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«Se uscire a mangiare è un problema» Io, allergico, in cerca di sicurezza

di Federico Biffignandi
 
20 luglio 2018 | 15:42

«Se uscire a mangiare è un problema» Io, allergico, in cerca di sicurezza

di Federico Biffignandi
20 luglio 2018 | 15:42
 

È raro, ma basta una volta. La morte di Chiara Ribechini ha messo in crisi chi come lei soffre di gravi allergie alimentari e si ritrova ogni volta che mangia fuori casa con un carico di stress insopportabile.

La ventiquattrenne, purtroppo ormai si sa, è morta a causa di uno shock anafilattico subentrato dopo una cena in un locale toscano probabilmente per aver ingerito alimenti a cui era allergica. Le polemiche si sono aperte e anche gli esperti, come noi stessi abbiamo documentato, si sono messi in prima linea perché si cambi registro.

(Se uscire a mangiare è un problema Io, allergico, in cerca di sicurezza)

E ce n’è un gran bisogno. Chi scrive - allergico da sempre ad ogni tipo di pesce, molluschi e crostacei - sa bene quali problemi bisogna affrontare ogni volta che si va a mangiare in un locale e le tante voci che si sono sentite in questi giorni - anche da “espertoni” - fanno arrabbiare, qualche volta rabbrividire.

Prima di tutto perché l’opinione pubblica - compresi cuochi o gestori di ristoranti e hotel - non ha ancora afferrato il concetto di allergia e quello di intolleranza. Sia chiaro, entrambe vanno monitorate, ma di allergia si muore mentre di intolleranza è decisamente più complicato. Bisogna dirlo, ripeterlo, urlarlo fino allo sfinimento altrimenti di Chiara ce ne saranno più di una, ahinoi.

Il boom che il settore food&beverage ha avuto negli ultimi anni ha esposto gli allergici a maggiori problemi. Uno, perché le cucine ricercate dove quasi nessuno tra la gente comune (ma non solo) capisce ciò che mangia stanno spopolando e si cerca l’estremo che più estremo non si può per stupire e se proponi un piatto di spaghetti al pomodoro sei un locale di serie B. Due, perché uscire a mangiare in cerca di un’esperienza particolare è sempre più frequente e le situazioni in cui bisogna fare i conti col cibo aumentano. E allora i “no grazie, non posso venire” degli allergici, seguiti da ogni tipo di scusa perché nessuno comprende, aumentano perché ad un certo punto evitare il problema è l’unica soluzione. Tre, perché le mode di diete esotiche o esoteriche a base di questo o senza quell’altro stanno confondendo chiunque, tanto che adesso se sei allergico al pesce sei un capriccioso che sta seguendo i consigli di chissà quale santone e allora “mangiatelo e stai zitto che non abbiamo tempo da perdere”.

Ma perché arriviamo ad evitare i ristoranti? La premessa è che essendo allergici e quindi più deboli, probabilmente siamo anche psicologicamente più fragili e suscettibili. La realtà dei fatti però è che il personale di tanti (troppi) locali è ignorante in materia e fa spallucce di fronte a chi la materia la conosce meglio (gli allergici stessi perché informati dai medici). Morale? Scendendo nel pragmatico: se sei ignorante e arrogante su un tema così delicato, io nel tuo ristorante non vengo più e se io faccio parte di una compagnia di amici anche quella compagnia di amici non verrà più nel tuo ristorante. Il passaparola corre veloce e tu, ristoratore, perdi clienti e forse chiudi pure poi un giorno.

