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lunedì 15 dicembre 2025  | aggiornato alle 20:56 | 116344 articoli pubblicati

Il ritorno degli amari nei cocktail, tra tradizione e innovazione nella mixology

Gli amari tornano protagonisti nella mixology italiana: dai cocktail classici ai signature, bartender di locali come Dry Milano, Santa Cocktail Club, Ai Do Leoni, Hanky Panky e Ristorante Collins’ ne esaltano le note erbacee e balsamiche, tra ricerca tecnica, equilibrio e sperimentazione con brand iconici e di nicchia.

22 agosto 2025 | 05:00
Il ritorno degli amari nei cocktail, tra tradizione e innovazione nella mixology
Il ritorno degli amari nei cocktail, tra tradizione e innovazione nella mixology

Il ritorno degli amari nei cocktail, tra tradizione e innovazione nella mixology

Gli amari tornano protagonisti nella mixology italiana: dai cocktail classici ai signature, bartender di locali come Dry Milano, Santa Cocktail Club, Ai Do Leoni, Hanky Panky e Ristorante Collins’ ne esaltano le note erbacee e balsamiche, tra ricerca tecnica, equilibrio e sperimentazione con brand iconici e di nicchia.

22 agosto 2025 | 05:00
 

A lungo confinati nel ruolo di digestivo a fine pasto, gli amari italiani hanno trovato una seconda vita da protagonisti della mixology contemporanea. La ricchezza di botaniche, le note amaricanti e balsamiche, la versatilità degli infusi di erbe e radici li rendono ingredienti preziosi per bartender alla ricerca di complessità e originalità.

Il ritorno degli amari nei cocktail, tra tradizione e innovazione nella mixology

Gli amari italiani diventano protagonisti della mixology moderna

Le origini storiche degli amari

Le origini affondano nella storia dell’antica Roma, dove si preparavano infusi di erbe nel vino per scopi curativi, mentre nel Medioevo i monaci perfezionarono queste infusioni, sostituendo il vino con alcol distillato e arricchendo le ricette di botaniche dalle proprietà farmacologiche. E vengono spesso dritto dritto da formulazioni medievali molte delle ricette di amaro che oggi caratterizzano le aree più diverse d’Europa. Durante il Rinascimento, le ricette uscirono dai monasteri e divennero piacere da gustare, arrivando fino al presente.

Il ritorno degli amari nei cocktail, tra tradizione e innovazione nella mixology

Le botaniche conferiscono agli amari note uniche e identità territoriale

Tradizionalmente consumato per stimolare la digestione, l’amaro ha però conquistato la mixology come ingrediente cardine per la sua complessità organolettica. E diventa protagonista di momenti degustativi, cocktail audaci e situazioni conviviali che trasformano il sorso aggiungendo tradizione, storia, paesaggi.

Botaniche, territorio e cultura

Dentro un amaro ci sono infatti botaniche che sono espressione di un’area geografica e di una cultura, che talvolta influenzano anche la cucina, che portano nel sorso identità. Diventa allora lo “scorciatoia sensoriale” tra medicina, territorio e arte liquida, dove ogni botanica è un segreto sussurrato nel bicchiere.

Il ritorno degli amari nei cocktail, tra tradizione e innovazione nella mixology

Ogni amaro racconta una storia di territorio e tradizione

L’amaro in miscelazione guida dunque i bartender fra tradizione e creatività, diventando protagonista di una nuova stagione della mixology italiana. Dai cocktail classici alle signature più innovative, questo ingrediente versatile unisce tecnica, conoscenza e sensibilità, offrendo profondità aromatica e carattere inconfondibile che esaltano ogni drink. Portare un amaro in miscelazione significa non solo arricchire un cocktail di aromi e profondità, ma anche aggiungere un racconto, un legame con la cultura italiana.

Dai twist sui classici alle invenzioni originali

Dal Negroni al Manhattan, passando per i Sour e gli Spritz, l’aggiunta o la sostituzione di un amaro cambia radicalmente la personalità del drink. Non mancano le creazioni originali, in cui l’amaro diventa protagonista assoluto: servito in spruzzata, in riduzione sciropposa o persino come ingrediente per affumicature e garnish - come nel Trieste-tonic nato dall’Amaro di Trieste di Piolo & Max.

