Si è presentato in azienda con le stampelle, dopo una diagnosi e in attesa di un’operazione. Pensava di dover solo chiarire la sua situazione, invece è stato spinto a firmare la risoluzione consensuale del contratto. È successo a un sous chef del Mühlviertel, in Austria: quattro mesi di lavoro alle spalle e un licenziamento di fatto proprio mentre era in malattia. Una storia che fa rumore e che riporta al centro un tema delicato, quello dei diritti dei lavoratori nelle cucine.

Austria, cuoco in malattia spinto a lasciare il lavoro: la vicenda choc
La convocazione e la firma forzata
Come riporta Rolling Pin, il cuoco aveva iniziato da poche settimane nella brigata quando, due settimane dopo la malattia, il datore di lavoro lo ha chiamato a presentarsi in sede. Lui non si è tirato indietro, nonostante le difficoltà fisiche evidenti, e si è presentato con le stampelle. In quell’occasione l’azienda lo ha convinto a firmare la risoluzione consensuale del contratto. Poco dopo, però, è arrivata la doccia fredda: nessuna retribuzione per il periodo di malattia, perché secondo l’impresa l’accordo bastava a liberarla da ogni obbligo.
L’intervento della Camera del Lavoro
Il cuoco non si è arreso e si è rivolto alla Camera del Lavoro dell’Alta Austria (AK OÖ). Da lì la risposta è stata chiara: anche se il rapporto di lavoro si interrompe, il diritto alla retribuzione resta valido per un periodo stabilito dalla legge. Nel suo caso sei settimane di stipendio pieno dal primo giorno di malattia, seguite da altre quattro al 50%.

Ristorazione e diritti: il caso choc di un lavoratore austriaco
Messa alle strette, l’azienda ha provato a giustificarsi sostenendo che il dipendente, al momento della firma, fosse in salute. Una versione che regge poco, considerando che l’uomo camminava con le stampelle e aveva già informato l’impresa della diagnosi e dell’operazione imminente, pur senza essere tenuto a farlo. Solo dopo un secondo sollecito formale da parte della Camera del Lavoro il datore di lavoro ha ceduto e pagato quanto dovuto: quasi 3.800 euro.
Un segnale per tutto il settore
Il presidente dell’AK, Andreas Stangel, ha commentato la vicenda con parole che pesano: «Meglio una domanda in più che rinunciare ai propri diritti». Un invito diretto, perché troppo spesso i lavoratori - e nel settore della ristorazione accade ancora di più, soprattutto in Italia - rinunciano a tutele fondamentali per mancanza di informazioni o per paura di perdere il posto.

Così una vicenda nata in una cucina di provincia diventa il simbolo di un problema più grande. Dietro i piatti che arrivano in sala ci sono persone che lavorano con turni infiniti, contratti fragili e poche garanzie. Questa volta la legge ha rimesso le cose a posto, ma resta una domanda aperta: quanti cuochi e camerieri, ogni giorno, preferiscono ingoiare in silenzio pur di non rischiare di restare senza lavoro?