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L’Italia dei formaggi in 50 Dop Sei su 10 arrivano dal Nord

di Vincenzo D’Antonio
 
11 settembre 2019 | 15:18

L’Italia dei formaggi in 50 Dop Sei su 10 arrivano dal Nord

di Vincenzo D’Antonio
11 settembre 2019 | 15:18
 

A compimento delle uscite quotidiane delle schede relative alle 50 Dop di cui il nostro Belpaese, per la gioia nostra e dell’orbe, si fregia, ci accingiamo ad una sinossi dello scenario. Ecco dunque una panoramica completa su queste eccellenze, che fanno dell'Italia un Paese leader assoluto nel settore.

Nel prepararci a ciò ci siamo voluti immaginare che ogni formaggio, per la sua libera circolazione nel mercato mondiale, si debba dotare di una sua carta d’identità che ne consenta il riconoscimento oltre che per il suo nome esteso, anche per tre caratteristiche essenziali. Caratteristiche risalenti ad un “quando”, ad un “dove” e ad un “da chi”.

Ogni formaggio ha una sua carta d'identità (L’Italia dei formaggi in 50 Dop Sei su 10 arrivano dal Nord)
Ogni formaggio ha una sua carta d'identità

Il quando è da intendersi come il periodo di stagionatura e di successiva immissione al consumo. Ed è proprio questa analisi del quando che rende più complessa l’analisi dei dati. Eh sì, perché così volendo agire si scopre che ben 15 formaggi, ovvero quasi il 30% delle Dop, non possono avere classificazione unica in base al “quando”. Tre casi, meglio di mille parole, per trasmettere un’idea concreta di cosa si intende dire. Eccoci al cospetto del Montasio Dop. Bene, sapremmo dare risposta precisa al “dove” ed al “da chi”, ma non al quando. E perché? Perché il Montasio Dop si presenta con ben 4 versioni: fresco, mezzano, stagionato, stravecchio. Altro caso pressoché identico è dato dal Pecorino delle balze volterrane Dop: c’è il fresco, il semi stagionato, lo stagionato e quello da asserbo. Terzo caso, il Piave Dop, che di versioni ne ha ben 5: fresco, mezzano, vecchio, selezione oro, riserva. Quindi, ai fini della sinossi, adopereremo quattro categorie temporali: le ore, i giorni, i mesi, gli anni. I formaggi che prediligono un consumo “ad horas” (sono soltanto 3), rientrano nella prima categoria. Per giorni si intende tra i 5 e i 60 giorni. Per mesi intendiamo dai 2 ai 10 mesi e per anni, convenzionalmente, intendiamo oltre i 10 mesi. Siamo all’elogio del pressappoco. Un pressappoco che ai nostri fini di produzione della sinossi diviene un valore aggiunto. Il pressappoco, la linea di demarcazione tratta con il buon senso e con l’esperienza, nel caso del “quando” di sicuro la vince su un rigore di slot temporali che qui non avrebbe senso.

Per il “dove” ci siamo avvalsi (scoprendo che è valevole e ben funzionale ai nostri fini) della suddivisione dell’Italia secondo le 4 aree Nielsen: il Nord Ovest (Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria), il Nord Est (Triveneto ed Emilia-Romagna), il Centro (Sardegna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio), il Sud (Abruzzo - Molise - Puglia - Campania - Basilicata - Calabria - Sicilia).

Più di sei formaggi su 10 sono prodotti al Nord (L’Italia dei formaggi in 50 Dop Sei su 10 arrivano dal Nord)
Più di sei formaggi su 10 sono prodotti al Nord

Per il “da chi” che sottende “da quale animale proviene il latte”, le connotazioni sono: la bufala, la capra, la pecora, la vacca, e poi ci sono alcuni formaggi ottenuti con un misto di latte provenienti da due animali. Quindi, riassumendo e giungendo finalmente alla sinossi vera e propria, vediamo su quali dati abbiamo lavorato.

