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Cronache da ghetto La fortuna di avere un cane

Avete presente quando siete invitati al pranzo di Natale con tutti i parenti e avete quell'emozione che però è anche un po' non veder l'ora di tornarsene a casa? Ecco, a noi la quarantena sembra anche così.

di Federico Biffignandi
 
15 marzo 2020 | 19:16

Cronache da ghetto La fortuna di avere un cane

Avete presente quando siete invitati al pranzo di Natale con tutti i parenti e avete quell'emozione che però è anche un po' non veder l'ora di tornarsene a casa? Ecco, a noi la quarantena sembra anche così.

di Federico Biffignandi
15 marzo 2020 | 19:16
 

Avete mai fatto caso al fatto che ci interroghiamo sempre su cosa ci sia dopo la morte, ma mai a cosa ci sia stato prima della vita o appena siamo venuti al mondo? Perché l’essere umano non ha il diritto di ricordarsi che cosa succedesse dentro al grembo materno? Perché non ci è stata donata una memoria tale da ricordare che cosa abbiamo visto o pensato al primo battito di ciglia della nostra vita?

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Forse la quarantena mi sta dando le allucinazioni, ma essere costretti a pensare in questi giorni spinge il pensiero oltre i limiti, almeno quelli mentali visto che quelli fisici sono (per fortuna) rigorosi. Oggi però, che si conclude la prima settimana di quarantena, ho rivisto la luce del sole uscendo di casa. Tranquilli: ho portato il cane che è addirittura il mio, non l’ho noleggiato a nessuno, non l’ho chiesto in prestito al vicino, non gli ho fatto fare il giretto per la cinquecentesima volta: era la prima e unica del giorno.

Ecco, uscendo di casa per respirare un po’ di aria aperta e per smarcarmi dal pressing asfissiante degli altri quattro compagni di avventura, ho immaginato che stessi venendo al mondo. Provateci, se non l’avete ancora fatto, e mi saprete dire se anche voi vi siete sentiti nudi e scoperti come se la bolla di onnipotenza nella quale pensavamo di vivere fosse improvvisamente scoppiata, guardando il sole vi sembrerà di vedere il primo della vostra vita.

Sia chiaro: una settimana di clausura per svariati motivi - come una semplice influenza - l’abbiamo vissuta tutti, ma stavolta è diverso. Stavolta oltre a congelarci in casa, siamo stati anche vittime di un congelamento mentale. Colpa di nessuno, se non del coronavirus. Siamo rimasti chiusi in casa, ma la cosa più complessa è stata accettare di doverci rimanere, accettare di non poterci toccare, di non avere relazioni umane, di non poter respirare l’aria fuori perché è cattiva, di fare a meno del sole, della pioggia, del vento, dell’ossigeno. Stiamo abituandoci all’idea che il prossimo è un potenziale “cattivo”, un “untore”. Li ho visti gli sguardi dei pochi che ho incrociato i quali si sono pure girati a trequarti. Ci stiamo imprigionando nel nostro mondo interiore o al massimo famigliare e allora uscire e scoprire che il caldo grembo in cui siamo stati per una settimana non è l’unico posto in cui possiamo stare tutta la vita ci sentiamo rinascere. Un po’ scoperti e un po’ timorosi, un po’ ignari di ciò che sarà e un po’ nudi di fronte al mondo che ci accoglie. Ma pur sempre vivi.

Nelle puntate precedenti:

Cronache da ghetto
Noi, come la Nazionale del 2006

Cronache da ghetto
Mia madre sperimenta il mutismo

Cronache da ghetto
Smart working e faccende di casa

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