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Come trasformare una sbronza in un impero, la sfida "indecente" di Andrea Graziano

Il fondatore di Fud Bottega Sicula racconta l’evoluzione del suo progetto: dal linguaggio fudish nato per gioco a un modello di comunicazione unico, capace di valorizzare piccoli produttori e street food siciliano in chiave contemporanea. Tra food porn, inclusività e community building, Fud è diventato un brand iconico e indipendente

di Tommaso Gipponi
Redattore
12 settembre 2025 | 05:00
Come trasformare una sbronza in un impero, la sfida
Come trasformare una sbronza in un impero, la sfida

Come trasformare una sbronza in un impero, la sfida "indecente" di Andrea Graziano

Il fondatore di Fud Bottega Sicula racconta l’evoluzione del suo progetto: dal linguaggio fudish nato per gioco a un modello di comunicazione unico, capace di valorizzare piccoli produttori e street food siciliano in chiave contemporanea. Tra food porn, inclusività e community building, Fud è diventato un brand iconico e indipendente

di Tommaso Gipponi
Redattore
12 settembre 2025 | 05:00
 

Sette gin tonic, un menù da scrivere e tanta voglia di divertirsi: così è nato il fudish, il linguaggio che ha trasformato Fud Bottega Sicula in un’icona pop del food italiano. Andrea Graziano, mente creativa e fondatore, ha preso un gioco linguistico nato tra amici e lo ha reso un sistema di comunicazione, un marchio di fabbrica e una community che oggi conta migliaia di fan.

Come trasformare una sbronza in un impero, la sfida

Andrea Graziano, mente creativa e fondatore di Fud Bottega Sicula

Panini alti 8 centimetri, prosciutto di suino nero stagionato 40 mesi e un approccio ironico ma rigoroso alla qualità: Fud non è solo un locale, è un manifesto di come si può raccontare la Sicilia senza folklore, mescolando street food, contaminazioni mediterranee e marketing digitale da manuale.

Fudish: come una sbronza è diventata un linguaggio di marca

Il “fudish” è nato “durante una sbronza”: come lo hai trasformato in sistema di marca?

«Il Fudish, che è il linguaggio che usiamo all’interno dei nostri locali, nasce per caso. Molti pensano che sia stato il frutto di uno studio di grande marketing. Invece no: semplicemente, durante la fase di progettazione del menu, al settimo gin tonic, abbiamo iniziato a scrivere i nomi dei panini in modo sbagliato, cioè come si leggevano. Da lì è nata l’idea di divertirci, scimmiottando un po’ l’inglese maccheronico. Abbiamo cominciato a scrivere tutto così come suonava, in inglese, perché il food spesso scimmiotta l’americanizzazione dei locali, anche se poi non è detto che la renda più autentica. Nel tempo, ci siamo accorti che venivano fuori delle cose carine, anche grazie all’inserimento di parole siciliane un po’ “inglesizzate”. Fud da subito è diventato uno degli elementi comunicativi che ci ha caratterizzato. Tutta la linea di merchandising, così come i cartelli tecnici all’interno dei locali, riprende questo linguaggio, che i nostri clienti hanno apprezzato sin da subito come qualcosa di originale e simpatico».

Come trasformare una sbronza in un impero, la sfida

Il concetto di Fudish, ben espresso dal Uonderful Burgher

Qualità dei prodotti e 60 fornitori selezionati

Quali paletti ti sei dato per non scadere nella caricatura (linguaggio vs rispetto)?

