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venerdì 05 dicembre 2025  | aggiornato alle 07:34 | 116137 articoli pubblicati

La verità sulla carta dei vini: ecco come crearne una chiara e coerente

Troppe carte dei vini nascono senza metodo e senza visione, diventando un freno all’esperienza del cliente. Il sommelier Eros Teboni spiega cosa non funziona nei ristoranti e come costruire una carta davvero efficace: identità chiara, logica, aggiornamenti e, soprattutto, zero improvvisazione

14 novembre 2025 | 05:00
Come prende vita una carta dei vini? Lo spiega uno dei migliori sommelier del mondo
Come prende vita una carta dei vini? Lo spiega uno dei migliori sommelier del mondo

La verità sulla carta dei vini: ecco come crearne una chiara e coerente

Troppe carte dei vini nascono senza metodo e senza visione, diventando un freno all’esperienza del cliente. Il sommelier Eros Teboni spiega cosa non funziona nei ristoranti e come costruire una carta davvero efficace: identità chiara, logica, aggiornamenti e, soprattutto, zero improvvisazione

14 novembre 2025 | 05:00
 

Ci sono dettagli che tradiscono subito la qualità di un ristorante. La carta dei vini è uno di questi: non è un orpello, è un asset operativo che racconta competenza, visione e rispetto per il cliente. Quando è pensata bene, ti guida. Quando è assemblata in fretta, ti fa capire che lì dentro si naviga a vista. Per questo, per capire davvero cosa significa costruire una carta del vino che funzioni, bisogna parlare con chi le carte le scrive, le smonta e le fa rendere. Uno come Eros Teboni. Sommelier (migliore del mondo nel 2018), formatore, collaboratore di Italia a Tavola e, oggi, anche consulente strategico di Partesa (fra le aziende leader nella distribuzione all'ingrosso di bevande per bar, ristoranti, pizzerie e per il canale Horeca), dove segue la formazione della squadra vendita e partecipa alla scelta delle cantine da inserire o rinnovare in catalogo.

La verità sulla carta dei vini: ecco come crearne una chiara e coerente

Eros Teboni, miglior sommelier del mondo nel 2018

Una figura che ha visto cucine, sale e cantine in mezza Europa e che di carte dei vini ne ha progettate, corrette, sistemate e smontate più di quante la maggior parte delle persone sfoglierà in una vita. Teboni non parla per schemi o per slogan: parla di esperienza. E soprattutto parla di metodo. Le sue parole diventano un punto di partenza prezioso per chi vuole capire come costruire una carta dei vini che abbia senso, funzioni economicamente, sia coerente con il locale e metta il cliente nella condizione di scegliere senza sentirsi spaesato.

L’identità del locale: il punto da cui tutto inizia

Quando si chiede a Teboni da dove si comincia, la risposta è diretta: «La prima cosa è l’identità del locale». Sembra un concetto astratto, invece è la radice di ogni carta ben costruita. Identità significa capire quale tipo di proposta gastronomica si offre, che ambiente si vuole creare, che tipo di clientela si vuole attrarre e quale messaggio si vuole trasmettere. «Una trattoria che lavora su piatti della tradizione avrà un’impostazione diversa da un bistrot contemporaneo. Un ristorante di pesce sul mare ragiona in modo diverso da una steakhouse metropolitana. Un fine dining può permettersi una verticalità di annate o un approfondimento su certe zone, mentre un ristorante che lavora a turnazione veloce ha bisogno di immediatezza e leggibilità» spiega.

La verità sulla carta dei vini: ecco come crearne una chiara e coerente

L'identità del locale guida scelte, coerenza e impostazione della carta dei vini

L’identità determina il tono della carta, la sua ampiezza, la profondità delle scelte e il tipo di narrazione che si vuole proporre. È inutile aspirare a una carta monumentale se il ristorante non ha il pubblico per sostenerla. Ed è altrettanto inutile costruire una carta scolastica e rassicurante in un locale che vuole lavorare sulla ricerca. Poi c’è la questione del gusto personale: «È inevitabile che il gusto di chi costruisce la carta influisca» ammette Teboni. Ed è giusto così, a patto che quel gusto non diventi un limite. Una carta non è la collezione privata del sommelier: è infatti un servizio, pubblico, di tutti.

