Nel cuore del Parco della Villa Reale di Monza, il Saint-Georges Premier si trasforma durante il Gran Premio di Formula 1 in un vero e proprio hub di ospitalità diurna, dove eleganza storica e innovazione culinaria si incontrano. Un pit stop di charme per chi vuole vivere l’adrenalina della corsa con il comfort di un’accoglienza gourmet: tra colazioni dedicate, brunch a tema e menu degustazione ispirati alla tradizione della Fagianaia Reale, il resident chef riesce a coniugare piatti storici e reinterpretazioni moderne, valorizzando le materie prime e il talento di una brigata giovane e motivata. Una formula che unisce esperienza gourmet, accoglienza e gestione di grandi eventi, raccontata direttamente dal cuore della cucina. E oggi celebra anche l'ingresso in Guida Michelin.

Il Saint-Georges Premier di Monza
L’hospitality del Saint-Georges Premier durante il Gran Premio
Partiamo dal ruolo del Saint Georges Premier come area hospitality diurna dedicata all’accoglienza degli ospiti in occasione del Gp di Monza: cosa avete previsto nel concreto?
Noi collaboriamo ormai da alcuni anni e offriamo questo pacchetto di accoglienza per l’inizio delle giornate: i clienti passano da noi per ritirare il bus e trovano già la prima colazione inclusa. Si tratta di un servizio aggiuntivo, dato che normalmente non gestiamo le colazioni, ma che in questa occasione proponiamo a tutti i nostri ospiti. Per il pranzo abbiamo strutturato una formula simile al brunch domenicale, che proponiamo abitualmente. Durante la manifestazione è previsto dalle 11 alle 14, così da permettere agli ospiti di gestire la giornata in libertà. La nostra struttura si trova a circa un chilometro dall’autodromo, quindi molto vicina. È comunque attivo un servizio navetta dedicato che consente agli ospiti di lasciare l’auto da noi - un aspetto utile, considerando le difficoltà di parcheggio a Monza in questo periodo - e spostarsi comodamente avanti e indietro.

L'autodromo di Monza
Ci sono altre proposte che avete pensato per questo evento?
Purtroppo, durante il Gran Premio l’accesso al parco limita molto le attività ristorative. Per noi, ad esempio, l’ingresso abituale di Porta di Vedano risulta chiuso e bisogna entrare dall’altro lato, percorrendo strade alternative. Questo rende l’accesso complicato e ci porta a dedicarci completamente ai clienti presenti per l’evento. Già dalla domenica sera precedente iniziano le prime chiusure e i disagi di accesso, che diventano più evidenti da giovedì. Dal venerdì concentriamo tutte le energie sul Gran Premio, con navette dedicate e un brunch anticipato per garantire libertà di movimento agli ospiti.
Un ristorante con radici storiche: la Fagianaia Reale
Il ristorante degli interni conserva ancora l’eleganza originale del tempo, immerso nel Parco della Villa Reale, un luogo sospeso tra storia e natura. Quanto questo contesto influisce sulla proposta gastronomica?
Certamente, il Saint-Georges Premier, oltre a essere un simbolo per Monza e un palazzo storico, era anche una Fagianaia Reale, cioè una tenuta di caccia da cui partivano le battute al fagiano organizzate per i nobili della città. È proprio da questa tradizione che ho voluto prendere ispirazione, inserendo in carta un piatto dedicato al fagiano. Si tratta di un fagiano ripieno cucinato come una porchetta, accompagnato da verdure al burro e da una riduzione di passito. Ho deciso di inserirlo all’interno del menu degustazione della Fagianaia Reale, proprio come omaggio alla storia del luogo.

