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lunedì 08 dicembre 2025  | aggiornato alle 07:53 | 116192 articoli pubblicati

«Una schiavitù sottopagata»: la denuncia di una chef italiana. Le reazioni

Una cuoca con trent’anni di esperienza denuncia la ristorazione come “schiavitù sottopagata”: turni di 12 ore, straordinari non pagati, stipendi fermi e carenza di personale. Esperti e rappresentanti di categoria chiedono più controlli, riduzione del cuneo fiscale, formazione retribuita e alloggi agevolati. Si propone un’Agenzia nazionale per la ristorazione che garantisca regole e tutele

15 settembre 2025 | 19:40
«Una schiavitù sottopagata»: la denuncia di una chef italiana. Le reazioni
«Una schiavitù sottopagata»: la denuncia di una chef italiana. Le reazioni

«Una schiavitù sottopagata»: la denuncia di una chef italiana. Le reazioni

Una cuoca con trent’anni di esperienza denuncia la ristorazione come “schiavitù sottopagata”: turni di 12 ore, straordinari non pagati, stipendi fermi e carenza di personale. Esperti e rappresentanti di categoria chiedono più controlli, riduzione del cuneo fiscale, formazione retribuita e alloggi agevolati. Si propone un’Agenzia nazionale per la ristorazione che garantisca regole e tutele

15 settembre 2025 | 19:40
 

Una denuncia senza giri di parole: «Dopo trent’anni di questa “vita” posso solo dire che non consiglierei MAI a mia figlia o a nessun ragazzo di entrare in questo settore, e se proprio volessero allora che vadano all’estero: perché all’estero le paghe sono degne, gli orari sono umani e gli straordinari vengono riconosciuti». 

«Una schiavitù sottopagata»: la denuncia di una chef italiana. Le reazioni

Gli chef denunciano orari di lavoro massacranti

«La ristorazione italiana? Una schiavitù sottopagata dalla quale spero di scappare al più presto». Sono parole dure, raccolte da Fanpage, nella lettera aperta di una cuoca italiana cinquantenne con trent’anni di esperienza. Non è solo uno sfogo individuale: è lo specchio di un settore che, dopo il Covid, fatica ancora a ricomporsi.

La denuncia della cuoca italiana

Una cuoca cinquantenne, che ha preferito rimanere anonima, racconta trent’anni di lavoro in cucina come una lunga sequenza di sacrifici e disillusioni. Entrata giovanissima nel mestiere, descrive turni doppi e giornate di dodici ore senza orari certi, spesso con brigate ridotte che costringono tre persone a fare il lavoro di cinque. Gli straordinari, quasi mai pagati, sono considerati la normalità. Gli stipendi restano fermi attorno ai 1.200 euro al mese, mentre i ristoratori aumentano i prezzi e si lamentano della carenza di personale.

«Una schiavitù sottopagata»: la denuncia di una chef italiana. Le reazioni

Stipendi fermi e turni massacranti, questo denunciano oggi molti chef

Per la cuoca, però, i giovani non rifiutano il lavoro per pigrizia: semplicemente non accettano più condizioni che lei e la sua generazione hanno tollerato per anni, rinunciando a vita privata e tempo con la famiglia. La ristorazione italiana, sostiene, è diventataun infernoche consuma le persone e non offre prospettive reali di crescita o miglioramento economico.

Dopo tre decenni, il suo bilancio è amaro: non consiglierebbe mai alla figlia o ad altri ragazzi di intraprendere questo percorso, se non all’estero, dove stipendi, orari e riconoscimento degli straordinari garantiscono dignità professionale. Per lei, il sistema italiano resta unaschiavitù sottopagatada cui spera di liberarsi, mentre chi resta continua a pagare il prezzo di un settore incapace di cambiare.

Brigate spezzate dopo il Covid

Nel biennio della pandemia molti professionisti hanno abbandonato cucine e sale, scegliendo impieghi con orari più regolari e salari più competitivi. Da allora le brigate non si sono mai davvero ricostituite: nei ristoranti delle città turistiche o delle località balneari si lavora spesso a ranghi ridotti, con turni spezzati e personale costretto a coprire le assenze. Gli straordinari “elastici”, difficili da quantificare e spesso non retribuiti, sono diventati la norma.

«Una schiavitù sottopagata»: la denuncia di una chef italiana. Le reazioni

Le difficili condizioni di lavoro tengono sempre di più i giovani lontani dalla ristorazione

Orari e salari: il nodo che non si scioglie

Le testimonianze di chi resta parlano di doppi turni, pause inesistenti, affitti proibitivi nelle mete turistiche e stipendi che faticano a competere con altri comparti del terziario. Chi prova a conciliare vita privata e lavoro racconta di settimane che sfiorano le 60 ore, di riposi saltati e di contratti che non rispecchiano le ore effettive.

Secondo le ultime rilevazioni, l’occupazione nella ristorazione cresce a fatica, mentre resta alta la domanda di camerieri, cuochi e personale di sala. Aumentano le sanzioni per mancato pagamento degli straordinari, ma le ispezioni non bastano a colmare il divario.

«Coraggio di denunciare e alleggerire il carico fiscale»: così chef Cristina Bowerman

Interpellata su questo argomento, la cuoca e chef Cristina Bowerman afferma che il problema non riguarda solo il mondo della ristorazione, ma l’intero mercato del lavoro. «Bisogna avere il coraggio di lasciare quel posto di lavoro e di denunciare - afferma - perché ciò che questa cuoca ha descritto, ammesso che corrisponda pienamente alla realtà, è comunque una situazione che esiste ed è persino peggiore in altri casi. E soprattutto è contro la legge. Non è una pratica avallata dal governo o dalla legislazione: chi subisce abusi deve denunciare».

