Quotidiano di enogastronomia, turismo, ristorazione e accoglienza
giovedì 10 luglio 2025  | aggiornato alle 12:51 | 113389 articoli pubblicati

Per Valentino Tafuri il segreto per una pizza digeribile è la cottura, non la lievitazione

Valentino Tafuri, pizzaiolo e co fondatore del Pizzificio 3 Voglie ci racconta la sua “ossessione” per gli impasti. Crea blend unici con farine tecniche e agricole e sfata il mito della digeribilità della pizza spiegando il ruolo della gelatinizzazione degli amidi tramite una cottura ottimale. Come formatore ritiene passione e fame di conoscenza le chiavi del successo

02 luglio 2025 | 13:01
Tafuri: «Il segreto per una pizza digeribile? La cottura, non la lievitazione»
Tafuri: «Il segreto per una pizza digeribile? La cottura, non la lievitazione»

Per Valentino Tafuri il segreto per una pizza digeribile è la cottura, non la lievitazione

Valentino Tafuri, pizzaiolo e co fondatore del Pizzificio 3 Voglie ci racconta la sua “ossessione” per gli impasti. Crea blend unici con farine tecniche e agricole e sfata il mito della digeribilità della pizza spiegando il ruolo della gelatinizzazione degli amidi tramite una cottura ottimale. Come formatore ritiene passione e fame di conoscenza le chiavi del successo

02 luglio 2025 | 13:01
 

Chi è Valentino Tafuri? Classe 1989, è pizzaiolo e co-fondatore del Pizzificio 3 Voglie di Battipaglia (Sa). Temprato da quella gavetta di “una volta” trova la sua strada nel mondo della pizza a 24 anni, un progetto che, in oltre un decennio, gli ha offerto la libertà di sperimentare, crescere e andare ben oltre i confini del classico disco di pasta, focalizzandosi in particolare sull'importanza cruciale degli impasti. Oggi è formatore e consulente per diverse realtà, ma più di tutto è artigiano dalla profonda conoscenza (seppur la giovane età) che gli permette di influenzare anche i professionisti più esperti. La sua storia è un esempio di che dimostra come nel mondo della pizza non si finisce mai di imparare.

La pizza secondo Valentino Tafuri: l'importanza dell'impasto

Il concetto di pizza secondo Tafuri è stratificato e si basa sulla ricerca e sulla lavorazione degli impasti. «Ne proponiamo diversi», spiega, rivelando l'approccio che caratterizza il suo locale: offrire al cliente non solo l'impasto classico, ma anche alternative come l'integrale o il farro. Questi impasti speciali vengono prodotti una volta a settimana e poi abbattuti, un metodo che riflette una precisa filosofia di lavoro che punta alla standardizzazione, ma lo affronteremo più avanti.

Per Valentino Tafuri il segreto per una pizza digeribile è la cottura, non la lievitazione

Il concetto di pizza per Tafuri è stratificato e si basa sulla ricerca e sulla lavorazione degli impasti

La sua è una pizza campana, caratterizzata da morbidezza e un cornicione non eccessivamente pronunciato, di circa due centimetri. È una pizza che «sa un po' di pane" e che, nell'impasto classico, prevede già l'aggiunta di farro integrale. «Cerchiamo sempre di “sporcare” gli impasti», afferma, un'espressione che sottolinea la ricerca di complessità e profondità nel gusto. La cottura avviene a una temperatura di 380°C, un fattore cruciale che conferisce un sapore deciso e distintivo all'impasto al momento dell'assaggio. Oggi, nel suo locale, l'offerta è vastissima: oltre alla tradizionale tonda, si trovano il padellino, il "Moris" (un impasto con pistacchio), e il "Pop", a testimonianza di una crescita che, per Valentino, è sempre stata focalizzata sugli impasti. «Mentre oggi vai in delle pizzerie e mangi dei topping stellati - illustra - la mia esperienza e la mia crescita è sempre vocata invece agli impasti».

L'alchimia delle farine: la scelta dei produttori

Un aspetto fondamentale per ogni pizzaiolo è anche la scelta dei marchi e delle materie prime. Valentino Tafuri rivela una predilezione per Molino Mariani, ma non nasconde un grande apprezzamento per la Petra 9 di Quaglia, che ritiene a suo avviso «la farina integrale migliore». Tuttavia, il segreto dei suoi impasti non si può attribuire ad  un unico produttore, bensì in un'attenta combinazione. «Con la Paolo Mariani - spiega - riesci a fare un ottimo lavoro di standardizzazione nel tempo», racconta, ma il suo approccio si spinge oltre i mulini più noti, seguendo una logica di ricerca e valorizzazione del territorio.

