Un'Italia divisa, frammentata al Parlamento Ue nel votare l'azione coordinata dell'Unione per fronteggiare la crisi da pandemia di Covid-19. Prima i coronabond: a sinistra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle hanno votato a favore, Italia Viva si astiene, Fratelli d'Italia vota sì staccandosi dalla destra di Salvini (Lega) e Berlusconi (Forza Italia) che "remano contro le volontà" del Governo e dicono no. Poi il recovery fund: Lega ancora contro, che ritrova la compagnia di Fratelli d'Italia ma perde l'appoggio di Berlusconi che stavolta vota sì insieme a Italia Viva e Partito Democratico. Si spacca invece la maggioranza del Governo, con l'astensione del M5S (con però tre deputati che votano addirittura contro).
Al Parlamento Ue l'Italia si spacca... perché?
Queste scelte hanno portato a una lunga seria di accuse reciproche a Roma. Poca differenza fa: dal Parlamento Ue una traccia (non vincolante per le decisioni del Consiglio dei leader europei del prossimo 21 aprile, ma comunque con un certo peso politico) è ora sul tavolo.
In sostanza quanto è stato deciso dal Parlamento: "salvati" i recovery bond, ora potenziale punta di diamante della ripresa dell'Unione; esortazione degli Stati membri all'Uso del Mes; niente coronabond; esclusione della mutualizzazione del debito esistente, senza però l'esclusione di una mutualizzazione del debito per investimento futuri.
Vediamo di fare chiarezza.
Non siamo un quotidiano di economia, assolutamente. Siamo un portale che fa informazione. E quest'informazione è necessaria, fondamentale, imprescindibile affinché si capisca non tanto quali strumenti l'Italia (e l'Europa) adotterà, ma quali sono realmente le soluzioni che ha di fronte a sé e
in cosa davvero consistono queste soluzioni.
La prima, quella che sembra essere dipinta come l'«unica» dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, è l'"
emissione di eurobond". Ora, come il Mes (sempre dalle parole di Conte)
non è stato istituito «l'altra sera, ma esiste già da anni», anche gli eurobond non sono poi una grande novità (vogliono al massimo sembrarlo, mascherati dietro al più attuale nickname
coronabond).Diamo qualche definizione preliminare ma necessaria. I
bond sono obbligazioni, titoli di debito, soldi presi in prestito - per definizione - che si dovranno presto o tardi restituire ai creditori, e con gli interessi. Euro-bond sta quindi per titoli di debito sostenuti/garantini, però, dall'Europa, dall'intera Unione europea. Oggi di questi titoli ne circolano già per circa 800 miliardi di euro: sono obbligazioni emesse dalla Commisione europea, dalla Bei e dall'"antipatico" Mes. I
Btp sono i titoli di debito italiani, emessi dallo Stato ad esempio per pagare le pensioni o gli stipendi pubblici, ma anche in questo caso (il funzionamento è chiaramente identico) lo Stato dovrà garantire un rimborso, presto o tardi, ha chi ha sovvenzionato queste spese, ai creditori.
Btp, Bund e Spread
Ora, un creditore che acquista Btp avrà dall'Italia un interesse attualmente dell'1,6% sul suo "prestito". Lo Stato italiano ogni anno paga all'incirca 67 miliardi di euro di interessi ai suoi creditori.
Per la Germania è la stessa cosa, con i suoi
Bund. L'interesse tedesco però nei confronti dei suoi creditori è praticamente pari allo 0%. Questo perché? È, per farla semplice, questione di garanzia. Ogni titolo di Stato che si offre sul mercato è più o meno appetibile per i suoi creditori a seconda di quanto lo Stato che lo ha emesso possa garantire solidamente per esso. Chiaramente
la Germania, che non fa deficit da anni, di garanzie ne offre a iosa.