Saint-Georges Premier: fagiano come una porchetta
Durante eventi come il Gran Premio di Formula 1 di Monza, il ristorante diventa un hub esclusivo con buffet, simulatore e ambientazione a tema. Come si adatta la cucina a esigenze così particolari?
Rispetto al ristorante à la carte, abbiamo sviluppato un altro format ristorativo: una cucina più semplice, pur sempre curata e basata su materie prime di qualità, ma con uno stile più immediato. Si tratta infatti di una formula simile al brunch, che può essere vista quasi come un pranzo della domenica. In questa settimana lo proporremo su tre giornate, con diverse isole tematiche e postazioni dedicate ai vari piatti: ci sarà l’isola dei fritti, quella del pesce, degli affettati, dei formaggi, delle insalate di mare. Non mancheranno i secondi con i relativi contorni e i primi piatti, tra cui inseriremo sicuramente il nostro risotto allo champagne, uno dei signature dish del St. Georges Premier. Il tutto sarà organizzato in formula buffet.
Tradizione e leggerezza: la filosofia dello chef Giuliano Fusaro
Lei è nato a Milano e di origini friulane… in che modo questa doppia identità culturale influenza la sua visione culinaria?
Per quanto riguarda la mia visione culinaria, è stata influenzata da diversi fattori. Sicuramente hanno avuto un ruolo importante le mie origini friulane e, al tempo stesso, quelle milanesi. Da entrambe ho ereditato la passione per la materia prima, anche la più semplice. In Friuli, da dove provengo - una zona sopra Udine - la tradizione è legata a un territorio piuttosto povero, fatto di piccoli paesi contadini, vigneti e boschi. I piatti tipici erano quindi piatti semplici, di recupero, e proprio da lì nasce il mio approccio: valorizzare al massimo ogni materia prima.

Saint-Georges Premier: Nizzarda meneghina
Prima di diventare resident chef al Saint Georges Premier, ha lavorato in ristoranti importanti a Milano, come Terrazza Duomo 21, ma anche all’estero, a partire da Francia e Australia: quale lezione chiave ha appreso in quei contesti e come la applica oggi?
Il mio percorso professionale è iniziato con il primo ristorante importante, in Francia, al Domaine des Andeols con Fabrizio Ferrari. Lì ho imparato molto sul rigore di una brigata e sull’organizzazione della cucina, un bagaglio che mi è servito in seguito, ad esempio quando lavoravo al ristorante Asola in San Babila a Milano, un contesto molto gerarchico. Successivamente ho avuto esperienze a Firenze e poi di nuovo a Milano. C’è stato anche un periodo in Australia, durante gli anni di scuola: più che un’esperienza lavorativa, è stata una formazione culturale, un’occasione per osservare come mangiano le persone dall’altra parte del mondo e scoprire tecniche diverse. Un percorso che mi ha arricchito anche sul piano umano, insegnandomi l’accettazione e l’apertura verso gli altri. Tutto questo l’ho voluto portare con me quando sono diventato chef.
Tecniche moderne e piatti signature
In che modo riesce a coniugare la memoria dei piatti tradizionali della cucina italiana con un approccio più moderno e leggero? Può fare qualche esempio specifico dal menu attuale?
Una delle idee di fondo è proprio quella di coniugare piatti tradizionali con una reinterpretazione più leggera e moderna. Un piatto che risponde bene a ciò che mi stava chiedendo è sicuramente uno dei nostri antipasti: polpo, patata, capasanta e bergamotto. Si tratta di una preparazione che considero ormai un classico. Il polpo viene cotto a bassa temperatura sotto aceto, una tecnica che permette di mantenere la sua texture morbida. A completare il piatto c’è una salsa al bergamotto, realizzata come un beurre blanc, una tipica lavorazione francese a base di panna. Il bergamotto, in particolare, ha la funzione di sgrassare e alleggerire il piatto, bilanciando i sapori e rendendolo più armonico.
Nei suoi piatti si nota un uso elegante delle emulsioni e delle salse (es. champagne al bergamotto) - come lavora su consistenza, brillantezza e stabilità di queste preparazioni?
Una formula che mi piace molto è riutilizzare lo stesso alimento in consistenze diverse. Faccio un esempio tra i primi piatti: un tortello ripieno di baccalà mantecato, dove il baccalà compare in due forme. Da un lato nella farcia del tortello, dall’altro come baccalà confit, che viene servito come base del piatto su cui poggia tutta la preparazione.
Che ruolo ha la fermentazione o la maturazione controllata negli ingredienti che utilizza?
Per quanto riguarda le fermentazioni, al momento ho fatto solo un accenno, ad esempio con una susina fermentata inserita in un antipasto insieme a un torcione di foie gras. Non abbiamo ancora spinto molto su questo tipo di lavorazioni perché la nostra clientela è piuttosto tradizionale, quindi non sempre certe sperimentazioni vengono comprese appieno. È però un percorso che stiamo portando avanti, anche per abituare gradualmente il cliente a un cambiamento.