Per Valentino Tafuri il segreto per una pizza digeribile è la cottura, non la lievitazione

Valentino Tafuri, pizzaiolo e co-fondatore del Pizzificio 3 Voglie di Battipaglia (Sa)

«Ci affidiamo per esempio ad agricoltori della zona, come nel caso di Terre di Resilienza con Antonio Pellegrino, un produttore del Cilento», racconta. Qui trova la Segale Iermana e il Grano Abbondanza, grani antichi meno diffusi, o si rivolge a «Gabriele Petrone in un paesino sperduto del Cilento che produce il Grano Saragolla o il Grano Carosella». Questa è la vera forza del suo metodo: «Prediligo l'abbinamento di farine come quelle di Petra o Paolo Mariani, insieme a quelle di produzione più agricola/artigianale». L'unione di queste componenti dà vita al suo impasto integrale distintivo, dove il 30% è farina agricola e il 70% farina tecnica, un «connubio che possa dare il migliore risultato desiderato».

Il “blend” perfetto secondo Tafuri: oltre l'Integralismo

In questo modo, si crea un vero e proprio "blend" personalizzato. Infatti, la sua visione va oltre qualsiasi integralismo, proponendo un equilibrio pragmatico tra artigianalità e tecnica. «Se vieni da noi e mangi una pizza stai mangiando un impasto con il 30-40% di farina agricola e il 60% di quella tecnica - spiega - in quel modo stiamo utilizzando la farina industriale, che fortunatamente ha avuto passi da giganti, per consumare almeno un 40% di farina agricola e realizzare un prodotto più buono di quello se lo fai al 100% con la convenzionale».

La sua argomentazione è chiara e diretta: «Oggi se fai una pizza con una farina al 100% agricola, parliamoci chiaro, quella pizza non si può mangiare, perché non ha le giuste caratteristiche per poter ricreare quelle che sono le scioglievolezze, le forme, le consistenze». Questo non solo garantisce un prodotto finale superiore, ma offre anche un sostegno concreto agli agricoltori locali: «Lavorando in questa maniera si aiuta l'agricoltore di zona che ha 80 ettari di grano che deve coltivare ogni anno e deve vendere, invece di darli a grossi produttori a 40 euro al quintale, li riesce a vendere a noi a 120 euro al quintale». Un approccio che unisce un'etica sostenibile al gusto e alla qualità delle materie prime locali.

Standardizzare la produzione per organizzare il lavoro al meglio

Entriamo nel vivo dei segreti che distinguono la pizza di Valentino Tafuri analizzando le caratteristiche e le tempistiche del suo processo di maturazione. Valentino spiega un concetto affascinante, che ruota attorno al loro impasto che chiamano "MT-25" e alla fase di "appretto" (la seconda e ultima lievitazione del panetto dopo lo staglio). Gli impasti, in media, hanno 24 ore di lievitazione, ma possono arrivare fino a 72. Questa estensione dei tempi non è casuale, ma rientra nel piano organizzativo al fine di migliorare il lavoro della squadra: «Cerco di impastare tre volte a settimana invece che tutti i giorni. I ragazzi una volta a settimana preparano i diversi impasti che proponiamo e ogni giorno porzionano i 6-12 panetti che servono, al fine di dare sempre costanza al cliente senza accumulare lo stress di fare questo processo quotidianamente».  In questo modo il lavoro del processo viene standardizzato e lascia tempo per organizzare gli altri aspetti del locale.  

Per Valentino Tafuri il segreto per una pizza digeribile è la cottura, non la lievitazione

Gli impasti di 3 Voglie, in media, hanno 24 ore di lievitazione

In questo schema produttivo ben definito, anche gli impasti della pizza seguono una logica precisa, senza la necessità di essere preparati quotidianamente. «Succede che la domenica, che è l'ultimo giorno di lavoro della settimana, realizziamo gli impasti per il martedì», rivela. Per gestire al meglio questi tempi prolungati e garantire la massima qualità, adotta soluzioni specifiche: « È ovvio che il lavoro sempre nell'ottica di aumentare la percentuale di farina forte, in base all'aumentare del tempo e per stare ulteriormente tranquilli  abbiamo diminuito la temperatura del nostro frigorifero dai 2 a 0 gradi per non far lievitare troppo gli impasti, al fine di non avere tanta puntata e sviluppare tenacità».