Il 62% dei formaggi proviene da latte vaccino (L’Italia dei formaggi in 50 Dop Sei su 10 arrivano dal Nord)
Il 62% dei formaggi proviene da latte vaccino

A causa del “quando”, categoria essenziale se pensiamo all’ambito del consumo e quindi del valevole approntamento di un tagliere che consenta una ragionata degustazione con elevato standing di pregevolezza organolettica, e con il faceto sdoganamento del pressappoco, i formaggi (esclusivamente ai fini del quando) diventano 70. Permangono in numero di 50, ovvero il numero vero delle Dop, per le altre due categorie: “dove” e “da chi”. Eccoci.

Sono pochi i formaggi che devono essere consumati a poche ore dalla produzione (L’Italia dei formaggi in 50 Dop Sei su 10 arrivano dal Nord)
Sono pochi i formaggi che devono essere consumati a poche ore dalla produzione

Secondo la categoria del quando, ben 38 formaggi (su 70), quindi il 54% circa, hanno stagionatura ascrivibile al novero dei mesi. Seguono in numero di 21 (30% circa) le stagionature nell’ordine dei giorni; 8 (11% circa) le stagionature nell’ordine degli anni e solo 3 (possiamo immaginare quali siano questi tre formaggi freschissimi) quelli catalogabili tra le “ore”. Insomma, oltre l’80% dei nostri formaggi ha periodo di stagionatura misurabile in giorni ed in mesi. Praticamente una minoranza la presenza dei formaggi freschissimi e dei formaggi stagionati un anno ed oltre. Ben l’88% dei formaggi con periodo di stagionatura ascrivibile all’anno sono fatti al Nord e questi sono tutti di latte vaccino. Interessante lo spaccato ulteriore. Nel sottoinsieme più numeroso, quello dei mesi (38 formaggi) ben 23, ovvero il 60% circa, sono al Nord (12 in Nord Ovest e 11 in Nord Est).

Passando propriamente alle aree in cui si fa il formaggio (il “dove”), qui i valori percentuali indicano una ripartizione tutto sommato prevedibile: 37% al Nord Ovest, 29% al Nord Est, 20% al Centro e 14% al Sud. Due formaggi su tre sono fatti nel Nord del Paese.

L’ulteriore indagine, con focus territoriale sul Nord Ovest, palesa la forte maggioranza, ben l’81%, di formaggi fatti con latte vaccino e nell’ambito di questa presenza di latte vaccino, la regione prevalente per numero di formaggi risulta essere la Lombardia. In valori percentuali la presenza dei formaggi fatti con latte vaccino è praticamente quasi totalitaria nel Nord Est, con una percentuale del 96%. D’altronde il Triveneto non produce altro formaggio che non sia di provenienza vaccina.
 
Il 94% dei formaggi fatti al Centro sono ottenuti da latte ovino. La totalità di latte ovino è in Sardegna, nel Lazio ed in Toscana. Si sta disegnando una mappa dell’Italia dove la vacca domina al Nord e la pecora al Centro. Ben presenti gli ovini anche al Sud con una percentuale del 57% per numero di formaggi.

Ed eccoci al “da chi”, ovvero da quale animale proviene il latte con cui si fa il formaggio (solo altri due gli ingredienti: caglio e sale).  Ben il 92% dei formaggi italiani è ottenuto da latte vaccino e da latte ovino. Ad essere precisi, il 62% dei formaggi è fatto con solo latte di vacca ed il 30% è fatto con solo latte di pecora. Il 6% è costituito da formaggi fatti adoperando un latte misto, quando capra e pecora e quando pecora e vacca. Due fulgide presenze uniche. Il vessillo del latte bufalino: la Mozzarella di Bufala Campana, ed il vessillo del latte caprino: la Formaggella del Luinese.

E adesso si tratterà di comporre, utilizzando con sapienza le tre connotazioni fondamentali di ciascuno dei 50 formaggi (ma qui dovremmo dire 70 proprio in virtù della connotazione “quando”) un ragionevole numero di proposte di ghiotti taglieri affinché la degustazione dei formaggi divenga, posta alla base la gioiosità della pregevolezza organolettica, anche una deliziosa esperienza cognitiva che solo il Bel Paese, con le sue eccellenze agroalimentari, sa donarci.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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