Vino: etichette salutistiche o allarmistiche? Ora si apre il dibattito

Sulla questione degli avvisi irlandesi di pericolo sul vino il Governatore Luca Zaia ribadisce un secco no, mentre Matteo Ascheri, presidente del Consorzio Tutela Barolo parla di una tendenza a cui ci si dovà adeguare. Entambi vogliono tutelare il vino italiano, la differenza sta forse nel come fare fronte alle scelte di altri Stati

04 febbraio 2023 | 17:33
di Piera Genta

Entro due o tre mesi l’etichetta allarmistica irlandese che equipara il vino alle sigarette potrebbe avere il via libera ufficiale. Dopo la notifica al Wto (Organizzazione mondiale del commercio), questo è, infatti, il piano del governo irlandese annunciato dalla responsabile dell'unità di controllo del tabacco e dell'alcol del ministero della Salute di Dublino, Claire Gordon. La speranza è «che entro 2 o 3 mesi potremo dare il via a questa legge» e in seguito «che tutti gli altri (Paesi, ndr) ci seguano - ha detto Gordon a un evento Ue sulla lotta al cancro - Siamo molto grati e in effetti un po' sorpresi di aver superato con successo la valutazione Ue perché si tratta in qualche modo di una violazione del mercato unico». Di certo l’Italia, ma anche Francia, Spagna, Portogallo, Danimarca, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria non saranno tra i Pesi che “seguiranno” l’Irlanda. Anzi. Mentre il ministro dell'agricoltura Francesco Lollobrigida lavora a una coalizione per fare pressione sulla Commissione Europea, sulla questione interviene anche il presidente della Regione Veneto, nonché ex ministro dell’Agricoltura, con un secco no. No, per Zaia che alla questione insetti nel piatto. Sembra essere più “realista” Matteo Ascheri, presidente Consorzio Tutela Barolo per il quale la tendenza c'è e bisogna trovare il modo di adeguarsi alle scelte di altri Stati. 

Una questione aperta da diversi anni

Ma facciamo un passo indietro vediamo cosa potrebbe essere riportato sulle etichette. Le avvertenze potrebbero contenere messaggi sui danni del consumo di alcol, un monito sul suo legame diretto con tumori mortali, la quantità di alcol in grammi non in percentuale. Un via libera non definitivo, come dicevamo, perchè l’Irlanda dovrà essere autorizzata anche dall’Organizzazione mondiale del commercio. Un processo che prevede una durata di circa 60 giorni. In ogni caso il via libera è fonte di preoccupazione per le ripercussioni che questa decisione potrà avere sul mercato del vino mettendo in dubbio i principi fondanti dell’Unione Europea, il mercato comune.


Ormai da diversi anni e su diversi tavoli si parla di etichettatura sugli alcolici, ma occorre fare un distinguo tra consumo moderato di bevande alcoliche e consumo nocivo. Il vino non può essere equiparato ai superalcolici, è un prodotto culturale lontano anni luce dalle sostanze di cui si abusa nella ricerca dell’ubriachezza.

 


Binge drinking: il “caso” Irlanda

Il bere compulsivo (binge drinking) o gli episodi di consumo eccessivo sono una problematica emergente soprattutto nel Nord Europa, l’Irlanda è il settimo paese al mondo per numero di forti bevitori e, sempre secondo i dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, al secondo posto al mondo per binge drinking, in effetti aveva già ottenuto il via libera Ue - prima nel 2016 e poi nel 2018 - per misure sempre più stringenti (fiscali e di prezzo) per ridurre i consumi di alcol.


