Ci sono piatti che fanno curriculum più di qualsiasi recensione. In Valtellina, uno di questi è la Dadolata di filetto con crema di Bitto Dop e bacetti di segale del Ristorante Jim di Grosio: un boccone che non si limita a rappresentare un territorio, ma lo mette letteralmente in tavola, su una lastra di serpentino scolpita a mano. È il biglietto da visita della famiglia Pini, una storia che da quattro generazioni trasforma la cucina di montagna in identità, cultura e continuità.

L'Hotel Sassella di Grosio (So), che ospita all'interno il Ristorante Jim
La Dadolata non è infatti soltanto un piatto emblematico, ma anche il piatto del Buon Ricordo del ristorante. Per capirne l’importanza bisogna guardare alla storia dell’Unione ristoranti del Buon Ricordo, nata nel 1964 come prima associazione italiana dedicata alla tutela delle tradizioni gastronomiche locali. Ogni ristorante aderente rappresenta se stesso e il proprio territorio attraverso un piatto-simbolo, offerto agli ospiti accompagnato da una ceramica dipinta a mano a Vietri sul Mare, oggi oggetto d’arte e collezionismo.
Il Ristorante Jim fa parte del Buon Ricordo dal 1988, risultando tra i locali più longevi dell’intera rete. Per il restaurant manager Giuseppe Caspani, essere parte dell’associazione significa «famiglia, territorio, qualità»: tre parole che riassumono un modo di intendere la cucina come spazio di continuità generazionale, di rispetto della memoria e di collaborazione con una rete di colleghi. È un contesto che ha contribuito, negli anni, a rafforzare l’identità del ristorante, ponendolo all’interno di una comunità attiva, stimolante e culturalmente viva. Proprio questo legame con una visione ampia della tradizione rende più facile comprendere la storia del locale e di chi lo guida.
La famiglia Pini e il ristorante di montagna che ha costruito un’identità
Il ristorante nasce infatti da una lunga storia familiare. Una storia che si snoda attorno a un nome - “Jim” - divenuto nel tempo un tratto identitario, quasi un marchio di casa. Il primo a portarlo fu Giacomo Sassella, soprannominato “Strapazza”, che agli inizi del Novecento lasciò la Valtellina per l’Australia. Lì gli affibbiarono il nomignolo “Jim” e fu proprio con quel nome che rientrò a Grosio. Quando, negli anni Sessanta, la struttura prese forma, fu naturale battezzarla Hotel Sassella-Ristorante Jim, in omaggio al suo viaggio e al soprannome che era diventato parte della memoria collettiva. Ma il “secondo Jim” è quello che ne ha consolidato davvero la storia. Si tratta di Giacomo Pini, pronipote del primo, che dal bisnonno ha ereditato non solo il nome ma anche la passione per l’ospitalità.

Marcella Pini, Giuseppe Caspani e Ombretta Pini
Negli anni è diventato una figura amatissima in valle: prima come uno dei primi sommelier professionisti d’Italia e primo delegato Ais della provincia di Sondrio, poi come protagonista della scena gastronomica italiana. La sua notorietà crebbe soprattutto negli anni Settanta, quando venne definito “ambasciatore della cucina valtellinese nel mondo”. Nel 1974 seguì la squadra italiana di sci alpino a St. Moritz, portando le specialità della valle nell’entourage della famosa “Valanga azzurra”. Fu l’inizio di un percorso che lo portò a rappresentare la cucina italiana in oltre 10 edizioni tra Olimpiadi e Mondiali di sci, sempre al fianco di Casa Italia. Il suo modo di accogliere - diretto, generoso, radicato nella montagna - è diventato il dna della casa. Oggi quel patrimonio è custodito dalla quarta generazione: Giuseppe Caspani, sua moglie Ombretta Pini (figlia di Jim) e la cognata Marcella.
L’Hotel Sassella: accoglienza, rinnovamento e un’anima familiare
L’albergo oggi conta venticinque camere ed è stato rinnovato nel tempo fino alla ristrutturazione del 2008, che ha portato alla creazione del centro benessere al quarto piano e a un ampliamento dell’offerta. L’atmosfera è quella delle case di montagna dove la cura dell’ospite è un fatto naturale, quasi istintivo. Lo dimostra la presenza quotidiana del nonno Jim, oggi ultraottantenne, ancora impegnato tra sala e spazi comuni con la stessa passione di sempre. «Arriva al mattino, saluta gli ospiti, controlla i dettagli, riconosce volti che frequenta da decenni» racconta il restaurant manager.
Una cucina che onora la Valtellina
Dalla storia della famiglia e dall’identità costruita intorno al nome “Jim”, si passa naturalmente a ciò che oggi definisce la struttura più di ogni altra cosa: la cucina del ristorante. Una cucina che «affonda le radici nella tradizione valtellinese, ma che negli anni ha saputo evolversi mantenendo intatto il legame con la terra e con le materie prime di montagna» dice Caspani. È questo equilibrio framemoria e contemporaneità che rappresenta la vera eredità lasciata da Jim Pini e che la nuova generazione custodisce con cura. Oggi la guida della brigata è affidata allo chef Zeno Bernasconi, «arrivato cinque anni fa e subito entrato in sintonia con lo spirito della casa». Le sue origini - tra Como e la stessa Grosio - gli permettono di muoversi con naturalezza tra cultura alpina e precisione tecnica, costruendo piatti che raccontano la montagna senza mai risultare pesanti o datati.