«I limiti ce li siamo dati eccome. Perché noi prendiamo molto sul serio la cosa fondamentale dei nostri locali: il cibo. Oggi spesso la comunicazione viene messa in primo piano, così come il design: capita che si aprano locali bellissimi dal punto di vista architettonico, ma senza veri cuochi. Noi invece abbiamo scelto di concentrarci sulla qualità. Ho fatto una selezione basata sull’esperienza maturata nei dieci anni precedenti e abbiamo costruito un contenitore ricco di cose veramente buone. All’interno ci sono circa 60 produttori che reputavo i migliori: alcuni sono cambiati negli anni, altri si sono aggiunti, ma il principio guida è sempre stato la qualità altissima del prodotto. Questo però significava anche affrontare sfide logistiche complicate: ad esempio, lavorare con chi produce un solo prodotto, come il cappero o un determinato formaggio. Le consegne diventavano tante, le fatture frammentate, e spesso non è tanto il costo a rendere difficile il lavoro, quanto la reperibilità e il rapporto diretto con produttori a volte “particolari”. Abbiamo quindi puntato tutto sulla qualità, inserendola in un design moderno e intrigante. All’inizio fece scalpore, perché sembrava quasi un locale nord-europeo, pur mantenendo elementi poveri siciliani come la pietra lavica, il legno e il ferro».

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L'interno della sede storica di Fud a Catania

Inclusività e prezzi accessibili: la filosofia Fud

A Fud c'è una forte attenzione all’inclusività, un rapporto qualità-prezzo elevato che rende accessibili prodotti di eccellenza come il prosciutto di suino nero stagionato 40 mesi. L’esperienza è informale, senza distinzione di status o abbigliamento, e favorisce la convivialità, con un approccio diretto e familiare che rafforza il riconoscibile marchio Fud come elemento distintivo. E, oltre a questo, c'è un mondo social per cui Fud diventa un ottimo caso da studiare. 

Come trasformare una sbronza in un impero, la sfida

Eccellenze del territorio a prezzi accessibili, come nel Sammer Burgher
 

Instagram, food porn e la comunicazione affidata ai clienti

Instagram 2012: come hai intuito prima degli altri il food porn e come lo interpreti oggi?

«Già dal 2006 facevo il foodblogger. All’epoca in Italia eravamo forse in tre. Raccontavo le mie cene in giro per l’Italia e all’estero, e la gente non capiva perché io recensissi i ristoranti degli altri. Era un periodo in cui i ristoranti non avevano nemmeno un sito internet. Qualsiasi cosa cercassi legata alla gastronomia in Italia, spuntava fuori Caponata Web, il mio blog. Nel 2010 siamo stati nominati miglior blog d’Italia, quando ancora esistevano i concorsi per la blogosfera. Avevo una grandissima visibilità, forse anche troppa, visto che ero già molto esposto a livello digitale. Su Facebook sono stato tra i primi, quando ancora molti non sapevano nemmeno cosa fosse. Quando nacque Instagram, la maggior parte pensava che non avrebbe avuto successo, perché tutti usavano Facebook, fu sottovalutato.  Noi, proprio perché avevamo già tanta esposizione, decidemmo di non fare comunicazione diretta per un anno. Volevamo che fossero i clienti a comunicare per noi. Ed è stato bellissimo. A quei tempi non era normale vedere la gente fotografare i piatti al ristorante: noi ci abbiamo creduto e i nostri clienti hanno fatto il resto. Stavano nascendo i primi foodblogger: non c’erano ancora gli influencer, ma la gente cominciava a imitare i blogger e a postare le foto. 

Quando abbiamo aperto Fud, l’idea era che fosse un posto d’attesa per il mio primo locale, il Sale Art Café - che ancora esiste ed era proprio accanto. Doveva essere un piccolo gioco. Invece, dal primo giorno, è stato un fenomeno. Parlo di 600-700 coperti a sera. Dopo una settimana decisi di fare un cambio: i panini dovevano essere più forti dal punto di vista visivo, più impattanti. Così li alzai di 7-8 cm, riempiendoli di ingredienti, privilegiando la parte “pornografica” e visuale rispetto alla sola mangiabilità.

Come trasformare una sbronza in un impero, la sfida

I numeri di Fud

Decisi che i panini dovevano essere più difficili da mangiare, purché fossero golosi. Dovevano stimolare i sensi, spingerti a sporcarti le mani, a leccarti le dita. Così, già dopo la prima settimana, lavorammo sui panini e sulle preparazioni: ad esempio, le patate con guanciale e formaggio fuso, che ti obbligavano a sporcarti. Fu un successo: ogni tavolo di 4 persone produceva 4 fotografie postate online. Ancora non si parlava di food porn, ma sicuramente quello fu uno dei primi esempi, soprattutto nel Sud Italia. Fece scalpore: arrivavano persone da Roma, Bari e da altre città solo per vedere questo “fenomeno Fud”.