Il segreto della digeribilità: la cottura e la gelatinizzazione degli amidi

Il discorso si sposta ora su un altro pilastro dell'arte di fare pizza: la temperatura di cottura e il suo impatto sulla digeribilità. Tafuri ci smonta un mito diffuso, quello che lega la digeribilità alla sola lievitazione. «Faccio un esempio aggiunge - per spiegare a chi crede che la giusta lievitazione sia sintomo di digeribilità e dico sempre: ma la pasta fresca, matura?» Per lui, la maturazione non è sinonimo di digeribilità, bensì di scioglievolezza, di aumento del gusto e dell'aroma, grazie all'incremento dell'acidità e dell'attività delle proteasi, enzimi che «rompono le maglie proteiche» e migliorano la consistenza. La vera chiave della digeribilità risiede unicamente nella gelatinizzazione dell'amido. «L'amido è un polisaccaride spiega - nel momento in cui lo cuoci a 72 gradi diventa subito disponibile al nostro organismo».

Per Valentino Tafuri il segreto per una pizza digeribile è la cottura, non la lievitazione

Valentino Tafuri nel laboratorio del Pizzificio 3 Voglie

Il problema sorge quando questo processo non avviene correttamente: «Se te mi cuoci una pizza idratata all'80%, a 450 gradi per un minuto e mezzo, avrai uno strato sotto al pomodoro di quella pizza non gelatinizzata e quando ingerisci un polisaccaride che non è stato gelatinizzato, te la notte non dormi, punto!». Ed è qui che si spiega, ad esempio, perché «la pizza in teglia romana è più digeribile della napoletana, perché quella cuoce a 300 gradi, è croccante». La croccantezza, in questo contesto, diventa un indicatore di corretta cottura e gelatinizzazione. «Qualsiasi pizza croccante può essere buona, anche la peggiore se la “croccantizzi” è buona». Insomma, tempo e temperatura sono i parametri fondamentali e irrinunciabili per una pizza digeribile.

Un errore frequente: la biga al 100%

Affrontando un tema cruciale per i professionisti, chiediamo a Valentino Tafuri quale sia l'errore più frequente che riscontra  tra i suoi colleghi. La sua risposta è puntuale e rivela una profonda conoscenza dei processi di lievitazione: l'utilizzo di una biga al 100% nella pizza. (Per biga si intende un impasto indiretto, chiamato anche pre-impasto, creato con farina, acqua e lievito che viene aggiunto successivamente all'impasto vero e proprio di molti prodotti da forno per svolgere una funzione lievitante, ndr). Valentino è perentorio: «Non si può guardare e mangiare una biga al 100%». Per spiegarlo meglio, fa un parallelo con la panetteria. Una ciabatta, spesso realizzata con il 100% di biga e un'idratazione all'80%, dopo la prima lievitazione (puntata del 100%, la puntata è la prima lievitazione che avviene tra l'impasto e la formazione dei panetti, ndr), viene capovolta, tagliata a stampo libero e infornata dopo soli 10 minuti. Il processo, dall'impasto all'infornata, dura circa due ore.

La sostenibilità di un impasto: dilemma tra qualità e spreco

La questione cruciale, secondo Tafuri, è come si possa pensare di applicare questo modello a un servizio di pizzeria che produce per 3-4 ore, dalle 19 alle 23/24. «Come possiamo noi permetterci di fare un servizio in pizzeria di un orario che oscilla dalle 3 alle 4 ore con un impasto al 100% biga che risulti uguale per tutto il tempo?» Un impasto con una biga che ha già maturato 16 ore, o peggio ancora, con «bighe inventate, di farine maturate dalle 24 ore a 4 gradi, che sono più impasti di riporto che bighe», non ha alcun senso logico o qualitativo. «Non è questo standardizzare», prosegue con fermezza. L'approccio, infatti, porta a conseguenze dirette: «Se poi a fine servizi rimangono 4 cassetti, vanno buttati perché ormai sei arrivato al limite con l'utilizzo di quella farina». Sebbene le prime due ore di servizio possano offrire un prodotto alveolare che «rende tutti contenti», questo modo di lavorare di alcuni colleghi evidenzia una criticità non solo in termini di qualità costante, ma anche di sostenibilità e gestione degli sprechi.