«Una schiavitù sottopagata»: la denuncia di una chef italiana. Le reazioni

La chef Cristina Boweman

Bowerman sottolinea anche la necessità di più controlli e, in parallelo, di una diminuzione del carico fiscale per i datori di lavoro. «Si parla di stipendi adeguati all’inflazione, ma non si affronta mai il tema di un reale alleggerimento fiscale. Oggi i datori di lavoro arrivano a pagare un carico fiscale del 52-53%: una cifra enorme, che include spese non eliminabili».

Per la chef, il nodo è dare «la possibilità al datore di lavoro di assumere più persone senza rischiare la bancarotta». E aggiunge: «Ho dipendenti che lavorano con me da 15-19 anni: se potessi alleggerire il loro carico e il mio, aumentando il personale, lo farei. Ma con questa pressione fiscale non è possibile».

Andrea Chiriatti, Fipe: «Legalità prima di tutto: orari, costi e formazione nella ristorazione»

Andrea Chiriatti, direttore area lavoro di Fipe, sull'argomento chiarisce che, per quanto riguarda il tracciamento degli straordinari, «non c’è alcun “non tracciamento” dell’orario di lavoro: il sistema già esiste». Spiega che chi vuole eludere le regole «può farlo a prescindere da registri o meno» e che in un ristorante tradizionale «è difficile pensare a un tornello o a un badge stile Fantozzi». In alcune realtà di ristorazione commerciale, come aeroporti o stazioni, «un sistema di badge in entrata e in uscita è già presente», ma in locali aperti al pubblico sarebbe «impraticabile anche per ragioni normative».

Per Chiriatti, la priorità non è solo la sostenibilità dei turni ma la legalità: «La settimana lavorativa non può andare oltre le 48 ore: lo dice una direttiva europea, non la Fipe». Serve capacità organizzativa da parte dell’imprenditore, che «deve pianificare i turni in modo da non superare le 48 ore e pagare secondo contratto, rispettando straordinari e pause». Le irregolarità, osserva, «spesso derivano da mancanza di organizzazione, non solo di legalità». Nessuno, ribadisce, «può chiedere di lavorare 15-16 ore al giorno: la legge consente un massimo di 13, con riposi obbligatori». Chi denuncia abusi «fa bene, perché se non si rispettano le regole si è fuori legge: è prima di tutto un tema di legalità, oltre che di etica e correttezza».

«Una schiavitù sottopagata»: la denuncia di una chef italiana. Le reazioni

Il direttore dell'area lavoro di Fipe Andrea Chiriatti

Quanto al costo del lavoro, Chiriatti ammette che «siamo tra i Paesi in Europa dove è più alto», a causa anche di un welfare costoso. Tuttavia, «non è il primo problema: il primo è la gestione corretta degli orari e dei turni». Le aziende devono imparare a «razionalizzare i costi anche attraverso una migliore organizzazione», ad esempio chiudendo nei giorni con meno clienti: «Se so che martedì e mercoledì ho pochi clienti, non ha senso tenere aperto o pagare due dipendenti per quelle giornate».

Sul fronte della formazione, Fipe sta sperimentando «un apprendistato di primo livello nella ristorazione commerciale», in cui le aziende «prenderanno ragazzi, li faranno formare e li pagheranno anche per la parte di formazione in aula, che per legge non è dovuta». Un progetto dedicato agli store manager, sviluppato con l’ITS Nuova Professione di Milano.

«Una schiavitù sottopagata»: la denuncia di una chef italiana. Le reazioni

Il troppo stress tiene sempre più giovani lontani dal mondo della ristorazione

Infine, Chiriatti riconosce che alloggi e trasporti sono «una delle questioni principali per la sostenibilità». Il costo della vita, specialmente in città come Milano, Firenze e Roma, «è un problema reale». Annuncia che «è in arrivo un decreto del Ministero del Turismo con contributi alle aziende per lo staff house: è un primo passo nella giusta direzione». Servono agevolazioni per chi non può fare smart working: «Lo Stato e la politica devono occuparsi di sostenere questi costi, non solo le aziende, affinché il netto in busta paga non venga eroso dal semplice bisogno di sopravvivere».

Un problema di sistema

Quello descritto nella lettera non è dunque un episodio isolato, ma il sintomo di una fragilità strutturale: carenza di manodopera, salari bassi, contratti disallineati, difficoltà a reperire alloggi per i lavoratori stagionali. Un comparto che vale una quota rilevante del turismo nazionale, ma che rischia di logorarsi dall’interno se non affronta le proprie criticità.

Un’Agenzia nazionale per la ristorazione, è questa la soluzione?

Una possibile via d’uscita dalla crisi della ristorazione potrebbe passare da un progetto più ampio e strutturale: la creazione di una Agenzia nazionale per Ristorazione e Accoglienza, una regia unica che metta davvero in rete Lavoro, Turismo, Made in Italy e le filiere agricole. Un organismo di questo tipo potrebbe coordinare controlli mirati, garantire un registro digitale per monitorare orari e straordinari, favorire percorsi di formazione retribuita – dagli ITS a una possibile laurea professionalizzante – e sostenere misure concrete come alloggi e trasporti agevolati nelle aree turistiche a caro-affitti. Potrebbe inoltre promuovere visti mirati per i profili professionali mancanti, aiutando le imprese a reperire personale qualificato senza ricorrere a turni massacranti.

Così la lettera che denunciava una “schiavitù sottopagata” non resterebbe un grido nel vuoto, ma troverebbe un interlocutore istituzionale e una rotta politica chiara. Servono regole, responsabilità condivise e un patto tra istituzioni, imprenditori e lavoratori che renda il settore davvero sostenibile nel tempo.

La cucina italiana, patrimonio identitario del Paese, non può più reggersi su eroismi individuali

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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