Licata, Sicilia. Due stelle Michelin, un'identità gastronomica fortissima e un'idea chiara in testa: la cucina è un gesto sociale, non solo un'esperienza da spettacolarizzare. Pino Cuttaia, chef e fondatore del ristorante La Madia (e che di recente ha aperto anche un ristorante a Palermo insieme ai fratelli Vittorio e Saverio Borgia), è uno di quei cuochi che hanno fatto della memoria e del radicamento nel territorio il loro punto di forza. In un'epoca in cui si discute di crisi del fine dining, Cuttaia rilancia con un pensiero semplice: «Il cliente deve tornare» e per farlo bisogna cucinare bene, restare accessibili, non allontanarsi troppo dai sapori familiari.
È, appunto, in Sicilia, terra ricchissima ma spesso poco valorizzata, che Cuttaia ha scelto di investire, aprendo nel 2000 il suo ristorante a Licata insieme alla moglie Loredana Cipriano. In un angolo lontano dalle rotte più battute dal turismo di massa, senza il traino di mete glamour come Taormina o Catania, ha costruito un percorso fatto di dedizione, costanza e visione. Nel 2006 è arrivata la prima stella Michelin, nel 2009 la seconda. Ma il cuore del progetto resta lo stesso di sempre: raccontare la Sicilia vera, quella delle stagioni, dei gesti tramandati, del pane raffermo che non si butta mai. Quella che oggi rischia di perdersi sotto le luci della cucina-spettacolo, ma che secondo lui è ancora la strada giusta da seguire.
L'intervista a Pino Cuttaia, chef de La Madia a Licata
Lo abbiamo intervistato per capire dove sta andando, secondo lui, la cucina italiana - e dove dovrebbe andare. Ecco cosa ci ha raccontato.
Chef, si parla spesso di crisi del fine dining. Lei come la vede?
Io non vedo alcuna crisi, sinceramente. Ci sono tante proposte, certo, tanti posti dove si mangia, e il cliente oggi si divide: va in giro, prova altro, torna meno spesso. Ma non è un problema di crisi, piuttosto di trasformazione. Il fine dining deve passare da una visione esclusivamente elitaria a una dimensione culturale. E questa cultura va trasmessa senza far paura. Molti pensano che un ristorante stellato sia per forza costoso, complicato, distante. A volte non è nemmeno il prezzo che frena, ma l'idea di dover “capire” troppo. Per questo io cerco sempre di mantenere un equilibrio: racconto il mio territorio, faccio vivere un'esperienza, ma senza allontanarmi troppo dai sapori riconoscibili. Deve esserci gusto, ma anche accoglienza. E la cosa funziona, anche perché il mio non è un luogo turistico come Taormina, Catania o Palermo. Io ho bisogno anche del pubblico locale, e se voglio che tornino, devo parlare la loro lingua.

La sala del ristorante La Madia a Licata (Ag)
Negli ultimi anni la presentazione del piatto sembra aver superato il gusto. È anche questo che ha creato distanza con il pubblico?
Credo che oggi ci sia bisogno di un passaggio di consapevolezza. Dobbiamo vedere la ristorazione anche come un impegno sociale. Quando mangi da me, non stai solo vivendo un'esperienza. Stai sostenendo un contadino, un pescatore, un casaro. Dietro ogni piatto c'è una filiera, un territorio, una rete di persone. Questo è il punto. Il futuro della cucina, secondo me, non è nell'effetto speciale, ma nel recupero del senso: la tavola deve diventare sentimento. E il cliente non viene per sfidare il cuoco, per vedere cosa sa inventarsi. Viene per emozionarsi, anche con una semplice panzanella. Se c'è una differenza tra un ristorante qualunque e un locale stellato, oggi, deve essere nel servizio, nella cura, nei dettagli. Ma non nella distanza. E soprattutto non nel voler stupire a ogni costo.
Per Cuttaia la prima regola in cucina è conoscere la tradizione
Quindi la cucina italiana deve restare ancorata alla propria tradizione?
Sì, ma con intelligenza. Non è che dobbiamo essere integralisti. Io uso prodotti locali quando posso, certo, ma se voglio un'ostrica, so benissimo che in Sicilia non la trovo. Allora scelgo la migliore possibile, anche se viene da fuori. Lo stesso vale per gli asparagi, che uso perché mi piacciono e perché stanno bene nei miei piatti. Il punto non è usare solo ingredienti locali, ma non perdere il legame con le proprie radici. L'innovazione deve essere una lettura personale, non un esercizio di stile. E prima di tutto, bisogna conoscere la tradizione. Senza quello, non si va da nessuna parte.