Ma sarebbe banale ridurre tutto a business. Qui il problema è culturale e un Paese come l’Italia che si riempie la bocca (anche con ragione, spesso) di essere il numero 1 al mondo per il cibo non può permettersi di cadere su questi aspetti così determinanti. Molti camerieri, alla richiesta di porre attenzione al pesce (nel mio caso), garantiscono massima prudenza e poi, dopo mezzora, si presentano al tavolo con il piatto di fritto misto di pesce appiccicato alla mia pastasciutta al pomodoro. E se glielo fai notare, si stizziscono. Oppure se ne escono con rassicurazioni del tipo: “Non si preoccupi, qui di pesce ce n’è poco” detto dal cameriere di un noto ristorante bergamasco conosciuto per il pesce molto buono. Ma c’è anche chi ascolta il tuo problema e prosegue senza sosta a fare quello che stava facendo prima. Come dire: “Povero scemo”. Trattasi questa volta di un pizzaiolo che, puntualmente, si presenta al tavolo con le pizze mia e dei miei amici, peccato che sulla mia Margherita ci sia un pezzo di melanzana e uno di prosciutto isolati ed evidentemente caduti accidentalmente sul topping. E se fosse caduto sopra un gamberetto? E se fosse un mollusco?

(Se uscire a mangiare è un problema Io, allergico, in cerca di sicurezza)

Basta notare l’errore e si va in crisi. Qualcuno direbbe paranoia, per noi allergici è crisi. Tanto che non si mangia e ci si tiene stretti i farmaci di prima emergenza in caso di bisogno. E poi ci sono i buffet incontrollati e incontrollabili. L’ultima esperienza in un albergo della Romagna: dopo una settimana in cui non ho preso niente dalla ricca offerta per paura di contaminazioni, mi decido a vincere il timore e mi appresto a prendere una mozzarella di bufala. È nel momento in cui la prendo dal piatto di portata che mi accorgo che sul lato nascosto c’è un’acciuga caduta chissà da dove. Serve dire altro?

Sia chiaro, è complicato per i ristoranti stare dietro a tutte queste problematiche che richiedono di lavorare al centimetro e al millesimo di precisione perché anche una goccia di allergene può scatenare il putiferio (succede pure a casa che una distrazione porta a contaminare il mio cibo). E allora uscire a mangiare diventa un dramma tanto che, appunto, ci si promette di non uscire più e si rischia pure di isolarsi creando un problema psicologico e sociale non da poco perché si sa quanto un pranzo, una cena o un aperitivo creino festa e condivisione.

Il problema sta anche nelle normative che obbligano a esporre l’elenco degli allergeni. Ma a quale pro? Cosa serve a me, allergico da sempre, sapere quali sono i cibi che possono scatenare allergie? Lo so già. A me cliente allergico interessa sapere cosa c’è in ogni piatto, ingrediente per ingrediente. E invece cosa succede nei ristoranti? Che anche se ordini un banalissimo Prosciutto e melone per non rischiare proprio niente, ti ritrovi uno sformatino di un pesce mai sentito e che arriva da chissà dove proprio sulla fetta di Crudo. Non può accadere, non deve accadere. La Cucina italiana riparta da qui per accrescere la propria celebrità nel mondo. Si tratta spesso di vita e di morte, del cliente e - di conseguenza - del ristorante dove si è cenato l’ultima volta.

