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venerdì 05 dicembre 2025  | aggiornato alle 08:59 | 116137 articoli pubblicati

Daniel Canzian: «L'estrazione è una supercazzola. La tecnica serve solo se migliora il gusto»

Lo chef veneto difende la cucina essenziale: basta addensanti, gadget inutili e brigate faraoniche. Sì alla materia prima, alla tecnica consapevole e a piatti che parlano chiaro, senza sovrastrutture da laboratorio. In questa intervista a Italia a Tavola rivendica con convinzione l'identità veneta, riletta in chiave attuale. “Meno è meglio” non è uno slogan, ma una visione necessaria

di Mauro Taino
Redattore
31 luglio 2025 | 05:00
Daniel Canzian: «L'estrazione è una supercazzola. La tecnica serve solo se migliora il gusto»
Daniel Canzian: «L'estrazione è una supercazzola. La tecnica serve solo se migliora il gusto»

Daniel Canzian: «L'estrazione è una supercazzola. La tecnica serve solo se migliora il gusto»

Lo chef veneto difende la cucina essenziale: basta addensanti, gadget inutili e brigate faraoniche. Sì alla materia prima, alla tecnica consapevole e a piatti che parlano chiaro, senza sovrastrutture da laboratorio. In questa intervista a Italia a Tavola rivendica con convinzione l'identità veneta, riletta in chiave attuale. “Meno è meglio” non è uno slogan, ma una visione necessaria

di Mauro Taino
Redattore
31 luglio 2025 | 05:00
 

C'è chi punta sulla spettacolarità, chi sull'hi-tech da laboratorio spaziale, e poi c'è Daniel Canzian, chef dell'omonimo ristorante a Milano: uno chef rigoroso, essenziale, ironico e soprattutto presente in cucina. Seguace del “meno è meglio” di Gualtiero Marchesi (d'altronde è stato il suo ultimo allievo), Canzian predica (e pratica) l'identità territoriale, la verità nel piatto e la sostenibilità del buon senso. Niente effetti speciali, ma tanto contenuto. In un'epoca di «cozze trasformate in cialde nere», lui preferisce lasciarle... cozze. E no, l'“estrazione” non è magia: è solo una riduzione, oltre che una «supercazzola». In questa intervista esclusiva a Italia a Tavola, lo chef (nonché presidente di Jeunes Restaurateurs, l'associazione internazionale dei giovani chef) sottolinea come il rispetto per il prodotto e la tradizione veneta siano il vero segreto di un piatto contemporaneo… senza fronzoli inutili, con un occhio (anche due) alla sostenibilità che si concretizza in leggerezza sullo stomaco, brigate minimal e tecniche e tecnologie al servizio dell'uomo e non viceversa. Insomma, «una cucina immediata, diretta, autentica».

Meno è meglio: la cucina essenziale secondo Canzian

Come ha fatto suo il principio del “less is more” di Gualtiero Marchesi e in che modo questo minimalismo guida ancora oggi la costruzione dei suoi piatti?

Non è cambiato in nessuna maniera, nel senso che sono ancora favorevole e totalmente convinto che abbia senso usare solo ciò che è davvero necessario nell'esecuzione di un piatto. È un approccio che porto avanti sin dagli inizi, fin dal 2000, e che si è evoluto insieme alla cucina italiana contemporanea. Nel tempo mi sono dedicato sempre di più alla cucina della mia regione, convinto che la regionalizzazione rappresenti oggi un'attrattiva e una sfida interessante. Siamo l'unica nazione al mondo con una biodiversità così marcata da regione a regione, ed è un patrimonio che va valorizzato. Oggi più che mai credo sia fondamentale, anche in un'ottica di sostenibilità, utilizzare solo gli ingredienti necessari e - aggiungerei - toccarli solo se serve davvero. Spesso mi pongo questa domanda: “Deve essere per forza cotto?” Non so se ho trovato una risposta definitiva, ma è un interrogativo che mi accompagna ogni giorno in cucina.