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Cocktail con base Amaro Lucano

Il punto di forza degli amari in miscelazione - come raccontano gli stessi bartender - sta nella loro capacità di equilibrare dolcezza e acidità, esaltando o smorzando gli altri ingredienti. Note erbacee, agrumate, speziate o floreali permettono di giocare sull’abbinamento ai distillati chiari, come gin o vodka, per aggiungere corpo e rotondità, mentre uniti ai brown spirits (come whisky o rum) sottolineano la complessità e accentuano il carattere speziato.

Non mancano poi i giochi sui mix a bassa gradazione, grazie a prodotti che giocano sulla sottrazione di alcol senza rinunciare a intensità aromatica - come l’Estremista firmato dalla distilleria sarda Silvio Carta. Ecco che lavorare con l’amaro in mixology è una peculiarità molto italiana, grazie proprio all’inestimabile patrimonio di prodotti che la nostra tradizione offre - da quelli più mainstream fino alle nicchie minuscole nascoste tra le Alpi, in Appennino, sull’Etna o sulle coste di Sardegna.

L’erbaceo arricchisce i classici

«Gli amari oggi sono tornati protagonisti nella mixology - rimarca Edris Al Malat, bar manager del Dry Milano - grazie alla loro versatilità e profondità aromatica. Li utilizziamo sia come base che come ingrediente secondario per dare struttura e complessità a cocktail classici e signature. Preparazioni come il Manhattan, il Negroni o un Sour possono essere arricchiti con un tocco di amaro erbaceo». Al Dry Milano lavorano bene con Amaro Lucano, Cynar e Averna, «ognuno con un’identità precisa che si adatta a stili diversi - specifica Al Malat - ad esempio il Lucano dà grande equilibrio nei cocktail più dolci, mentre Averna aggiunge profondità balsamica in creazioni più audaci. Lavorare con gli amari è sicuramente una sfida, perché vanno dosati con precisione: un eccesso può coprire tutto, ma usati bene regalano un carattere inconfondibile. Sono ingredienti che richiedono rispetto e tecnica».

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Edris Al Malat del Dry di Milano con le sue creazioni

L’utilizzo è ampio, tra classici e signature. «I classici sono un punto fermo, ma ci piace molto reinterpretarli o creare proposte originali. Oggi il cliente è curioso, cerca novità e l’amaro offre una palette di sapori perfetta per spingersi oltre».

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Edris Al Malat, bartender del Dry di Milano

Tra Fernet e Yerba Mate

Anche Simone Covan, bar manager di Santa Cocktail Club, conferma l’attenzione sugli amari in tutte le quattro strutture (Firenze, Roma, Venezia e nel resort toscano Villa Cora). «Li utilizziamo molto sia nella preparazione di cocktail classici che per i nostri Tristan Classic o Signature Cocktail. Il più utilizzato è sicuramente il Fernet, con brand come Fernet Branca o Branca Menta, ma anche della distilleria Quaglia e di altri.

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Simone Covan, bar manager di Santa Cocktail Club

Abbiamo un cocktail che si chiama Fragola, che viene fatto con vermouth, Branca Menta e una soda di fragole bruciata in menta - una variante sull’Americano servito in highball, con questa nota balsamica della menta e allo stesso tempo la parte bitter e forte dell’amaro, che sostituisce il Campari. Utilizziamo anche l'Amaro Santoni, tipico toscano, oppure altri classici come il Jefferson o un Amaro del Capo».

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Gli amari alle erbe utilissimi in una mixology di qualità

In miscelazione l’utilizzo dell’amaro è molto interessante - secondo Covan - «perché riesce a tirare fuori delle note e dei sapori molto più complessi. Allo stesso tempo l'amaro può servire anche come esaltatore di gusto all'interno di un drink, riuscendo a enfatizzare alcune note piuttosto di altre. Spesso utilizziamo un’etichetta che è una via di mezzo tra un amaro e un liquore - si chiama Yerbito ed è a base di yerba mate. E poi talvolta cerchiamo di aggiungere anche un tocco nostro personale accanto all’amaro, con infusioni di piante come il radicchio che esalta anche la parte amaricante».

