«Parliamo sempre di food pairing, ma forse è arrivato il momento di chiedersi anche che cosa mangiare mentre si beve». Luca Pirola, ideatore di Mixology Experience e fondatore di Bartender.it (gruppo organizzatore dell’evento), non usa giri di parole. Dentro questa frase c’è tutto lo spirito della quinta edizione dell’evento, in programma dall’11 al 14 maggio 2026 all’interno della fiera TuttoFood, a Rho (Mi). Il concetto chiave è infatti il “beverage pairing”, tema scelto per l’edizione che riporterà al centro il dialogo tra mondo del bere e mondo della cucina. Un terreno di incontro sempre più concreto, dove bartender e chef, produttori e brand, si confrontano su nuovi linguaggi e nuove forme di ospitalità.

Luca Pirola, ideatore di Mixology Experience e fondatore di Bartender.it
TuttoFood diventa la piattaforma strategica del beverage
Dopo il debutto del 2025 all’interno di TuttoFood, Mixology Experience consolida la collaborazione con la grande fiera agroalimentare organizzata da Fiere di Parma e si sposta nel padiglione 6, in posizione centrale. «Essere al centro di TuttoFood - spiega Pirola - significa accelerare il progetto beverage all’interno di una manifestazione che è un punto di riferimento internazionale per il comparto food». In oltre 15mila metri quadrati di spazio espositivo, il pubblico professionale troverà tutte le categorie del beverage: distillati, birra, vino, bollicine, acque, bibite, prodotti per la miscelazione e proposte complementari. Il Main Bar, elemento simbolo delle prime edizioni, tornerà protagonista con percorsi dedicati proprio al beverage pairing, costruiti insieme agli espositori e pensati per raccontare il dialogo tra il bicchiere e il piatto.

Mixology Experience si sposta nel padiglione 6 di TuttoFood, in posizione centrale
Accanto all’area espositiva, il programma di appuntamenti includerà masterclass, talk, degustazioni e workshop condotti da protagonisti del bartending italiano e internazionale. Non mancheranno momenti esperienziali dedicati agli abbinamenti, ai pairing guidati fra cocktail e piatti, e agli incontri con i produttori. A completare la settimana (prima e dopo l’evento) ci sarà la Mixology Week, un calendario diffuso di eventi, serate e guest shift nei locali di Milano, che estende la manifestazione oltre i padiglioni fieristici e ne amplifica la dimensione culturale. «Il nostro obiettivo - racconta Pirola - è creare sinergie reali tra mondi che spesso si sfiorano ma non dialogano abbastanza. L’incontro fra food e beverage, se fatto con consapevolezza, è una delle poche strade che possono ancora sorprendere chi lavora nell’ospitalità».
Bere consapevole: la nuova grammatica della mixology
Nel suo racconto, Pirola non parla mai di “moda” quando si riferisce ai trend del bere contemporaneo. Preferisce piuttosto il termine “consapevolezza”, che vale per il professionista come per il consumatore. «Il bere consapevole non vuol dire non bere. Significa capire cosa si sta bevendo e quando lo si beve. Puoi anche concederti tre gin tonic, ma magari non tutti dopo cena: uno lo abbini a un risotto, uno a un piatto di carne, uno lo bevi per piacere». Un approccio maturo, che guarda al consumo di alcol con equilibrio e che si inserisce in un percorso iniziato ormai da anni. «Ci sono voluti vent’anni per sdoganare il cocktail come parte dell’esperienza gastronomica - ricorda - ma oggi finalmente se ne parla con la stessa serietà con cui si parla di vino o birra».