L'approccio ai topping: una soluzione diversa e originale

Per quanto riguarda i condimenti, la risposta è sorprendente e rivela un approccio particolare, quasi di controtendenza rispetto a molti pizzaioli moderni. «Non sono molto bravo sui topping, cioè io sono uno da impasto», ammette con un sorriso. Questa consapevolezza della sua "mancanza" lo ha portato, però, a sviluppare una strategia originale. Per spiegare il suo approccio, Valentino fa un balzo nel passato, alla sua pizza preferita da bambino: «Per me, per esempio, da bambino la pizza preferita era la mais e cotto. Panna, cotto e mais». Da questa memoria affettuosa nasce una proposta intrigante del suo menu: la pizza "Panna Cotta in Mais".

Per Valentino Tafuri il segreto per una pizza digeribile è la cottura, non la lievitazione

L'approccio ai topping di Tafuri è diverso e originale

Non si tratta di una semplice riproposizione. La panna al 35% di grassi viene «osmosizzata insieme alla salvia e al fieno», chiusa sottovuoto per infonderle aroma e sapore. Dopo aver steso questa base sulla pizza con mozzarella, entra in cottura. All'uscita, la magia: un prosciutto cotto fatto in casa. «Se oggi vai a comprare un prosciutto cotto buono, minimo ti costa 20 euro al chilo. Noi compriamo la coscia di maiale, la paghiamo 9,90 euro al chilo, sta due giorni in salamoia, un giorno in marinatura e un giorno in cottura». Quattro giorni di lavorazione per un prodotto che, nonostante il tempo, gli costa in media 18 euro al chilo, permettendogli di offrire «un cotto che non hai mai mangiato nella vita tua, in una pizzeria comune».

E il mais? «Entra in gioco l'agricoltura», sottolinea. Francesco Petrone, padre di Gabriele, coltiva il mais otto file, mais blu otto file. Questo mais, dopo essere stato cotto a vapore e tostato, finisce su quella pizza. «È semplice come idea», commenta Valentino. Ma è proprio questa semplicità a racchiudere il suo messaggio importante: «Il mio lavoro è quello di ricordare alle persone che la pizza è tradizione, non è gourmet, secondo il mio punto di vista». Il suo impegno è chiaro: lavorare sugli impasti e rendere i topping quanto più semplici possibile, per far «ricordare quello che mangiavi da piccolo».

Formazione: dalla gavetta in pizzeria all'insegnamento

Non  potevamo non affrontare il tema della formazione dei giovani pizzaioli. Valentino parte da una riflessione personale sulla sua gavetta, iniziata a 13 anni, un periodo in cui «preferivo lavare i piatti, perché il mio mastro mi faceva così tante cazziate. La mia generazione, e quelle precedenti, hanno imparato "rubando il lavoro con gli occhi” lavorando sotto l'artigiano, in una gavetta magari anche decennale come capitato a me».

Per Valentino Tafuri il segreto per una pizza digeribile è la cottura, non la lievitazione

La scuola di formazione “In Cibum”

Oggi, però, le cose sono cambiate. Valentino è docente dal 2019 presso la scuola di formazione “In Cibum” (situata a Pontecagnano Faiano, Sa), dove ha contribuito a progettare corsi di pizzeria e panificazione. Un'esperienza che, ammette «continua ad essere una fonte di formazione continua anche per me». La metodologia è intensiva: otto settimane di studio con oltre dieci docenti specializzati (chi insegna la pizza in teglia è specializzato in quella, così come chi insegna la napoletana), seguite da due mesi di stage. Un percorso che fornisce un primo approccio importante ed esaustivo al mondo del lavoro di pizzaiolo. Chi resiste alle sfide dello stage, esce spesso con un contratto lavorativo e, in uno o due anni, raggiunge un livello di competenza che a Valentino ha richiesto dieci anni.

La crisi dei talenti e la ricerca dei giovani lavoratori

Il discorso si allarga poi alla presunta "voglia" dei giovani di intraprendere questo mestiere. «I ragazzi che escono dalla scuola in cui insegno sono persone che investono sul loro futuro e sono motivate una fame di sapere che le spinge a cercare luoghi dove “rubare il mestiere" e imparare». La vera sfida, secondo Tafuri, non è tanto trovare professionisti di alto livello, ma piuttosto figure come lavapiatti o runner. «I locali che sanno attrarre talenti non hanno problemi a trovare pizzaioli o stagisti». Questo evidenzia che il problema non è la mancanza di interesse dei giovani, ma spesso si riscontra nelle condizioni offerte: «Lavorare in pessime condizioni, con degli orari estenuanti, con una paga misera e sentire gli imprenditori o i colleghi che non riescono a trovare personale, credo che le cose debbano un po' cambiare».