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Simone Covan al lavoro

L'angostatura base per l'Egiziano a Venezia

Che lavorare con l’amaro sia challenging lo conferma anche Alessandra Berto, bar manager Ai Do Leoni di Venezia, «perché essendo un ingrediente con un bassissimo livello zuccherino e/o caramello, deve esserci una perfetta proporzione con gli altri che compongono il cocktail», spiega.

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Alessandra Berto dietro al bancone del bar Ai Do Leoni di Venezia

A Venezia si utilizzano in miscelazione soprattutto Amaro di Angostura, Amaro al Rosmarino della Mason e Amaro Amara. «Soprattutto nei signature - riferisce Berto - in particolare nel cocktail della casa chiamato “Egiziano” l’Amaro di Angostura è alla base della spuma che lo caratterizza. Poi l’amaro è chiave anche in cocktail che richiedono un giusto tempo di degustazione, come gli after dinner».

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L'Egiziano a Venezia di Alessandra Berto

Fernet e tinture, tra scoperte e conoscenza tecnica

Fermo restando che gli amari in Italia, per cultura e abitudine, vengono tendenzialmente utilizzati in bevuta liscia con ghiaccio, scorzette ed eventualmente con un'aggiunta di seltz in stile vermouth, «in mixology si possono utilizzare e secondo me sono, se non fondamentali, una parte essenziale nel bilanciamento di un drink», proclama Luca Rossetto anima del Hanky Panky a Mestre.

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Luca Rossetto anima dell'Hanky Panky a Mestre

«Alla fine gli amari sono tutti diversi - spiega il bartender - però hanno delle caratteristiche organolettiche e aromatiche importanti che non si ritrovano nei liquori aromatici più semplici, per cui sicuramente hanno quell'effetto legante tra gli ingredienti che spesso completa il drink e va a bilanciare il gusto. L’amaro estrae quella particolare nota dal mix che avevi creato, perché magari contiene quell'erba o quella spezia o quel frutto che va ad esaltare l'ingrediente re del drink. Quindi spesso e volentieri diventa un ingrediente invisibile, che però crea l'identità nel drink - un po' come usiamo il sale nella pasta. Magari tu quell’amaro non lo berresti da solo, ma in quel drink così dosato a gocce o a cucchiaini fai esplodere un mix pazzesco».

Lavorare con gli amari è sicuramente sfidante, «perché implica il fatto che ci sia uno studio dietro», chiosa Rossetto. «Non che si studi tanto l'amaro - chiarisce - però quello che io pretendo da me stesso e pretenderei da un bartender che mi serve un drink è la sensibilità nel percepire i gusti. Quindi a me non interessa che tu mi sappia dire tutte le 136 erbe che ci sono dentro una Chartreuse, ma che perlomeno tu sappia quali sono le note fondamentali e come abbinarle. Per cui è un esercizio provante, ma se applicato bene ti dà soddisfazioni. E si entra nella categoria pairing, perché spesso gli amari portano a emergere spezie che altrimenti tu non avresti nel drink se non usandole fresche, ma anche quando puoi usarle fresche non avrebbero comunque quel sentore, perché non riusciresti ad estrarne quello stesso sapore frutto dell’infusione».

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Il cocktail Averna Sour

Tradizione e sperimentazione tra cocktail classici e signature

L’utilizzo avviene in classici e signature. A questo proposito, Rossetto racconta un aneddoto curioso. «Ricordo un momento particolare in cui feci il primo drink con un amaro e lo feci su richiesta di una cliente - ricorda - però rimasi un attimo stupito e scettico perché questa turista tedesca mi chiese un Averna Sour. Glielo feci, ne assaggiai un goccio ed era veramente veramente buono. Ci stava tantissimo e io non sono un bevitore di Averna o tantomeno di amari industriali che hanno una bella carica zuccherina, però nell'insieme ci stava tutto molto bene. Lei contenta, io ho imparato una cosa nuova e da lì ho cominciato a vedere gli amari sotto un’altra luce».