Il menu orienta, ma non detta la carta

Molti ristoratori sono convinti che la carta dei vini debba essere una traduzione fedele del menu. Non è sbagliato, però è riduttivo. Il menu aiuta a capire la struttura della cucina, i piatti che richiedono vini più delicati e quelli che invece meritano bottiglie più complesse. Tuttavia la carta ha un compito più ampio: deve fornire un terreno sicuro anche a chi non è esperto: «La maggior parte dei clienti non è in grado di affrontare una carta troppo tecnica o troppo spinta. L’85-90% delle persone vuole fare una bella esperienza e si affida ai consigli. Quando quei consigli non ci sono, la carta deve permettere loro di orientarsi da soli».

Questo significa che i classici non sono un cedimento, sono un sostegno. Avere zone riconoscibili, denominazioni leggibili e vini che non richiedano uno sforzo eccessivo è un dovere verso chi si siede a tavola. La carta, in poche parole, non deve essere un terreno minato. Deve essere un ponte.

Il primo anno: la carta come organismo che cresce

I locali appena aperti vivono in un limbo: non hanno ancora una clientela stabile, non conoscono bene i gusti di chi li frequenta, non possono permettersi errori finanziari. Per questo Teboni consiglia di partire con una carta versatile, ragionata ma non definitiva. «All’inizio si crea un impianto logico: una struttura di bollicine equilibrata, un segmento di bianchi che non sia né troppo corto né dispersivo, un gruppo di rossi che parli alla cucina e un reparto di vini dolci che abbia senso».

La verità sulla carta dei vini: ecco come crearne una chiara e coerente

Per Teboni il primo anno è una fase di assestamento: si parte con una carta versatile

Poi si osservano i consumi. Si guarda cosa gira, cosa resta fermo, cosa sorprende e cosa delude. È qui che nasce la vera carta. Non dal progetto iniziale, ma dall’interazione con il pubblico. Ogni carta ben costruita è il risultato di un dialogo tra ristorante e clienti, non di una dichiarazione ideologica.

Territorio, sì, ma senza chiudersi nel recinto

In Italia il discorso sul territorio è sempre acceso. Ci sono ristoratori che vorrebbero lavorare solo con vini locali e altri che preferiscono guardar fuori. Teboni smorza gli estremismi: valorizzare il territorio è importante, ma lo è anche offrire alternative. «Se lavori in una zona molto visitata, come l’Alto Adige, è naturale avere molti vini locali. Ma devi pensare anche a chi vive lì e vuole bere altro». Una carta intelligente fa convivere le due anime: la rappresentazione del territorio e la possibilità di andare oltre. Non serve esagerare con i vini esteri, però ignorare ciò che accade fuori dall’Italia indebolisce la carta. La curiosità cresce quando c’è varietà, non quando c’è chiusura.

Il dialogo con la cucina: fondamentale e spesso trascurato

Se c’è un punto su cui Teboni non transige è il rapporto tra sala e cucina. Il pairing non è un esercizio di stile, è un lavoro condiviso. Funziona quando sommelier e chef si parlano, assaggiano, correggono. Non quando ciascuno va per la sua strada.

La verità sulla carta dei vini: ecco come crearne una chiara e coerente

Il pairing funziona solo con dialogo continuo e collaborazione reale cucina-sala

Serve equilibrio: «Il sommelier deve essere libero di dire se un piatto crea uno squilibrio ingestibile per i vini in carta. Lo chef deve ascoltare e, se necessario, aggiustare un dettaglio». Non è una battaglia di ego, è una collaborazione. «Quando questo dialogo manca, l’abbinamento diventa un terno al lotto. E quando l’abbinamento fallisce, fallisce una parte dell’esperienza».

