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Finiti e infiniti Il vino da una prospettiva diversa

 
24 febbraio 2019 | 16:44

Finiti e infiniti Il vino da una prospettiva diversa

24 febbraio 2019 | 16:44
 

Una riflessione sui vini “finiti”, da quelli che raccontano il territorio a quelli da concorso più voluti che assecondati, e “infiniti”, quelli che lasciano aspettative sulla loro potenzialità.

Nel lessico dilagante che alterna frusti termini sommelieristici a improbabili allegorie tardo-veronelliane, si raggiungono non di rado vette di involontaria comicità che rendono lo scrivere di vino un atto più onanistico per l’autore che utile per il lettore.

(Finiti e infiniti Il vino da una prospettiva diversa)

Consapevole di correre questo rischio voglio confidarvi di essere sempre più attratto dalla dimensione spazio/tempo per tentare di cogliere l’importanza di un vino. Alle tante, tantissime, bottiglie di alto livello e sempre più a buon mercato (in termini relativi) che si stappano con sommo piacere in quella che resta la modalità più congeniale (ovvero la fruizione a tavola), fanno da contraltare i “vinoni da concorso”, spesso più impressionanti che realmente buoni.

Entrambe le categorie, pur contrapposte, sono accomunate dalla sensazione di essere composte da campioni finiti nello spazio e nel tempo. Intendiamoci bene sul termine “finiti” che non ha necessariamente, nella mia lettura, un’accezione negativa. Un vino che sia dotato di equilibrio e adesione ad uno stile coerente con le varietà utilizzate e la zona di provenienza trovo sia sempre da apprezzare anche quando sembra darsi tutto e subito. Meno nelle mie corde sono i vini apparentemente “caricaturali”, questi sì destinati, in quanto più voluti che assecondati, ad un corto respiro nella loro evoluzione.

Poi ci sono quelli (pochi, pochissimi) che sembrano poter giocare in campo aperto e accendere aspettative sulla loro potenzialità prospettica. Voglio citarne due che colloco senza titubanze in quest’ultimo novero. Il Trento Spumante Brut Riserva del Fondatore Giulio Ferrari 2007 e il Barolo Riserva Villero 2010 Vietti hanno le carte in regola, come caratura e complessità, per dipanare il loro “racconto gustativo” in lungo (la dimensione del tempo) e in largo (lo spazio). Buonissimi già adesso (raffinatissimo e leggiadro il primo, profondo e cesellato il secondo) hanno dalla loro il plus della grande annata, sempre troppo sottaciuto nelle enocronache che non ammettono, per esigenze di battage, millesimi deboli. Fattore decisivo su cui torneremo a sbizzarrirci prossimamente.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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