Tecnicamente, Rossetto sottolinea come si possano utilizzare per twistare sui drink base vermouth, «quindi parliamo soprattutto di Negroni o Americano, per cui alla fine abbiamo una parte dolce dal vermouth e una parte amara che è il bitter, in base alla tipologia di amaro possiamo cercare di ribilanciarlo».

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L'uso degli amari nella mixology può dare vita a cocktail speciali

Ci sono dunque molte sfaccettature «e in Italia, grazie alla disponibilità infinita di bitter e amari, possiamo veramente creare delle combinazioni infinite. Non serve quasi neanche creare un drink ad hoc fatto con l'amaro, perché grazie può essere facile e difficile renderlo protagonista. Un esempio? Prendi un Mojito fatto con un bell'amaro alle erbe e una buona menta fresca e magari usi uno zucchero aromatizzato… ci fai un drink super-rinfrescante, anche più del classico con rum».

Fernet, amari di nicchia e nuove prospettive creative

Tra i brand, in un locale che si chiama Hanky Panky, non può mai mancare il Fernet Branca che è l’ingrediente base del famoso cocktail. «Il Fernet è un amaro divisivo - spiega Rossetto - lo ami o lo odi. Però nel Hanky Panky il Fernet viene utilizzato solo a rinfrescare, a dare una nota di freschezza al vermouth che altrimenti sarebbe stucchevole, perciò lo utilizzi in un modo totalmente diverso da quello che siamo abituati a percepire noi nella bevuta liscia - ovvero di un amaro importante, molto intenso e difficile per tante persone. Il Fernet come bilanciatore è fantastico».

Il ritorno degli amari nei cocktail, tra tradizione e innovazione nella mixology

L'estro di bartender di Alessio Balestra

Altrimenti il barman ama brand più di nicchia: «ti parlerei di Bordiga Spirits di Cuneo che fa una marea di amari e uno che utilizzo frequentemente è il loro Centerbe, perché ha una nota molto fresca, mentolata e ha una bella persistenza alcolica, oltre a una buona quantità di zucchero che però ti permette di costruire bene i drink. Altrimenti l'azienda Foletto che è un'azienda farmaceutica sul lago di Ledro: loro fanno da sempre tinture e dei composti farmacoterapici che vendono in sede e poi hanno un vermouth, un bitter, un amaro Speziale che è molto speziato con note calde, un amaro Proibito che invece è molto floreale elegante, infine una Tintura Stomatica estremamente amara e molto opalescente, proprio per l’estrazione degli oli da tutte le cortecce che vengono utilizzate. Ecco, i loro tre amari possono essere usati in bevuta liscia, ma come bilanciamento e come schiena del drink sono pazzeschi, sempre associati a drink base vino o vermouth, oppure in un Sour».

Amari Intriganti

«Lavorare con l’amaro è una sfida - conferma Alessio Balestra del Ristorante Collins' del SinaHotel a Perugia - dato che le proposte in Italia sono molto sfaccettate, ma il gioco interessante è esaltare il mix di erbe e la nota amaricante».

Il ritorno degli amari nei cocktail, tra tradizione e innovazione nella mixology

Alessio Balestra del Ristorante Collins' del SinaHotel a Perugia

«Nella drink list del locale umbro c’era l’Evergreen con base Chartreuse, ora il Sweet Tales è fatto con l’Amaro Borsci del Gruppo Caffo, ma uno dei drink più scelti è lo Smoked Gingerino: «è fatto con Roger Bitter che è l’amaro del Vecchio Magazzino Doganale, un liquore al pompelmo rosa, mezcal e un cordiale al limone», spiega Balestra, che tendenzialmente usa l’amaro nei signature, anche se tra i classici c’è l’immancabile Hanky Panky con il Fernet».

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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