Daniel Canzian: «L'estrazione è una supercazzola. La tecnica serve solo se migliora il gusto»

Lo chef Daniel Canzian

Tradizione veneta e contemporaneità: il territorio nel piatto

Qual è il suo approccio nella reinterpretazione delle ricette tradizionali italiane, per far emergere la storia di ciascun territorio restando contemporaneo?

Anzitutto si tratta di presentare qualcosa che sia autentico, reale e identitario. Uso questi tre aggettivi perché oggi li ritengo fondamentali, vista l'enorme concorrenza e le molteplici opzioni presenti nel panorama della ristorazione. Un cliente oggi ha una gamma vastissima di possibilità su dove andare a mangiare e cosa scegliere. Credo che la chiave di volta stia proprio nel proporre realtà identitarie: offrire cioè una motivazione concreta per cui qualcuno scelga di mangiare in un determinato ristorante.

Come la declina?

Nel mio caso, sto cavalcando la cucina veneta, perché la considero interessante - soprattutto nella realtà milanese, che ha una lunga storia legata a grandi chef veneti, risalente agli anni '70 e '80. Porto avanti questa linea anche per distinguermi, perché ritengo sia importante. Come la trasformo? Cercando semplicemente di adattarla all'oggi. Più che “rivisitare” i piatti - un termine che non amo - preferisco dire che li “attualizzo”. Quando affronto una ricetta, la leggo e valuto cosa sia davvero essenziale e cosa invece possa essere alleggerito o omesso. La cucina regionale italiana ha un patrimonio immenso, ma forse è stata un po' trascurata. Spesso ci si rifà a versioni anni '60, '70, '80, nate in contesti in cui il tenore di vita e i bisogni energetici erano molto diversi da oggi, e quelle ricette sono state spesso stravolte. Io cerco di prendere quelle ricette storiche e, senza snaturarle, le alleggerisco, eliminando ingredienti non fondamentali. In questo modo si può ancora trovare una grande varietà di spunti e, al tempo stesso, si valorizza l'identità originale della cucina regionale - nel mio caso, quella veneta.

Quando alleggerisce un classico, quali tecniche (estrazioni, emulsioni, cotture a bassa temperatura) predilige per mantenere gusto e leggerezza?

Mi verrebbe da dire che uso le tecniche necessarie. Le uso tutte e nessuna, ma la tecnica più usata nella mia cucina è la tecnica del buon senso. Ho abbandonato un po' le lunghe cotture, perché forse non si prestano a una cucina così immediata come quella veneta. Non complico i piatti: cerco di trasmetterli in modo chiaro a un team che deve comprendere l'importanza della materia prima e, di conseguenza, quale tecnica usare per valorizzarla. Altrimenti si rischia di realizzare piatti apparentemente semplici, ma con dietro milioni di tecniche - un approccio che oggi va in contrasto con le reali necessità delle cucine, dove è sempre più difficile mantenere, trovare e motivare il personale. Mi spiego in maniera più diretta: è inutile proporre un piatto che sembra semplice se poi, per farlo, servono due o tre cuochi e 40 ore di lavoro. Attualizzare e alleggerire un piatto significa anche adattarlo al periodo che stiamo vivendo.

Daniel Canzian: «L'estrazione è una supercazzola. La tecnica serve solo se migliora il gusto»

Daniel Canzian: Sushi Veneziano

E come lo descriverebbe?