La Germania, con il suo 0% di interessi, diventa
punto di riferimento per i titoli di Stato degli altri Paesi europei. Ecco spiegato il famoso
Spread, letteralmente il "divario". Più il divario tra Btp e Bund è ampio, meno l'Italia è agli occhi del mercato in grado di offrire garanzie, più aumentano gli interessi (questione di logica).
Fatta questa premessa, torniamo agli eurobond e ai loro problemi preliminari di attuazione. Il primo riguarda
chi li emetterà: è fondamentale.
Se li emettessero separatamente i singoli Paesi, non si potrebbe parlare di eurobond, perché ogni Stato avrebbe una diversa garanzia, quindi titoli che risulterebbero diversamente appetibili sul mercato: la situazione attuale, insomma.
Dovrebbero essere obbligazioni comuni, quindi si dovrebbe far riferimento ad un organo europeo, come la
Bce - Banca centrale europea, che però per statuto non può emetterne (né prestare soldi ai singoli Stati).
Chi rimane? La
Commissione Ue, ad esempio: ma con che budget? Quello che ha ora è troppo ridotto - si parla dell'1% del Pil dei 27 Paesi Ue, senza entrate fiscali di nessun genere, riceve solo dei contributi dagli Stati. In poche parole non potrebbe dare garanzie, i titoli quindi non sarebbero appetibili. A meno che non si avvalesse della possibilità di prelevare direttamente dalle casse degli Stati, ma quali Paesi sarebbero d'accordo?
C'è il
Mes, che seppur antipatico, già fa una cosa simile (anche se insufficiente) a quella che dovrebbe fare una qualche istituzione per gli eurobond. Il Mes emette obbligazioni tripla A (i migliori) basandosi su un finanziamento di 80 miliardi messo dagli Stati come garanzia.
Un'altra opzione è l'emissione da parte dei singoli Stati ma con
una garanzia comune. Certo: e se un Paese non paga? Ad esempio l'Italia? Vorrebbe dire che Paesi più forti, come la Germania o i Paesi Bassi dovrebbero pagare al posto suo. Impensabile.
Le (tante, troppe) decisioni inevitabili che l'Europa dovrebbe prendere
Poniamo anche che questo ostacolo sia superato, che una soluzione comune venga trovata e che sia (paradossalmente) vantaggiosa per tutti. Ma allora
chi regolerà l'emissione di questo eurobond? Impensabile che ogni Stato emetta quanti eurobond necessiti: la Germania potrebbe emetterne zero e l'Italia un'infinità.
Ci vuole qualcuno che controlli, ma chi? Un supercommissionario? Il presidente di un ente ad hoc? Questa personalità, avendo questo potere, potrebbe permettersi di dire quanto, ad esempio, l'Italia dovrebbe spendere in sanità, materia che al momento non è in mano all'Ue.
Si potrebbe nominare qualcuno che già ricopre un ruolo di un certo peso: il Commissario all'Economia Paolo Gentiloni ad esempio? I Paesi del Nord penserebbero (forse giustamente) che agevolerebbe i conti del Sud Europa.
Se questa rappresentazione non sembra insormontabile ai più, i problemi arrivano adesso.
Si evincono dalle parole di Angela Merkel (quella odiata da tutti gli italiani),
che si è detta fin da subito contraria agli eurobond. Ma contraria non tanto per ragioni di principio o ideologia (potrebbe anche essere, ma non importa), quanto per ragioni politiche e tecniche che, seppur nascoste, sono le più importanti.
Vale a dire, l'armonizzazione della fiscalità e il controllo dei bilanci dei singoli Stati. Senza questi due elementi chiave, gli eurobond per come li intende Conte sono impensabili. E questi due elementi hanno delle conseguenze più pratiche: andrebbe ridotta al minimo la discrezionalità fiscale dei singoli Governi (che dovrebbe essere gestita, come dicevamo sopra, da un nuovo ente completamente europeo) e quasi sicuramente l'impossibilità di aumentare a discrezione del singolo Paese il proprio debito nazionale.