Con una legge promulgata a dicembre del 2021, è diventata uno dei pochi paesi, insieme alla Scozia e al Canada, ad avere un prezzo minimo per gli alcolici, fissato dal Governo a 10 centesimi di euro per grammo di alcol, per contrastare l’abitudine di bere in maniera compulsiva, soprattutto tra i giovani, che approfittano dell’alcol a basso prezzo acquistato al supermercato. Non solo, l’Irlanda ha l’aliquota di accisa sul vino più alta dell’Unione Europea, i consumatori irlandesi pagano 3,19 euro di accise per ogni bottiglia di vino standard (se si spendono 12 euro, il governo ne preleva il 45% in tasse). La situazione peggiora quando il prezzo è più basso, tipologia che la maggior parte delle persone può permettersi. Nonostante la Commissione Europea abbia classificato l’isola come paese vinicolo e il sud-est venga identificato come potenziale regione vinicola entro il 2050, tutto il vino consumato nel paese proviene interamente da importazioni, il 57% dal Nuovo Mondo e il 43% dall’Europa di cui il 10% dal nostro paese, per un valore di 40,6 mio di euro (elaborazione Osservatorio Unione Italiana Vini su base Istat).
Numeri ancora bassi se confrontati con il totale export del made in Italy enologico nel mondo (7,3 miliardi di euro di cui oltre 1,2 miliardi rappresentati dal Piemonte) ma pur sempre significativi, specie se la strada irlandese dovesse essere imboccata da altri Paesi dell’Unione. E, ancora peggio, se Bruxelles dovesse adottare gli health warning in tutta l’Eurozona. Questo è il rischio delle misure introdotte dalla normativa irlandese, le avvertenze sanitarie non tengono conto della fondamentale distinzione tra consumo e abuso. «Uno scenario che segna un precedente europeo che andrà a penalizzare l’Italia» commenta Francesco Monchiero, presidente del Consorzio di Tutela Roero.


Ascheri (Barolo): Bisogna adeguarsi alla realtà dei fatti

Per Matteo Ascheri, presidente Consorzio Tutela Barolo «le politiche salutiste confermano e regolamentano la tendenza, già da diversi anni in atto, alla maggiore responsabilità nell’assunzione di alcolici, consumo di certi cibi e al fumo. Il rapporto col vino è mutato nel tempo, da alimento è diventato, in certi casi, come per le nostre denominazioni tutelate, un bene consumato per gratificazione ed anche a volte bene di lusso. Le direttive europee vanno in questa direzione assolutamente inerente alla realtà dei fatti e porteranno inevitabilmente ad un ampliamento della forbice tra fine wines e vini comuni, che presumibilmente verranno colpiti maggiormente da questa tendenza. Ci sembra dunque coerente con l’evoluzione dei consumi e le tendenze in atto la normativa che sta entrando in vigore, in Irlanda come in altri paesi nel futuro».


Zaia: Perché non si colpiscono i prodotti industriali?

Non è d'accordo Zaia «L’etichetta salutistica del vino è da combattere – ha detto dal palco di Amarone Opera Prima – Su questa questione si continua a intervenire anche dal punto di vista scientifico contro il vino. Ma il vino rappresenta milioni di produttori e quindi un frazionamento produttivo pauroso e non si ha l'uguale coraggio di andar contro una multinazionale per un prodotto in produzione che sicuramente fa più male del vino. Non parlo solo di bevande, parlo in senso generale. Perché se si vuole fare il fondamentalista allora che lo si faccia iniziando dai prodotti di multinazionali. Ora c'è un ministero e un governo che hanno le idee chiare. Facciamo questa battaglia che è una battaglia identitaria e noi siamo i primi a dire che il consumo responsabile di qualsiasi prodotto tipico non dà problemi».


No agli insetti in nome dell’agricoltura identitaria

Identità, dunque. E Made in Italy. Per questo Zaia dice no anche agli instetti: «Si può disquisire e favoleggiare finché si vuole rispetto alle proteine alternative, ci mancherebbe, però è pur vero che noi abbiamo l'obbligo di difendere agricoltura identitaria. L'agricoltura identitaria è l'agricoltura vera, quella dei 4500 prodotti tipici nazionali, dei 350 prodotti tipici del Veneto e quella delle oltre 55 denominazioni del Veneto. Se noi non difendiamo l'agricoltura identitaria consegniamo ovviamente il comparto del food in mano alle multinazionali».

 

 

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