Le famose brigate da 20-30 cuochi ormai si vedono sempre meno, persino nei grandi ristoranti. Uno, perché i ragazzi oggi difficilmente accettano di lavorare gratis. Due, perché tutto questo va contro i valori che cerco di trasmettere. Come posso parlare di sostenibilità se poi ho venti persone in cucina impegnate in corsi di formazione su corsi di formazione? Oggi è fondamentale che ci sia identità nel ristorante e nel cuoco stesso.  È essenziale che lo chef sia presente in cucina, non come una figura da esposizione da vedere o toccare. Se vado in un ristorante e lo chef non c'è, mi chiedo il perché. Se vado lì per la sua maestria, per la sua bravura, voglio vederlo cucinare. Quante volte capita di sentire: “Lo chef non c'è, lo chef non c'è...” oppure lo vedi lì, fermo, senza nemmeno preparare un piatto. Secondo me questo oggi non funziona più. Il pubblico, almeno quello che viene da me, apprezza il fatto che io stia realmente cucinando. Per questo le riflessioni che ho fatto sono figlie della messa a terra, dell'esecuzione e delle tecniche che scelgo di utilizzare. Credo di avere una grande padronanza tecnica, ma per me la vera tecnica significa prima di tutto saper rispettare la materia prima. Quindi, usare la tecnica solo dove serve davvero. Non è una questione di pigrizia o di tagliare passaggi. È un modo per rispettare al massimo le caratteristiche dei prodotti che si stanno utilizzando.

Fornitori storici e filiera corta: qualità senza compromessi

Come seleziona i fornitori - soprattutto quelli storici del mercato di San Marco - per garantire costantemente prodotti di altissima qualità?

Il controllo della qualità delle materie prime viene fatto quotidianamente, in base ai fornitori con cui lavoriamo. Le faccio un esempio semplice: per quanto riguarda la carne, mi affido a un macellaio di fiducia a Rovato, con cui collaboro dal 2005. Non mi sono mai spostato da lì. Il mercato di via San Marco, qui a Milano, è fondamentale: mi permette di vedere ogni giorno la qualità reale delle materie prime. Ho anche la fortuna di lavorare con Ernesto Iaccarino, che mi fornisce limoni e pomodori di Sorrento 100% biologici, di una naturalezza incredibile. Collaboro con il Mercato della Terra di Slow Food e con l'azienda agricola Corporea. Con molti dei miei fornitori ho rapporti che durano da oltre 10 anni e continuerò a lavorare con loro perché so esattamente cosa mi possono offrire. Mi danno prodotti che io posso trasformare il meno possibile.

Sta preparando qualcosa di nuovo con queste materie prime?

Sto preparando, ad esempio, un carpaccio di pomodoro di Sorrento che è incredibile. Perché? Perché il pomodoro è eccezionale, punto. Non ho bisogno di aggiungere altro per esaltarne il gusto: basta un filo d'olio ed è perfetto. Ho già il massimo dell'espressione del prodotto.

Tecnologia al servizio dell'uomo, non il contrario

Quali strumenti di precisione (sous vide, centrifughe, sifoni) usa in laboratorio per controllare e riprodurre i tuoi risultati al millesimo?

Sicuramente gli strumenti di precisione sono comodi e d'aiuto: penso a una sonda, a uno spillone, a un forno di ultima generazione. Sono strumenti utili, se non fondamentali - ma solo nella misura in cui io sia in grado di gestirli. Il fatto che un forno mi permetta, ad esempio, di programmare una doppia cottura non implica automaticamente che io sappia come si cuoce davvero quel pezzo di carne che ho inserito. Ecco perché sono favorevole alla tecnologia, ma solo se è a supporto mio. Devo essere io a guidare la tecnologia, non il contrario. Se la tecnologia guida me, allora sì che diventa un problema.  Cito una frase celebre di Oliviero Toscani, che per me è sempre stata un mantra. Durante un'intervista disse ai suoi studenti: “La macchina fotografica va messa dietro la testa.” Con questo intendo dire che oggi posso correggere gli errori di un piatto con Photoshop, per mostrarlo perfetto sui social. Quella è una tecnologia utilissima, certo, perché mi aiuta a comunicare. Ma se poi, quando il cliente arriva a tavola, io non sono in grado di servire tecnicamente il miglior piatto possibile, con il massimo rispetto della materia prima… allora non andrò molto lontano. Quindi sì, ho tutti gli strumenti: forni, sonde, macchine di altissimo livello, persino una macchina per fare un gelato strepitosa. Ma, lo ripeto: devono essere un aiuto. Non posso diventarne vittima. La tecnica in quanto tecnica è bella. Ma è senza spirito. E una cucina senza spirito… muore.

