Quando Alberto Basso apre TreQuarti, nel 2010, i Colli Berici non erano ancora un luogo canonico per i gourmet. Spiazzo di Grancona era (e resta) un punto sulla mappa dove si arriva se si vuole arrivarci. Nessuno ci passa per caso. E forse va bene così.
Quindici anni di TreQuarti: un progetto maturato, non ancora concluso
Quindici anni dopo, la domanda è inevitabile: cosa rappresenta oggi quel progetto per lui? «L’idea è sempre stata chiara. Col tempo abbiamo dovuto rallentare o modificarne l’impostazione, e anche se a oggi alcuni obiettivi concreti non sono ancora stati raggiunti, siamo soddisfatti del nostro lavoro e della nostra crescita personale». In fondo, la posta in gioco è chiara: «Siamo contenti di avere uno stile di cucina nostro, cosa che anni fa non c’era, probabilmente non eravamo ancora pronti».

Ristorante TreQuarti: la sala
Una cucina giocosa e istintiva, dove l’idea nasce anche per scherzo
Il percorso di TreQuarti non ha avuto mai il tono scolastico dell’alta cucina. Da sempre, dentro c'è un sorriso. «Sicuramente la parte “fun”, quella più giocosa. Fa parte di me, è molto identitaria, rappresenta quel che sono. Non potrei mai toglierla dal mio modo di presentare un piatto e di raccontarmi». Ecco il manifesto. Un’altra cosa che si nota è l'assenza di dogmi. Un piatto nuovo può nascere da una folgorazione notturna o da una gara a chi spinge più in là. «Un’intuizione durante la giornata, un’idea di notte. C'è il bisogno di prendere appunti quando sovviene per non farsela sfuggire. Altre volte è il frutto di una sfida tra colleghi per estremizzare qualcosa di già noto, per gioco».
Eppure, il gioco non è mai improvvisazione. Il passaggio chiave è l'assaggio collettivo, un momento quasi familiare, anche troppo autocritico. «Tendiamo ad essere spesso troppo critici nei nostri confronti, allora preferisco affidarmi a clienti affezionati, con loro posso avere dei confronti più genuini».
Erbe spontanee, tabacco e baccalà dolce: il territorio ripensato a modo nostro
La cucina di Basso nasce in un territorio preciso, anche se i suoi piatti viaggiano molto. Eppure i Colli Berici tornano sempre, anche nei dettagli. «Tra i prodotti sottovalutati penso alle tante erbe spontanee che ad oggi non si conoscono come meritano, il nostro dovere è farle emergere. Qui in zona abbiamo grandi coltivazioni di piante di tabacco, ad esempio, e per quanto non sia facile proviamo nella nostra cucina a darne il giusto valore». E poi il baccalà, icona locale che al TreQuarti cambia ritmo: «Tanti locali propongono il classico Baccalà alla vicentina, noi abbiamo voluto rivisitarlo in chiave diversa, in chiave dolce».
Dal tubetto di mortadella alla finta carne: il gusto come provocazione intelligente
A questo punto arriva inevitabilmente il tubetto. Una spuma di mortadella in confezione da dentifricio da spremere sul pane. Sembra uno scherzo. Ma non lo è. «Dico sempre che nella vita dobbiamo prenderci un po’ meno sul serio. Questo concetto rivive in questo tubetto. Viviamo le nostre giornate in maniera molto stressante, dal lavoro alla famiglia: almeno quando i miei ospiti vengono a trovarmi, voglio che si divertano».

TreQuarti: Carne dello chef
Non è solo un vezzo. È un modo per ripensare la sequenza del gusto, o forse per restituire una libertà che la liturgia dell’alta cucina aveva un po’ dimenticato. Perché chi siede al TreQuarti non viene per farsi dire cosa deve provare. Viene per provare, appunto. Ed essere sorpreso. Come quando si assaggia un piatto che sembra un filetto di carne ma carne non è. «È un gioco, la voglia di sfidare il palato del cliente. L’ho assaggiato, ne sono rimasto entusiasta e mi son detto "perché non farlo provare ai nostri commensali?". Diventa entusiasmante specie perché la maggior parte della gente non se ne accorge». L’importante è che alla fine ci sia stupore. «Vedi espressioni stupite, stupisci, diverti e ti diverti. Non c’è autocelebrazione, solo il desiderio di proporre cose nuove con lo scopo di strappare un sorriso e lasciare un bel ricordo».
La sala secondo Christian Danese: accoglienza precisa e mai uguale
Il servizio, nel frattempo, ha cambiato pelle. Il ruolo del personale di sala è diventato più importante, più fluido. Al TreQuarti lo incarna Christian Danese, il sommelier. «Possiamo considerarlo in termini “fun” il nostro giullare di corte, nell’accezione del saper intrattenere gli ospiti in base alle loro esigenze. È molto professionale, sa switchare a seconda del cliente che ha davanti». Il servizio, quindi, è un racconto che cambia tono a seconda della tavola. «Se può permettersi una battuta in più la fa, crea un’atmosfera più distensiva, ma se il cliente desidera un’impostazione della serata più classica, c'è la capacità di cogliere questa volontà e rispettarla nella maniera più elegante possibile».

Il sommelier Christian Danese con lo chef Alberto Basso
Tortellini ripieni di crème brûlée e brodo d’Asiago: una tradizione ribaltata
E se bisogna scegliere un solo piatto che racchiuda oggi il pensiero dello chef? La risposta arriva netta: «Tortellini in brodo. Tradizionale, un classico, ma con una rivisitazione vera, dalla tecnica all’effetto wow, senza mai perdere di eleganza». Il piatto in questione, infatti, propone dei tortellini asciutti, serviti come se fossero dei plin, con un ripieno sorprendente: una crème brûlée all’Asiago di montagna, che esplode al palato in un gioco di consistenze inatteso. Accanto, come spalla liquida, viene servito un brodo estratto dalle croste dello stesso Asiago, a richiamare e amplificare il senso del piatto.

TreQuarti: Tortellini
Guidare i giovani chef: la nuova responsabilità del presidente JRE Italia
Anche il ruolo pubblico dello chef è cambiato. Alberto Basso è oggi presidente di JRE Italia, l’associazione dei Jeunes Restaurateurs. Un ruolo di formazione e responsabilità. E sui motivi che lo animano, Basso non ha dubbi: «la passione e la voglia per questo mestiere, la volontà di portare avanti la cucina italiana. Portarne l’eccellenza in giro per il mondo. Abbiamo bisogno di nuove leve che credano in questo mestiere. Stiamo lavorando per trovare nuovi talenti che abbiano questo nostro stesso desiderio. Talento e passione. Queste sono le sfide più importanti».
Creatività e sostenibilità: il cuoco come imprenditore e l’equilibrio come mestiere
Ma il mestiere di cuoco oggi è anche quello di imprenditore. O non esiste. «Bisogna trovare un equilibrio. Noi siamo imprenditori di noi stessi: essere morigerati negli acquisti, essere padroni del food cost, essere bravi nel creare, non essere banali nel proporre, dare qualche diamante insieme a qualche pietra un po’ più grezza». Anche qui, la parola è equilibrio. «Ci deve essere equilibrio in un’esperienza che comunque rimanga nella memoria del cliente e giustifichi la visita al ristorante». E infine, la consapevolezza: «Difficilmente si vive di fine dining: a questo bisogna affiancare altre attività, per essere sostenibili con noi stessi. Ristoratori come cuochi ma anche come imprenditori, due facce di una stessa medaglia».
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