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08/08/2018 18:36:53
2) io allergica in cerca di rispetto e correttezza
Condivido totalmente l'articolo di Federico Biffignandi, e aggiungo che io non sono in cerca di sicurezza, ma di correttezza. termine forse oramai desueto, ma di questo si tratta. io sono allergica agli agliacei e peperone: un calvario ogni volta. dovrei frequentare solo pasticcerie se fosse per la stragrande maggioranza dei ristoratori che ho incontrato, a qualsiasi livello. mi è capitato infatti di sentirmi offrire una pasta in bianco come unica scelta non solo in qlc pizzeria affollata (dove accetto come soluzione, con piacere, un piatto di formaggi) ma anche in un ristorante stellato dove, invece, ho risposto stizzosa che la poteva dare a suo figlio, dato che normalmente non si va a cena in un ristorante stellato per mangiare una pasta in bianco!! ho uno stipendio impiegatizio, devo cmq cucinare tutti i giorni perché, per me, i piatti pronti, i surgelati e i sughi sono offlimits; ovunque trovo la scritta aglio o "aromi" e lì mi fermo. l'aglio è un aroma? mah. cosa prevede la legge dietro la dicitura aroma? e il dado o l'insaporitore che tutti i cuochi dicono di non usare… perché non è dichiarato fra gli ingredienti? c'è molta superficialità in italia. non così negli stati uniti, patria del cibo spazzatura, ma dove per una contaminazione di allergeni chiudi e ti ritirano la licenza. in america già 25 anni fa, quando dichiaravo di avere delle allergie, solitamente mi ritrovavo a parlare direttamente con lo chef che mi proponeva qlcs di alternativo e spiegava col sorriso come preparava un piatto. in italia mai una volta che non pensino, in prima battuta che io lo dica per fare la snob o x l'alitosi. trovo molta superficialità e, quando insisto perché lo segnino sulla comanda, musi e spallucce. l'ultimo chock anafilattico che ho avuto, per un boccone ingerito e subito vomitato mi ha provocato la perdita del figlio che stavo aspettando… e il ristoratore insisteva nel dire che non c'era aglio nel suo piatto…. conclusione: sarà stato nell'acqua gasata o nel costoso vino rosso che avevamo appena iniziato a sorseggiato con moderatezza dato che si festeggiava la gravidanza appena "scoperta". la legge poi non ti consente neppure di poter agire contro qs ingiustizie, trovandoti tu a dover dimostrare che non hai alterato tu stesso il tuo piatto o hai ingerito altro. Nas nel ristorante due giorni dopo per verificare… poveri noi. chissà che con le nuove etichette ci sia più chiarezza anche su "aromi" e altre diciture similari. sono certa peraltro che se qlc azienda italiana promuovesse una linea di cibi pronti e\o surgelati e sughi o preparati e dado o insaporitore senz'aglio avrebbe molto successo. noto che molti ora chiedono piatti senza qs ingrediente spesso non gradito. da ultimo concludo con una battuta: smettete di dirmi quante virtù abbia l'aglio; non ho scelto io di avere delle allergie alimentari e a cosa! se avessi potuto almeno scegliere, certo avrei scelto i cavolini di bruxelles o le verze (il cui solo odore mi nausea)… mlb
maria luigia Bernuzzi

08/08/2018 18:36:09
1)
innanzitutto complimenti per la puntuale precisione e descrizione di quanto realmente accade nell'ambito del tema trattato. E tra le righe si coglie chiaramente l'unica soluzione percorribile: nasceranno a breve ristoranti ed affini espressamente specializzati su questi temi. çLerrore base e gravissimo, come ben evidenziato nell'articolo, è pretendere che tutti i ristoranti debbano per forza adeguare non solo "forma mentis" ma anche personale tra cui buona parte generico e con scarse propensione allo studio e autoformazione 8pensate ai facchini, agli studenti occasionali extra, agli apprendisti stagisti ecc) ma anche agli spazi condivisi di frigoriferi, dispense per non parlare delle atrezzature in cucina. Se consideriamo che un ristorante mediamente ha in carta 30-40 differenti voci che contengono decine di differenti ingredienti e che possono variare anche una volta al giorno in base a disponibilità di mercato delle materie prime o altro, il tutto approntato in cucine mediamente di 30mq e con totale condivisione di spazi, frigoriferi, dispense ed atrezzature......è facile domandarsi come sia possibile che casi di gravissima intossicazione non possano accadere almeno una volta alla settimana! Quindi nasceranno certamente spazi di consumo food con alta specializzazione, dove gli operatori dovranno avere una seria e specifica formazione in dietetica....evitando di pretendere che centinaia di migliaia di cuochi attuali diventino quasi per magia esperti quasi in medicina od in polizia ispettiva delle loro stesse cucine! In un mondo perfetto ovvio che così sarebbe, ma purtroppo non è tecnicamente possibile. daltronde,...a chi verrebbe in mente di entrare in un ristorante vegetariano e chiedere una tagliata al sangue? O magari in un sushi bar e desiderare il vitel tonnè? Che poi ciò possa comportare una migrazione di certa percentuale di clientela verso nuovi format di ristorazione fa parte del normale rischio di impresa e della capacità dell'imprenditore di adeguarsi alle nuove esigenze di mercato senzo essere obbligato a doverlo fare in maniera approssimata come adesso. Un conto è farlo perchè convinti e motivati, un'altrò perchè lo dice un decreto di legge....
valerio angelino



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