La mise en place del Ristorante Jim
Tra le proposte pià apprezzate, «i pizzoccheri preparati “come li faceva la nonna”, le Manfriguli alla Grusina, i piatti di selvaggina, le carni cotte sul sasso, gli gnocchi ripieni di Bitto Dop, la bresaola servita su ceramica artigianale: ogni ricetta rimanda a una memoria tramandata e aggiornata con mano sicura. Accanto a queste certezze trovano spazio piatti che aprono lo sguardo, come il tonno scottato con cavolfiore e acciughe del Cantabrico, la lingua di vitello con bagnetto verde, il polpo con olive taggiasche e marroni, i risotti mantecati con erbe e formaggi locali». È una cucina che non rinnega la propria identità ma la interpreta, la protegge e la rinnova, facendo dialogare passato e presente.

I pizzoccheri alla valtellinese del Ristorante Jim
Questo rapporto profondo con il territorio emerge anche nella scelta dei fornitori. Caspani ama infatti ricordare che al Ristorante Jim «non entra nulla che non appartenga alla valle». I formaggi arrivano dagli alpeggi sopra i duemila metri, le marmellate dalle aziende simbolo della Valtellina, i funghi dai boschi della Val Grosina, la bresaola dalle famiglie storiche, il burro dalle latterie locali. La filiera è corta, cortissima, quasi domestica, ed è proprio questa radicalità a rendere il Jim un caso esemplare: un ristorante che non usa il territorio come slogan, ma come fondamento quotidiano. Un luogo in cui la montagna non viene evocata, ma resa materia, gusto, gesto. Una coerenza rara, che spiega perché la sua storia non sia un semplice aneddoto di famiglia, ma un modello di fedeltà gastronomica che continua a parlare al presente.
Il piatto del Buon Ricordo del Ristorante Jim
Proprio questo legame con il territorio spiega perché il Ristorante Jim sia parte della già citata Unione ristoranti del Buon Ricordo dal 1988, l’associazione che riunisce i locali che rappresentano al meglio la propria area geografica attraverso un piatto-simbolo. Ogni ristorante propone un menu del Buon Ricordo e omaggia l’ospite con un piatto in ceramica dipinto a mano a Vietri sul Mare: un oggetto d’arte, unico, che celebra la pietanza che meglio incarna l’anima del locale. Nel caso del Ristorante Jim, il piatto scelto è diventato uno dei simboli della casa: la Dadolata di filetto con crema di Bitto Dop e bacetti di segale. Una preparazione che nasce quasi per caso durante un evento in Regione Lombardia dedicato ai formaggi.

Il piatto del Buon Ricordo del Ristorante Jim
In quell’occasione, racconta Caspani, «furono serviti piccoli bocconi di carne da intingere in una fonduta di Bitto. L’idea ci convinse così che decidemmo di trasformarla in un piatto stabile, adattandolo al gusto del pubblico e radicandolo ulteriormente nel territorio. La selvaggina lasciò spazio al filetto di manzo, mentre accanto alla fonduta comparvero i bacetti di segale, gnocchetti realizzati lavorando impasto e pane di segale - un ingrediente profondamente valtellinese». Il piatto non sarebbe però lo stesso senza la sua presentazione: oggi infatti arriva in tavola su una lastra di serpentino della Valmalenco, scolpita appositamente da un artigiano locale. Un dettaglio che completa la narrazione, portando la montagna anche nella materia del piatto. «Volevamo un supporto che parlasse la lingua della valle - dice. E il serpentino è parte della nostra geologia, del nostro paesaggio. È come servire la Dadolata direttamente sulla montagna».
Una cucina che evolve senza tradire la sua montagna
Alla fine, la forza del Ristorante Jim sta proprio qui: saper evolvere senza perdere il passo con la propria valle. La Dadolata non è una reliquia, ma un ponte tra passato e presente, un piatto che continua a parlare la lingua della Valtellina mentre il mondo cambia ritmo. È questo il vero motivo per cui il nome “Jim” continua a pesare: perché non rincorre mode, le filtra. Non insegue la montagna, la rappresenta. E chi torna a Grosio lo sa: ci sono esperienze che si consumano, e altre che diventano memoria, ricordo. La Dadolata appartiene alla seconda categoria.
Via Roma 2 23033 Grosio (So)
Mar-Sab 12:00-14:30, 19:00-21:30; Dom 12:00-14:30