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I centri storici sono un deserto: scomparsi 100mila bar, negozi e ristoranti

Il dato peggiore, negli anni tra 2012 e 2021, riguarda libri e giocattoli, ferramenta e vestiario. Regge l'urto l'alimentare (-3,4%). Durante la pandemia hanno chiuso in 4.500, secondo di dati di Confcommercio. In controtendenza il turismo che segna una crescita anche in periodo Covid. Sono però dati "inquinati": molte attività sono congelate o chiuse, ma restano sui registri. La spesa per ristorazione e alberghi è infatti a -35%

di Mariella Morosi
01 marzo 2022 | 13:04
Un negozio chiuso I centri storici sono un deserto: scomparsi 100mila bar, negozi e ristoranti
Un negozio chiuso I centri storici sono un deserto: scomparsi 100mila bar, negozi e ristoranti

I centri storici sono un deserto: scomparsi 100mila bar, negozi e ristoranti

Il dato peggiore, negli anni tra 2012 e 2021, riguarda libri e giocattoli, ferramenta e vestiario. Regge l'urto l'alimentare (-3,4%). Durante la pandemia hanno chiuso in 4.500, secondo di dati di Confcommercio. In controtendenza il turismo che segna una crescita anche in periodo Covid. Sono però dati "inquinati": molte attività sono congelate o chiuse, ma restano sui registri. La spesa per ristorazione e alberghi è infatti a -35%

di Mariella Morosi
01 marzo 2022 | 13:04
 

Numeri drammatici, nei centri storici ma anche fuori. Sono quelli che emergono dalla settima edizione dell'osservatorio sulla demografia d'impresa nelle città italiane, realizzato da Confcommercio con i dati del Centro studi delle Camere di Commercio

Sono stati presi in analisi 120 Comuni medio-grandi, di cui 110 capoluoghi di provincia (escluse Milano, Roma e Napoli perchè multricentiche per le loro dimensioni), esaminando il lasso di tempo compreso tra 2012 e 2021. Il risultato? Preoccupante. Hanno chiuso quasi 100mila attività, soprattutto nei centri storici. Si tratta di 85mila negozi fisici e 10mila di commercio ambulante. Solo negli ultimi due anni, quelli della pandemia, hanno abbassato la saracinesca in 4.500

I centri storici sono un deserto: scomparsi 100mila bar, negozi e ristoranti

Il quadro generale fornito da Confcommercio 

Le attività in Italia sono circa 921mila e di queste 467mila riguardano il commercio al dettaglio in sede fissa. Tra il 2012 e il 2021 hanno chiuso in quasi 100mila e il dato, stando a Confcommercio, potrebbe anche essere peggiore. Ristori e cassa integrazione hanno rallentato il crollo e a questi si aggiunge la possibilità che i registri delle Camere di Commercio non siano ancora aggiornati con le ultime chiusure del 2021. 

I numeri in questo senso sono emblematici. Nel 2012 le attività di commercio in sede fissa erano 551.317, oggi sono 466.759, il 15,3% in meno. La situazione peggiora nelle grandi città, quelle prese in analisi da Confcommercio, dove si sale a -15,7%. 

 

Crescono imprese e lavoratori stranieri

Nel commercio sono sparite 200mila imprese italiane e ne sono emerse 120mila straniere. La quota di attività straniere è quasi raddoppiata tra il 2012 e il 2021, passando dal 10,7% al 19,1%. 

Stesse dinamiche per l’occupazione: stabile quella degli italiani, in crescita dell’11% quella degli stranieri; e anche qui, considerando il commercio, gli alberghi e i pubblici esercizi, a fronte di 150mila italiani in meno ci sono 70mila stranieri in più.

«È proprio il commercio - ha detto Mariano Bella, direttore dell'Ufficio studi di Confcommercio, che ha redatto il Rapporto - a fornire il più grande contributo all'integrazione sul piano sociale». 

Il dramma dei centri storici 

I dati sono drammatici in generale ma diventano ancor più critici se si analizza soltanto l'andamento dei centri storici. Nei nove anni analizzati, il commercio al dettaglio in sede fissa perde nei centri storici il 16,4% delle attività, a fronte del 15,3% del resto delle città. Una situazione che sembra invece essersi acuita nella fase di pandemia per gli ambulanti. Il settore al Centro Nord fa segnare -4,5% nei centri storici (-1,3% al Sud) a fronte di un -2% nel resto della città (invariato al Sud). 

I centri storici sono un deserto: scomparsi 100mila bar, negozi e ristoranti

I settori più colpiti nei centri storici 

A pagare maggiormente la crisi dei centri storici negli ultimi nove anni sono stati determinati settori: le città hanno perso maggiormente distributori di carburante (-36%), mobili e ferramenta (-28,2%), libri e giocattoli (-27,9%) e vestiario e calzature (-18,9%). Hanno retto l'urto gli alimentari, pur perdendo il 3,4% delle attività, e i tabacchi (-1,3%). Crescono i negozi di computer e telefonia (+15,8%) e le farmacie (+18,1%). Molti acquisti vengono fatti nei grandi centri commerciali che sono in genere nelle periferie o fuori città. Un trend che andrebbe corretto anche perchè una città senza negozi tradizionali diventerebbe meno interessante anche per i turisti e questo non riguarderebbe solo le città d'arte.