Come trasformare una sbronza in un impero, la sfida

Andrea Graziano fu uno dei primi a capire il potere dei social nel comunicare il cibo

Di fatto, a comunicarci furono i nostri clienti, che fotografavano e postavano. Quelle immagini performavano bene su Instagram, e chi le vedeva correva da noi a provare il panino esagerato, fotografarlo e condividerlo. La nostra comunicazione iniziale fu tutta affidata ai clienti. Non solo: tanti chef e personaggi del mondo gourmet vennero a trovarci, incuriositi dal fenomeno. Alla fine, era una forma evoluta di passaparola, che resta sempre il canale più potente, anche oggi».

Tavolo sociale e community building a Catania

A Catania Fud ha introdotto per primo il tavolo sociale, che permette agli ospiti di condividere lo stesso ambiente e creare legami spontanei. Una delle scelte che ha contribuito alla formazione di una community solida e partecipativa, in grado di rafforzare il senso di appartenenza e di rendere l’esperienza gastronomica più inclusiva e accessibile.

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Fud a Palermo

Campagne social e marketing territoriale

L’approccio di Fud si estende anche alla comunicazione digitale e al marketing territoriale, con iniziative volte a valorizzare il territorio e le persone. Campagne come “Save Tuma Persa” hanno dimostrato l’impatto positivo di un locale che promuove la cultura locale, nel sostenere produttori e realtà comunitarie attraverso mobilitazioni social e progetti concreti. La community digitale, composta da oltre 100.000 follower, ha svolto un ruolo attivo nella difesa del brand, rendendo superflua la gestione diretta di molte crisi dovute ai tanti detrattori che, con la popolarità social, inevitabilmente arrivano.

Come trasformare una sbronza in un impero, la sfida

Andrea Graziano con Salvatore Passalaqua, titolare dell'azienda che produceva la Tuma Persa, che Fud ha contribuito a salvare con la sua campagna di sensibilizzazione

Ironia e gestione delle critiche come leva di branding

L’uso strategico dell’ironia permette di affrontare critiche e commenti negativi in modo costruttivo, senza far venire meno il focus sulla qualità del servizio e sull’esperienza degli ospiti, ma consolidando l’identità distintiva del marchio Fud

La filosofia di inclusione si riflette anche nello staff multiculturale, con 17 nazionalità diverse e la valorizzazione di rifugiati politici, dimostrando come l’ospitalità possa diventare uno strumento di integrazione e responsabilità sociale.

Come trasformare una sbronza in un impero, la sfida

Inclusione, ospitalità e multiculturalità fanno parte del Dna di Fud

Street food siciliano e contaminazioni mediterranee

Tornando al cibo, Street food siciliano: quali elementi non negoziabili porti in ogni sede (Catania, Palermo, Milano)?

«La particolarità nostra è stata quella di raccontare la Sicilia in una maniera inusuale. Facciamo hamburger, hot dog, kebab, lontane dalla tradizione siciliana. Eppure risultiamo spesso più autentici di chi propone solo cassate, arancini o cannoli. Vogliamo dire che la Sicilia non è solo folklore. Ne esiste una più evoluta, fatta di imprenditori giovani e laureati che hanno investito nell’agroalimentare di qualità e nella specializzazione. Noi mettiamo assieme vecchi produttori e giovani che hanno investito nell’arte della terra, raccontando una Sicilia diversa dallo stereotipo, una Sicilia che è anche movimento, modernità, imprenditoria sana. Il nostro messaggio è stato quello di proporre un prodotto di altissima qualità, arricchito da contaminazioni. Prepariamo panelle e arancini, ma ci lasciamo anche influenzare dalle culture che hanno attraversato il Mediterraneo: Medio Oriente, Turchia, Grecia, Tunisia. Tutti questi popoli hanno colonizzato la Sicilia lasciando tracce nella nostra cucina. Siamo stati autentici pur facendo cose che sembrano lontane dalla tradizione».