Daniel Canzian: «L'estrazione è una supercazzola. La tecnica serve solo se migliora il gusto»

Lo chef Daniel Canzian con lo staff

Nelle sue salse o nei brodi, come ha perfezionato le tecniche di estrazione e di emulsione per ottenere un bilanciamento così raffinato?

Ho alleggerito i brodi, li ho perfezionati. I famosi consommé, quando realizzati correttamente - con morbidezza, una cottura adeguata, senza bolliture troppo violente - danno già risultati straordinari. Questo approccio mi consente un risparmio notevole sulla materia prima e, al contempo, un'esaltazione della qualità. Utilizzando meno ingredienti ma lavorandoli bene, ottengo un gusto più marcato e focalizzato sul prodotto che mi interessa valorizzare. Per quanto riguarda le salse, le dico la verità: il termine “estrazione” mi sembra una “supercazzola” di proporzioni bibliche. Fino a qualche anno fa parlavamo di “riduzioni”, oggi diciamo “estrazioni”. Ma di fatto stiamo solo cercando di gettare fumo negli occhi ai clienti, usando termini che li lasciano interdetti, magari anche affascinati, ma che non significano nulla di concreto. Io non credo sia questa la strada giusta.

Riduzioni sì, “estrazioni” no: basta fumo negli occhi

Cosa bisognerebbe fare?

Ho sempre fatto salse di scuola francese, senza addensanti di alcun tipo, semplicemente riducendo i liquidi fino a raggiungere la consistenza e la concentrazione di gusto desiderate. Come scriveva Jean- Anthelme  Brillat-Savarin nel suo Fisiologia del gusto, certe basi non sono mai state superate. A me interessa poco che si parli di “estrazioni” se poi vengono usati addensanti per legare salse solo perché non si è in grado di realizzare una vera riduzione. Mi perdoni la franchezza, ma credo sia necessario essere onesti. È inutile usare un estrattore per ottenere un liquido che poi si lega con agar-agar o altri additivi - alcuni anche dalla dubbia natura. Non so quanta chimica ci sia lì dentro e quanta “natura” sia stata effettivamente mantenuta. Io preferisco prendere un prodotto, ridurlo fino alla concentrazione che mi interessa, senza doverci aggiungere nulla per legarlo. Certo, è una soluzione più costosa: se parto con un litro di estratto e lo riduco naturalmente, magari arrivo a 200 grammi di prodotto finito. Ma è un prodotto naturale. E questa cosa ha un impatto positivo anche sul corpo.

Daniel Canzian: «L'estrazione è una supercazzola. La tecnica serve solo se migliora il gusto»

Daniel Canzian: Ratatouille di zucchine

In che modo cura la cromia e la composizione del piatto per trasformare ogni portata in un'esperienza estetica oltre che gustativa?

L'aspetto estetico, a mio parere, presuppone innanzitutto la conoscenza della componente etica. Per ciò di cui sta parlando, servono gusto, personalità e anche stile. Io proseguo con lo stile che mi contraddistingue fin dall'inizio, sicuramente figlio dell'esperienza fatta con un maestro come Gualtiero Marchesi. Non credo negli artifici: la verità? Lo trovo tutto poco comprensibile. In questo momento storico, utilizzare tecniche elaborate per riprodurre ciò che la natura già ti offre mi sembra un controsenso. Se, per “fare il figo”, devo trasformare una cozza in una cialda nera a forma di guscio, onestamente lo vedo come una grande perdita di tempo. E non solo: è anche un dispendio energetico e lavorativo non indifferente, per chi realizza e per chi consuma. Trovo invece molto più interessante pensare a come creare un bel contrasto, anche cromatico, con quella cozza. In questo senso, il mondo del fashion, della moda e dell'abbigliamento può essere davvero utile: nel suo piccolo insegna e ispira. Ma evito accuratamente quelle realtà che impongono una trasformazione del concept del piatto a tal punto da renderlo né comprensibile né replicabile. Lo trovo poco intelligente.