 

Turismo, bar e ristoranti in controtendenza: ma è vero? 

Fino ad ora nell'analisi non abbiamo preso in considerazione una fetta importante del commercio nelle città, vale a dire bar, ristoranti e alberghi. Il motivo è presto spiegato. Si tratta di due settori profondamente colpiti dalla pandemia ma che, in maniera per certi versi inimmaginabile, fanno segnare un trend molto positivo. Per gli alberghi si parla addirittura di +46,3%, mentre per bar e ristoranti di +10,5%. Dati che crescono ancora di più se si va nel dettaglio. Dal 2012 a oggi il settore è cresciuto del 12,4% e negli ultimi due anni, quelli della pandemia, ha fatto registrare un +3,5%. Impressionanti, peraltro, i numeri relativi all'incremento di bar, ristoranti e alberghi nei centri storici negli ultimi nove anni. Per la ristorazione è +17,2% al Sud e +7,8% al Centro-Nord. Per l'accoglienza è addirittura +89,3% al Sud e +34,2% al Centro Nord. Un miracolo? Un'eccezione? Non proprio... 

I centri storici sono un deserto: scomparsi 100mila bar, negozi e ristoranti

Registri non aggiornati e attività congelate 

A spiegare la situazione è direttamente Confcommercio, che parla di problemi relativi alle cancellazioni effettive dai registri e al congelamento di alcune attività, aperte sulla carta ma di fatto chiuse. Proprio questo aspetto appare evidente se si analizza la spesa sul territorio: rispetto ai livelli pre-Covid ristorazione e accoglienza fanno segnare perdite comprese tra il 20 e il 35%, che mal si sposano con il supposto quadro positivo emerso in precedenza. 

«Durante la pandemia - ha precisato Bella - hanno chiuso tanti esercizi oltre agli alberghi e ai ristoranti. Ma sia per i ristori che per i ricorsi alla cassa integrazione e sia perchè i negozianti che gestiscono attività di famiglia da decenni non hanno voluto chiude resistendo al massimo alla crisi, in molti non si sono ancora cancellati dagli uffici camerali pur essendo di fatto già chiusi da tempo. Questo dato inquina la lettura dei dati». 

I centri storici sono un deserto: scomparsi 100mila bar, negozi e ristoranti

Città d'arte e offerta turistica 

Qualche dato interessante è comunque emerso per quanto riguarda l'offerta turistica nei centri storici delle grandi città. Nei 120 Comuni analizzati gli alberghi fanno segnare un timido +1,1% che diventa però un -1,9% se si prendono in considerazione Venezia, Firenze e Palermo, le tre città più turistiche nell'elenco. Un trend negativo che però cambia se si parla di strutture d'alloggio differenti dai tradizionali hotel. B&B e simili crescono in generale (+6,1%) ma anche nelle città turistiche (+1,9%). Numeri che sono la conferma di un andamento chiaro: chiudono gli alberghi, schiacciati dall'assenza di turisti e dal caro energia, e aprono nuove soluzioni di ospitalità, più agili e meno costose per chi le gestisce

Commercio fisico e commercio online 

Il rapporto Confcommercio esamina anche la relazione tra il commercio fisico e il commercio online. Quest'ultimo - è stato rilevato - ha aiutato e stimolato molti negozi a fare business in modo più innovativo rispetto al passato. Una prospera convivenza sarà possibile. Si potrà tornare alla normalità alla fine della pandemia? «No - risponde Bella - non illudiamoci. Ci sono filiere produttive come quella turistica che comprende bar, ristoranti e alberghi e della socialità come teatri e cinema che saranno ancora distanti dai livelli di fatturato e di profitto. Se si sono parzialmente ripresi nel 2021 un pezzo è rimasto indietro e solo con la vera ripresa del turismo la situazione potrà cambiare. Anche tutti gli altri servizi riprenderanno ma le istituzioni attraverso il Pnrr dovranno fare in modo che tutti i settori e tutti i poli attrattori delle città possano crescere».

Il commento di Confcommercio 

«Pandemia e stagnazione dei consumi hanno acuito la desertificazione commerciale delle nostre città e rischiano di ridurre la qualità della vita di turisti e residenti. Per scongiurare questa eventualità bisogna sostenere con maggior forza le imprese più colpite – soprattutto quelle della filiera turistica – e utilizzare presto e bene le risorse del Pnrr per migliorare il tessuto economico urbano e quindi l’attrattività e la sicurezza e delle nostre città». Così Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio. 

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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