Ogg,i dopo 20 anni, si parla di mixology con la stessa serietà con cui si parla di vino o birra
No alcol? Sì, ma con gusto (e senza crociate)
Il tema del low-alcol e del no-alcol è un capitolo inevitabile in questa evoluzione. Secondo Pirola, il fenomeno va letto con realismo, evitando contrapposizioni sterili. «Il problema è che la comunicazione ha trasformato il no-alcol in una specie di competizione con l’alcol. In realtà non doveva essere così. Non è una guerra: è una scelta di gusto. Il bevitore di Negroni continuerà a bere Negroni, ma chi non beve può trovare nei prodotti analcolici un modo per avvicinarsi al mondo del beverage». Nel suo discorso torna spesso l’idea di accessibilità. Lo aveva già fatto anni fa con il progetto “Slow drink”, pensato per permettere di degustare grandi distillati in piccole quantità. «Il concetto era semplice: un centilitro di un prodotto eccellente può bastare per capire la qualità, senza eccessi. Era un modo per rendere la cultura del bere più inclusiva, non elitaria».
Oggi il mercato è in piena trasformazione. L’esplosione del gin negli ultimi anni, secondo Pirola, è destinata a stabilizzarsi. «Non vedo nuove mode all’orizzonte. Non ci saranno altre “gintonerie” o “agaverie” come abbiamo visto in passato. I locali stanno tornando a concentrarsi su un’offerta completa, fatta di equilibrio e preparazione». E proprio in questa ricerca di equilibrio rientra anche l’esperienza del bere analcolico. «Molte aziende stanno ancora cercando la formula giusta. I prodotti validi esistono, ma sono pochi. Non basta togliere l’alcol a un distillato per ottenere qualcosa di buono: l’alcol è un vettore di sapore e aroma, toglierlo significa ripensare tutto. Però anche da questo processo stanno nascendo idee interessanti».
Personale qualificato: l’anello debole della filiera
La chiacchierata con Pirola scivola poi su un tema che da tempo attraversa tutto il mondo dell’ospitalità: la crisi del personale qualificato. «Il problema vero oggi - dice - non è tanto l’evoluzione tecnica, quanto la mancanza di personale preparato. Possiamo avere i prodotti migliori del mondo, ma se mancano le persone che li raccontano e li servono, resta tutto fermo». Per lui, la parola chiave è “formazione”, ma con una visione ampia, che non si limiti al banco. «Aprire un locale oggi richiede competenze enormi. Devi sapere di marketing, di diritto del lavoro, di sicurezza, di psicologia del personale. Se non puoi permetterti di avere professionisti in ogni ambito, devi imparare a fare un po’ tutto da solo. È diventato un mestiere complesso, che richiede molta più preparazione di prima e margini economici più stretti». Il problema, aggiunge, è che «trovare giovani motivati è sempre più difficile». Non tanto per la mancanza di opportunità, ma per l’assenza di cultura dell’ospitalità.

A Mixology Experience si possono creare momenti di confronto fra i migliori professionisti
«Molti ragazzi si avvicinano a questo lavoro pensando che sia un modo per divertirsi o stare in un ambiente cool, ma dietro ci sono sacrifici, studio e una grande responsabilità verso chi siede al bancone». Nonostante le difficoltà, Pirola resta convinto che la fiera possa contribuire a invertire la rotta. «Durante Mixology Experience non si può fare formazione in senso stretto - racconta - ma si possono creare momenti di confronto fra i migliori professionisti. Nelle passate edizioni abbiamo avuto anche mental coach e docenti per affrontare il tema della motivazione e del benessere nel lavoro. È un modo per dire che la formazione non è solo tecnica, ma anche umana».
Oltre l’evento: un ecosistema per il futuro
In sostanza, Mixology Experience appare come un ecosistema più che un evento: un luogo dove si incontrano produttori, bartender, distributori e formatori. Un punto di raccordo tra business e cultura, con una forte vocazione internazionale. «TuttoFood porta a Milano visitatori e buyer da tutto il mondo. L’anno scorso, per dire, un colosso del comparto ha trovato qui un distributore globale. È la prova che la fiera è un’occasione vera di business, non una vetrina autoreferenziale». Ma soprattutto, per Pirola, è un’opportunità per costruire una narrazione nuova attorno al bere, più collegata al mondo della cucina. «Il beverage pairing è un invito a pensare in modo diverso. Non più solo a cosa abbinare a un piatto, ma anche a cosa mangiare mentre si beve. È un cambio di prospettiva che può riaccendere la curiosità del pubblico e stimolare l’innovazione».

Per Pirola l'evento è un’opportunità per costruire una narrazione nuova attorno al bere
E se gli si chiede perché un professionista del settore dovrebbe partecipare, la risposta arriva secca: «Perché qui puoi parlare direttamente con chi produce, capire cosa c’è dietro un distillato o una bibita, scoprire tendenze vere e non solo mode. È un’occasione rara di confronto, e di crescita». A chiusura, resta una convinzione che attraversa tutto il discorso: la mixology italiana, se vuole crescere - considerando che i consumi di spirits nel 2024 sono scesi a 127 milioni di litri (-8,5% rispetto al 2019, dati Nomisma) nonostante un aumento del 2,1% nelle vendite all’ingrosso, pari a 689 milioni di euro - deve tornare a costruire cultura. «Abbiamo un potenziale enorme - dice Pirola - ma serve continuità. Servono persone preparate, luoghi di confronto e la capacità di innovare senza perdere equilibrio. Il futuro del settore passa da lì: dalla cultura, dalla consapevolezza e, perché no, da un buon abbinamento fra bicchiere e piatto».
Chi resta fuori dal pairing… resterà fuori dal mercato
Insomma, la mixology non è più un’isola felice fatta di shaker e luci soffuse. È una parte centrale dell’esperienza gastronomica, e chi non lo capisce rischia di restare indietro. Il beverage pairing non è un trend passeggero: è la grammatica della nuova ospitalità. E chi non impara a parlarla, semplicemente, non sarà invitato alla conversazione.