L'importanza di sapere cosa si sta cucinando

Quali aspetti del rigore tecnico (misurazione delle temperature, sincronizzazione dei tempi, mise en place) ritiene imprescindibili e come li trasmette al suo team?

È importante trasmettere le basi. Altrimenti si rischia di creare confusione. Vanno trasmesse sia le basi tecniche che i valori. Le basi tecniche sono difficili da riassumere: cerco di spiegarle con esempi pratici. È fondamentale sapere cosa si sta cucinando. Oggi, ad esempio, l'uso della cottura a bassa temperatura è diventato esasperato. E secondo me, in molti casi, ha finito per modificare troppo le consistenze. Faccio un esempio semplice: se io mangio un cosciotto, un carré o una spalla, e tutti e tre vengono cotti a bassa temperatura, è evidente che la consistenza si appiattisce. Ma io, come cuoco, voglio sapere esattamente cosa sto cucinando, perché da lì discende tutto il resto: il condimento, la salsa, gli abbinamenti. Se uso una sola tecnica per tutto - che peraltro è anche molto onerosa - perdo la specificità di ogni ingrediente. Una cosa è cuocere un pezzo di carne per 5-6 minuti nel modo giusto, avendo imparato la tecnica. Un'altra è lasciarlo tutta la notte o tutto il giorno nell'acqua.

Prendiamo la carne, per esempio: è fondamentale che io sappia che un manzo non deve superare una certa temperatura, che il maialino va cotto a una precisa temperatura al cuore,
che esistono diverse tecniche per ottenere il risultato desiderato, e che ognuna di queste tecniche esalta in modo diverso il prodotto. Tutto questo deve essere trasmesso ai ragazzi.
Perché se non lo facciamo, il ventaglio di opzioni si restringe a 2-3 scelte, con il rischio di perdere consistenze, sapori, alternative. Si rischia un vero e proprio appiattimento. L'altro giorno, per dire, sono stato da un amico bravissimo che mi ha servito una carne senza alcuna salsa. Perché? Perché quella carne, cotta semplicemente al sale, era perfetta così com'era. Ma sto parlando di una persona con 50 anni di esperienza, e con un bagaglio culturale importante.

Daniel Canzian: «L'estrazione è una supercazzola. La tecnica serve solo se migliora il gusto»

Lo chef's table di Daniel Canzian

Quali insegnamenti ritiene fondamentali da trasmettere ai giovani chef, affinché continuino a far evolvere la grande tradizione italiana?

Gli aspetti imprescindibili da trasmettere sono due: le motivazioni e le competenze. Il primo obiettivo deve essere quello di innalzare entrambi questi valori. Una persona deve essere motivata e deve trovarsi sempre in una condizione che le permetta di far emergere - o addirittura esasperare - le proprie competenze. Altrimenti tutto rischia di diventare troppo macchinoso, stantio e, aggiungerei, anche noioso. Se oggi ho 20, 25 o 30 anni e vado a lavorare in una cucina dove mi viene chiesto di fare sempre e solo la stessa cosa, ogni giorno, ho paura che la mia motivazione cali. E, inevitabilmente, anche le competenze rallentano: se non cresco, se non imparo nuove tecniche, se non faccio nuove esperienze, mi sento limitato. E questo è un problema. Già oggi, del resto, è difficile trovare persone davvero adeguate.

Una cucina immediata, diretta, autentica. Senza compromessi

Dove sta andando la cucina di Daniel Canzian?

Mi sto orientando sempre più verso una cucina immediata, diretta, autentica. Non riesco a comprometterla per inseguire mode o tendenze. Sorrido perché, in fondo, sto dicendo oggi le stesse cose che dicevo 12 anni fa. Solo che ora - essendo diventate “trend topic” - vengono apprezzate in modo diverso. E questa cosa, lo ammetto, un po' mi fa sorridere.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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