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Prodotti siciliani ma anche contaminazioni mediterranee nell'idea di Andrea Graziano

Perché Fud non si è mai piegato al franchising

Hai rifiutato il franchising: come scala un brand restando indipendente?

«Si può crescere, ma non attraverso il franchising classico. Io ho creato una sorta di franchising personale: ero sempre presente in ogni apertura. Perché? Perché la scalabilità con i piccoli produttori è difficilissima: la natura ha i suoi tempi, l’industria no. Se voglio aprire un nuovo locale, devo avvisare il produttore anche un anno prima. Se deve macellare due maiali in più a settimana o aggiungere dieci mucche, ci vuole tempo. La natura non si accelera. Inoltre, paradossalmente, più chiedi prodotto a un piccolo produttore, più il prezzo aumenta. Non per speculazione, ma perché c’è più lavoro, più animali da nutrire, più gestione. Siamo riusciti ad aprire due locali a Palermo - uno dei quali è Fudbox, la versione sul mare - e poi a Milano. Ma anche lì non siamo mai scesi di qualità: abbiamo sempre spedito i nostri prodotti originali e fatto tutte le lavorazioni come negli altri locali. La via più facile sarebbe stata standardizzare tutto in laboratorio, surgelare e scalare. Ma non era il nostro modello. Vediamo diverse catene che si stanno omologando nella ristorazione. Noi abbiamo fatto la scelta opposta: abbiamo eliminato le lavorazioni esterne e torniamo a fare tutto noi. Ogni prodotto di Fud porta la sua impronta».

Come trasformare una sbronza in un impero, la sfida

Eccellenze siciliane di prim'ordine, come il Piacentinu Ennese

Campagne marketing premiate e storytelling autentico dei fornitori

Circa il 95% dei prodotti di Fud proviene dalla Sicilia, selezionati tra piccoli produttori, aziende Dop e filiere agili, con l’obiettivo di valorizzare il territorio e semplificare la logistica. I fornitori vengono scelti direttamente, garantendo qualità e stabilità, contribuendo di contro allo sviluppo delle loro attività e al rafforzamento del comparto gastronomico locale.

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La Tuma Persa

Blackout Dinner: la protesta diventata virale

Racconta una campagna che è nata da un errore e si è trasformata in caso di studio.

«Un episodio incredibile. Nel periodo del caro bollette, dopo pandemia e guerra, ricevemmo una bolletta da 32.000 euro di energia elettrica. Tutti avevano lo stesso problema, quindi decisi di organizzare un evento di protesta. Con il nostro ufficio marketing interno - sì, abbiamo un reparto che gestisce tutta la comunicazione di FUD e di altri locali con cui collaboro come consulente - creammo la Blackout Dinner: un’ora a lume di candela, con le luci spente. All’inizio coinvolgemmo solo i ristoranti della nostra via, poi Palermo, poi altri amici. Alla fine, la notizia si diffuse online e quella sera più di 1000 locali in tutta Italia spensero le luci. In soli tre giorni l’iniziativa fece il giro dei media: fummo intervistati da Rai 1, Rai 2, Rai 3, Canale 5, Italia 1, La7, Sky TG24 e persino TV2000. I detrattori dicevano: “Con un hashtag non si risolvono i problemi”. Ma di fatto l’azienda delle utenze ci chiamò, ammise degli errori e ci scontò metà delle bollette. Soprattutto, cercò di fermare una protesta che era diventata nazionale».

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Andrea Graziano ai tempi della Blackoutdinner

Sostenibilità concreta e no-waste in un locale pop

Che spazio dai a sostenibilità e no-waste in un contesto “pop” ad alto volume?

