sempre posti dove si sente una famiglia dietro. Per esempio La Greppia. Lì c'è una storia vera, una famiglia vera, un'idea di accoglienza autentica”.

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Verona si è molto uniformata negli ultimi anni

La parola che torna più spesso in tutta la conversazione è identità. Nei piatti, nei locali, nel modo di lavorare. «La qualità è una questione di rispetto. Per chi lavora con te, per chi viene a mangiare. Noi non vogliamo essere ovunque. Vogliamo stare dove possiamo essere riconoscibili. Verona è la nostra città. E deve vedersi».

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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