Costruire (e aggiornare) una carta leggibile: grafica, ordine e logica

Poi c’è il discorso della leggibilità, che non è un dettaglio tecnico, ma una parte essenziale del servizio. Una carta confusa scoraggia. Una carta chiara invita. Teboni segue una logica semplice, coerente e comprensibile: «Bollicine, bianchi, rossi, vini dolci e grandi formati. È l’ordine più intuitivo, quello che riprende il flusso naturale del pasto. È anche quello che permette alla carta di respirare senza ingarbugliarsi». Poi c’è la questione grafica: scegliere un font leggibile, mantenere un’interlinea equilibrata, evitare un uso caotico del grassetto o del corsivo, disporre i prezzi in ordine crescente. La carta deve essere un invito, non un ostacolo. Una buona carta dei vini non si nota. Scorre. E che va soprattutto aggiornata. Perché una carta immobile è una carta che invecchia. Le annate cambiano, i gusti evolvono, i distributori aggiornano il catalogo. Per questo Teboni consiglia un aggiornamento sistematico: almeno una volta all’anno con il cambio di annata e, un paio di volte durante l’anno, l’inserimento di novità pensate per sorprendere. A volte bastano due o tre bottiglie fuori carta, proposte con discrezione. Altre volte si inserisce una piccola sezione nuova. L’importante è non fossilizzarsi. Una carta viva è una carta che respira come il locale.

La verità sulla carta dei vini: ecco come crearne una chiara e coerente

Ordine chiaro, grafica leggibile e aggiornamenti costanti rendono la carta efficace

E quando, nonostante tutto, la carta non funziona? Quando non vende, non incuriosisce, non accompagna il servizio? Qui Teboni invita a non cercare alibi estetici: «Se una carta non va, spesso il problema non è la grafica ma la coerenza interna» spiega. Succede quando la selezione non parla al locale, quando alcune fasce di prezzo sono sbilanciate, quando c’è un eccesso di etichette simili o, al contrario, un assortimento senza un filo logicoÈ il punto in cui bisogna fermarsi e guardare le cose con onestà: la carta non è uno scaffale da riempire, è uno strumento. E se lo strumento non funziona, non si limano dettagli: si ripensa l’impianto. «Se la scelta dei vini è sbagliata, si riformula e si riparte» dice Teboni. Niente scorciatoie. Si rivedono le categorie, i pesi, i prezzi, si capisce cosa serve davvero a quel locale e cosa è finito in carta solo per abitudine o moda. Si ricostruisce con lucidità.

Qui poi entra in gioco un tema scomodo ma necessario: quello dei ricarichi. Una delle ragioni per cui molte carte faticano a vendere non è la qualità delle bottiglie, ma la percezione del cliente. «La ristorazione carica troppo sui vini» dice Teboni senza girarci attorno. «È normale che ci sia un margine: il vino in un ristorante è servizio, conservazione, bicchieri, temperatura, competenza. Ma quando si arriva a moltiplicare i prezzi per quattro o per cinque, diventa una forzatura. E infatti non si vende». Non è un invito a tagliare i listini alla cieca, ma un richiamo alla misura: una carta equilibrata crea fiducia e, alla lunga, genera più vendite di un listino impostato come una barriera.

La regola d’oro: ogni vino in carta deve essere in cantina

E la fiducia, in una carta dei vini, passa anche da un’ultima regola che sembra ovvia ma che molti dimenticano. Se un vino è in carta, deve essere disponibile. Punto. Niente scuse, niente improvvisazione, niente «mi dispiace, è terminato». Una carta che non corrisponde alla realtà è un tradimento della fiducia del cliente. E può rovinare un servizio. Per evitarlo serve un controllo costante: inventario aggiornato, comunicazione tra sala e cantina, pianificazione degli ordini. È un lavoro quotidiano, che molti trascurano. Ma è anche ciò che distingue chi fa ristorazione con serietà da chi la prende alla leggera.

La carta dei vini come specchio del ristorante

Insomma, alla fine, una carta dei vini non è la collezione privata del sommelier né un elenco buttato giù per riempire un menu. È uno strumento strategico che misura la visione del ristoratore: quanto conosce il suo pubblico, quanto dialoga con la cucina, quanto investe nel servizio e quanto tiene alla credibilità del locale. Una carta ben fatta lavora anche quando il ristorante è pieno e il personale corre. Una carta sbagliata, invece, rallenta tutto. E il cliente se ne accorge sempre, anche se non sa spiegare il perché.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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