«Cerchiamo di essere pratici. Molti locali sbandierano di essere plastic free o “super sostenibili”, ma spesso sono solo slogan. Noi partiamo da un presupposto: l’uomo non è sostenibile, e tutto ciò che produce ha un impatto. Un ristorante difficilmente può essere davvero sostenibile. Se al tavolo non porto la bottiglia di plastica e dico che sono plastic free, sto raccontando una falsità: dietro le quinte ho celle frigo piene di contenitori e sottovuoto di plastica. Cerchiamo di essere il più sostenibili possibile. Usiamo prodotti da allevamenti estensivi, evitiamo l’industriale quando possiamo. Siamo attentissimi alla differenziazione degli scarti e facciamo tante lavorazioni interne. Ad esempio prepariamo snack con le bucce di patate, facciamo il pane noi, così il pane in avanzo lo riutilizziamo, cerchiamo di valorizzare ciò che normalmente non verrebbe usato. Non inventiamo storielle: facciamo ciò che è possibile fare davvero. E infatti di ristoranti con la stella verde ce ne sono pochi che siano realmente coerenti».

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Grande attenzione a territorio a stagionalità, e quindi al 'non spreco' per Fud Bottega Sicula

Lo Shek Burger e il racconto di una Sicilia diversa

Qual è la storia di un vostro panino che meglio racconta Fud oggi?

«Lo Shek Burger. Insieme a un macellaio, abbiamo fatto il primo hamburger di asino. In siciliano, l’asino si chiama “sceccu”, e da lì è nato il nome, reso più internazionale con la K finale. È stato un grande successo. Tra l’altro, l’asino era un animale a rischio di scomparsa e abbiamo valorizzato una tradizione. Dopo di noi, tanti hanno copiato iniziando a usare la carne d’asina. Noi abbiamo creato anche la mortadella d’asino, tornando alla tradizione, perché un tempo si faceva proprio così». 

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La Tuma Persa

Libertà creativa per UGC e creators

Qual è la tua policy su UGC e creators: libertà totale o linee guida strette?

«Mi occupo molto da vicino di questo. Le campagne le creiamo insieme: sono frutto di brainstorming e riflessioni collettive, un po’ come si faceva un tempo nelle agenzie. Abbiamo diverse attività collegate. La regola è una: massima libertà. Quando arriva una buona idea, la mettiamo in piazza e la valutiamo insieme».

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Il cibo mostrato, una delle chiavi del successo di Fud

Ad esempio, la campagna marketing Inside Out, premiata a livello nazionale mette in evidenza come i fornitori possano diventare protagonisti del racconto, non solo elementi della supply chain. I produttori vengono valorizzati insieme ai loro animali, con video e contenuti curati che raccontano storie autentiche e già straordinarie, senza necessità di inventare storytelling, rafforzando la connessione tra brand e territorio.

Mai troppo serioso: l’equilibrio tra ironia e qualità

E infine, quando dici “Mai troppo serioso”: dove metti la linea rossa per non banalizzare la qualità?

«La linea la definiscono i tuoi valori. Quando ti dai dei paletti - l’onestà, la correttezza, il rispetto verso le persone e verso i clienti - allora sai quali sono le cose su cui non si scherza. Non si scherza sulla qualità, sulla pulizia, sul rispetto del lavoro umano. Quelli sono punti fermi. Ma su tutto il resto puoi permetterti di ironizzare, senza banalizzare. Ogni tanto alleggerire fa bene. Non prendersi sempre troppo sul serio ti aiuta a lavorare con più serenità. Trovare un equilibrio è fondamentale per vivere con gioia quello che fai: altrimenti rimane solo impresa, solo numeri, solo fatturato. E allora ti perdi la parte più piacevole di questo mestiere. Con un po’ di ironia ti stanchi meno e ti godi di più quello che fai».

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Andrea Graziano con due dei cuochi di Fud, Abdallah Dadi e Francesco Maugeri

Fud come fenomeno culturale, di territorio, comunità e valori

Fud oggi è molto più di un locale: è un esperimento riuscito di gastronomia identitaria, capace di tenere insieme tradizione e innovazione, locale e globale, ironia e serietà. Andrea Graziano ha dimostrato che si può crescere senza svendere la qualità, che si può fare marketing senza tradire il prodotto, e che un panino può diventare un racconto di territorio. Il suo messaggio resta attualissimo: il cibo deve essere inclusivo, accessibile e raccontare storie vere. Forse è proprio questo mix di autenticità e creatività che ha reso Fud un fenomeno culturale, capace di influenzare un’intera generazione di ristoratori.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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