Gnocco di seppia con carbone nero di Pino Cuttaia
Il suo ristorante continua a mantenere due stelle, nonostante non si trovi, come detto, in una zona turistica. Come ci è riuscito?
Facendo il mio lavoro, ogni giorno. Senza farmi troppo influenzare da quello che succede fuori. C'è il momento in cui si lavora tanto, e quello in cui si lavora meno. Ma serve costanza, pazienza. E serve lavorare sul passaparola, sulla fidelizzazione. Alcuni dei miei primi clienti oggi non frequentano più, magari sono più anziani, ma c'è una nuova generazione che arriva. Bisogna investire anche su di loro, modellarsi sul presente senza snaturarsi. È un processo lento, ma necessario.
La cucina siciliana deve essere valorizzata di più? La risposta di Cuttaia
Secondo lei la ristorazione siciliana è abbastanza valorizzata? O resta un po' nascosta rispetto a quella di altre regioni del Sud come Campania, Puglia e Sardegna?
La Sicilia è straordinaria, ma spesso manca una visione unitaria. Ci sono territori più forti, come appunto Taormina, ma anche tante zone - come Licata - che meriterebbero molto di più. Il punto è che serve meno improvvisazione e più professionalità. Solo con la competenza si fa crescere il turismo, solo così il turista torna. Serve studio, lavoro, impegno. E serve una politica che creda davvero nel potenziale dell'isola: voli più accessibili, strutture migliori, stagionalizzazione vera.

Lo chef Pino Cuttaia
Con Agrigento Capitale italiana della cultura 2025, qualcosa si sta muovendo?
Sì, qualcosa si vede. Ci sono persone che passano da Siracusa, fanno tappa da me prima di arrivare ad Agrigento. A livello mediatico qualcosa sta girando. Ma sta a noi siciliani fare la nostra parte: accogliere bene, essere professionali, far sì che chi viene qui voglia tornare.
Ultima domanda, un po' provocatoria: La Madia è ormai un punto di riferimento per Licata? Si può dire che oggi è anche grazie a voi che molte persone scoprono questa città?
In parte sì. Ci sono clienti che viaggiano con la Michelin, fanno itinerari gastronomici e passano da Licata apposta per venire da noi. Poi magari non si fermano a lungo, ma sicuramente il ristorante è una tappa che attira. C'è anche un bel turismo medio-alto di ritorno: gente che ha vissuto fuori e torna in estate. Ecco, noi siamo uno dei motivi per cui si fermano. E forse anche per cui si ricordano che Licata ha molto da raccontare.
Il nuovo ristorante di Cuttaia a Palermo
Intanto, accanto al lavoro quotidiano a Licata, Pino Cuttaia guarda anche a nuovi spazi di espressione. Da pochissimo ha infatti aperto a Palermo il suo nuovo ristorante, Uovodiseppia, in collaborazione con Borgia Group dei fratelli Vittorio e Saverio Borgia. Il locale si trova nel cuore del centro storico, in via Candelai 68, all'interno della Locanda Santamarina, il boutique hotel nato dal recupero dell'antico Hotel Firenze, una delle strutture storiche più note della città.

L'interno del nuovo ristorante Uovodiseppia a Palermo
Il progetto, ricordiamo, prosegue l'esperienza già avviata a Milano con lo stesso nome, portando nel capoluogo siciliano una cucina urbana, essenziale, che resta però saldamente legata alla filosofia dello chef: stagionalità, memoria, attenzione al prodotto e narrazione del territorio. «Quella con Pino Cuttaia - spiegano Vittorio e Saverio Borgia - è una partnership consolidata e riuscita. Per noi è la chiusura di un cerchio: volevamo offrire anche a Palermo, e a chi la visita, una proposta di alto livello, senza compromessi sulla qualità. Tutti i nostri locali condividono la stessa filosofia: una cucina senza fronzoli, diretta, attenta alla stagionalità e alla materia prima, come fa proprio lo chef Cuttaia. Parliamo alle persone attraverso i piatti, con una cucina che racconta le contaminazioni della Sicilia, della Lombardia e delle storie che ci attraversano».
Corso Filippo Re Capriata 22 92027 Licata (Ag)
Lun-Sab 13:00-14:00, 20:00-22:00 (Mar chiuso), Dom 13:00-14:00