La parte bella di questa faccenda è l'inevitabile realizzazione del sogno europeo. Perché, cosa unisce se non i soldi? I debiti di tutti gli Stati avrebbero come garanzia l'Europa tutta, il che porterebbe un grande vantaggio anche nei confronti delle altre grandi potenze del mercato (si pensi agli Usa e alla Cina).
La parte che a molti non piace (in particolare ai "sovranisti" iper-citati in questi ultimi giorni) è costituita dal limite di spesa che ogni Paese dovrebbe rispettare e soprattutto da una
cessione della sovranità. Eccolo il punto chiave. Eccola la motivazione dietro alla neo-palesata alleanza Lega-Olanda. Ma non basta.
Continuiamo a giocare. Poniamo anche che tutte le forze in campo decidano di rinunciare a un proprio pezzo di sovranità. Ma per fare una cosa del genere... Serve
tempo. Non giorni o settimane, sia chiaro... Ma mesi, anni!
Per cedere sovranità devono essere cambiati i trattati, cambiate le normative europee: in Europa ogni cessione di sovranità deve passare dalla ratifica di ogni parlamento nazionale. Un processo infinito, considerando che deve essere compiuto da ciascuno dei 27 Stati dell'Unione.
In Europa, inoltre, esistono Stati le cui Costituzioni non permettono una cessione di sovranità: un esempio? La Germania. Questo basta, volendo ben vedere, a spiegare la reticenza della cancelliera che ha negato più volte l'ipotesi di eurobond.
E se c'è una cosa che è chiara è la necessità di un
intervento immediato!
Vantaggi economici comuni a discapito delle singole sovranità
Ma quindi... Cosa resta? Resta quello strumento che Conte ha definito «adatto secondo tanti Paesi Ue, ma non per l'Italia»: il
Recovery Fund.
Bocciato dalla Lega e dal Movimento 5 Stelle al Parlamento europeo, questo strumento sostenuto da diversi Governi europei ma guardato ovviamente male dagli olandesi, rappresenta la più concreta misura per la ripresa post-coronavirus.
Istituirlo significherebbe finanziare progetti legati alla transizione energetica, all'economia circolare e al digitale, settori che aiutati possono permettere ai Paesi Ue di rialzarsi più in fretta. Si ipotizza anche la creazione di "campioni industriali europei" capaci di reggere la competizione con i grandi gruppi cinesi e americani (cosa oggi ostacolata dall'Antitrust). Si potrebbero altresì, con questo strumento, tagliare le catene di forniture globali per rendere l'Europa indipendente nella produzione di prodotti strategici (idea riproposta dalla stessa von der Leyen recentemente).
Il problema è come finanziarlo:
servono 500 miliardi di euro.
Ci sarebbe, anche qui, la possibilità di emettere eurobond coperti (come ha suggerito Bruno Le Maire, ministro dell'Economia francese) non dall'Europa (altrimenti si ritornebbe alla questione iniziale, dei coronabond all'italiana), ma da un'imposta di solidarietà a livello europeo o, ancora, dalla contribuzione diretta da parte degli Stati membri - i Paesi Bassi subito si sono detti contrari.
La soluzione del commissario europeo al Bilancio sembra essere più indicata: portare per tre anni dall1,2% al 2% il Pil annuo dell'Ue. Questo permetterebbe alla Commissione Ue di emettere circa 100 miliardi di euro di obbligazioni, utilizzando quei titoli come garanzia per investimenti a favore della ripresa, così da
mobilitare 1.500 miliardi di euro tra effetto leva e partecipazione degli Stati membri.
Si è ancora abbastanza indietro su quest'idea, non comunque respinta, anzi. L'Eurogruppo ha altresì precisato che il fondo sarebbe temporaneo, finalizzato a obiettivi precisi e proporzionato con i costi di questa crisi.
Così alla prossima diretta del premier, saremo tutti più preparati.