Per Valentino Tafuri il segreto per una pizza digeribile è la cottura, non la lievitazione

Il laboratorio del Pizzificio 3 Voglie a Battipaglia (Sa)

La sua analisi è cruda seppur realista: «Forse i pubblici esercizi sono troppi: se il 30% delle attività ristorative in Italia chiudesse, tutti avrebbero più lavoro, ben pagato, in questo modo chi offre lavoro guadagnerà di più e riuscirebbe a pagare di più i dipendenti." Critica anche la liberalizzazione delle licenze e incentivi come "Resto al Sud” che «pur fornendo fondi e aiutando l'economia possono spingere neofiti senza preparazione ad avviare attività, creando un'inflazione per tutta l'attività e abbassando il livello generale».

La passione come incentivo ad avvicinare i nuovi lavoratori

La domanda viene spontanea, c'è una responsabilità anche in chi insegna e trasmette il mestiere? Anche in questo caso Valentino ha e idee chiare: tutti, secondo lui, hanno bisogno di un mentore, ma c'è un rischio: «Se il mentore è solo sui social, purtroppo è difficile trarne la giusta ispirazione. Oggi, purtroppo, i ragazzi spesso scelgono mentori basandosi sull'effetto "personaggio social”». Ma Valentino tieni ad evidenziare la crescente tendenza di persone che decidono di "cambiare vita”. Non sono rare le storie degli studenti di “In Cibum”: il 30% sono laureati che, dopo anni in altri settori, hanno deciso di investire nella formazione per perseguire una nuova strada.

TeamSystem

«Gente laureata in scienze motorie oggi lavora da chef tre stelle Michelin e gli fa il pane», racconta con orgoglio. Questo è un insegnamento prezioso: «Se vuoi cambiare vita non è mai tardi, e lo testimonia il cinquantenne che, dopo un corso di pizza, ora vive di questo mestiere. Un segnale forte che arriva dal periodo del Covid, molte persone si sono risvegliate e hanno creduto in se stesse e si sono messe in gioco a qualsiasi età». Per chi fosse interessato a intraprendere un percorso professionale, la scuola di formazione “In Cibum” offre corsi professionalizzanti e masterclass. Tutte le informazioni necessarie sono disponibili sul sito online.

L'ossessione come per arrivare a perfezionare la maestria

In conclusione Valentino Tafuri vuole lasciare un messaggio finale, una riflessione che senta di voler condividere con i professionisti del settore. La sua risposta è un inno alla dedizione, un invito a un approccio quasi maniacale al mestiere, che lui definisce “ossessione". «Oggi ossessionatevi a fare un grissino, per esempio», esorta. «Fate il miglior grissino che voi abbiate mai fatto. Governatelo con quella tecnica». E una volta raggiunto quel livello, l'invito è a non fermarsi: «Il giorno dopo abbiate un'altra ossessione, di fare una frisella o di fare un pane. Ossessionatevi dal pane».

Per Valentino Tafuri il segreto per una pizza digeribile è la cottura, non la lievitazione

Per Tafuri da anni di ossessione si diventa professionisti

Questa ricerca costante della perfezione in un singolo prodotto genera una motivazione profonda: «Ogni mattina andrete in laboratorio innamorati e volenterosi di andare a vedere se quel pane è cresciuto o non è cresciuto. Questo vi dà uno stimolo sempre nuovo». Il segreto, secondo Valentino, è che «passeranno dieci anni e vi renderete conto che ossessione per ossessione siete diventati dei professionisti. Però con una scienza». Un approccio che si contrappone alla frenesia di voler apprendere tutto e subito. «Non mi sveglio stamattina e studio venti cose. Oggi mi sveglio stamattina e ho un obiettivo. Quello di imparare a fare una cosa». La crescita professionale, insiste, «va costruita passo dopo passo. Quindi abbiate pazienza e costanze e. Un passo alla volta, ma arriverete dove volete arrivare».

Via Serroni 10/14 84091 Battipaglia (Sa)
Tel +39 0828 370533
Mar-Ven 19:30-23:30; Sab-Dom 09:00-12:30, 19:30-00:00

 

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
Voglio ricevere le newsletter settimanali
       


Agugiaro e Figna Le 5 Stagioni
Cappa delle Pizze
Brita
Electrolux

Agugiaro e Figna Le 5 Stagioni
Cappa delle Pizze
Brita

Electrolux
Mangilli Caffo
Forst