Saint-Georges Premier: tortello baccalà e prezzemolo
Come inserisce tecniche moderne (sottovuoto, cottura a bassa temperatura, riduzioni spinte) nel rispetto della tradizione italiana?
Per quanto riguarda le tecniche, utilizzo molto la cottura sottovuoto a bassa temperatura. A mio parere è una modalità che permette di standardizzare il prodotto: essendo una cottura “scientifica”, grazie al controllo preciso di tempi e temperature si riesce a ottenere sempre lo stesso risultato. Sulle carni, in particolare, questa tecnica consente di renderle molto più morbide e saporite, perché non si disperdono i liquidi: al contrario, i succhi e i sapori vengono riassorbiti all’interno dell’alimento, preservandone gusto e consistenza.
Impiattamento: colori, dinamismo e valorizzazione della materia prima
Ci sono attrezzature o tecnologie che considera ormai indispensabili nella sua cucina quotidiana?
A mio parere, di essenziale all'interno della cucina per come si sta lavorando ormai è assolutamente il Roner, la macchina del sottovuoto che si può utilizzare sia per le cotture che per la conservazione e le marinature. E un forno che possa essere non più, come se ne utilizzavano prima, solamente ventilato, ma anche combinato e che quindi possa andare anche a vapore.
Quali criteri segue nella selezione delle materie prime? Più stagionalità o più continuità qualitativa?
La qualità è sempre il punto di partenza. I piatti vengono aggiornati stagionalmente, così da garantire freschezza e valorizzare al meglio la materia prima. Ci sono però alcune eccezioni: oltre al risotto Champagne, che ormai rappresenta un piatto iconico del St. George, vorrei mantenere tutto l’anno anche il fagiano, perché racconta la storia del luogo e mi piacerebbe diventi un vero signature dish della nostra cucina.

Saint-Georges Premier: risotto champagne parmigiano e foglia ostrica
Qual è la sua filosofia sull’impiattamento? Si concentra più sulla geometria, sul colore o sul movimento del piatto?
Anche nell’impiattamento seguo questa filosofia: per me è fondamentale la stagionalità, non solo dei prodotti ma anche dei colori. Mi piacciono piatti vivaci, con tonalità accese ma naturali, che rispecchino ciò che la stagione offre. L’impiattamento deve essere dinamico, non rigido né schematico: deve valorizzare la materia prima e trasmettere freschezza ed energia, proprio come la cucina che voglio proporre.
Leadership in cucina e il rapporto con Roberto Conti
In che modo la sua proposta si va ad armonizzare con la supervisione di Roberto Conti?
Per quanto riguarda il mio percorso, lo chef Conti non è affatto una figura secondaria: per me è un mentore. È stato lui a darmi fiducia, a inserirmi in questo contesto. Abbiamo già lavorato insieme in Terrazza Duomo e ci conosciamo da tre anni: il confronto con lui per me è fondamentale. È vero, le idee dei piatti nascono da me, ma lui mi aiuta a concretizzarle, a renderle equilibrate. In passato ho visto situazioni in cui il rapporto tra uno chef resident e uno chef consulente era complesso e precario. In questo caso, invece, ciò che mi ha convinto a entrare al St. Georges è stato proprio il rapporto con lo chef Conti: una persona che non limita, non frena la crescita, ma al contrario la stimola. Mi considero ancora nella categoria dei giovani chef, e proprio per questo apprezzo il fatto che lui permetta di esprimersi, di crescere, persino di sbagliare: ciò che fa la differenza è che ti spiega sempre dove e come migliorare.

Lo chef Roberto Conti
Lei guida una brigata composta da giovani talenti con cui lavora con passione e precisione. Qual è il suo approccio alla leadership in cucina?
Io arrivo da cucine in cui c’era un rigore molto rigido, che faceva una forte selezione tra chi voleva davvero intraprendere questo mestiere e chi no. Fin da ragazzino mi sono promesso che, se fossi diventato chef, non sarei mai stato quel tipo di chef che incute paura, al punto che i ragazzi sbagliano solo perché temono di passarti accanto. Io ai ragazzi do molta fiducia, perché voglio farli crescere. Tengo a un ambiente sereno: passo molte ore con loro in cucina e credo che sia fondamentale lavorare in un clima positivo. Ho la fortuna di avere una brigata giovane, ragazzi che sanno distinguere bene i momenti di leggerezza da quelli in cui serve la massima concentrazione. Lavoriamo tanto, passiamo qui gran parte della nostra vita: per questo ci tengo che vengano al lavoro con il sorriso, perché così si lavora meglio.

Saint-Georges Premier: lo staff
Come favorisce la coesione del team pur mantenendo standard elevati e innovazione costante?
Per me è importante anche che il loro lavoro sia riconosciuto: lo ripeto spesso, il risultato che abbiamo ottenuto con l’ingresso in guida non è un premio a me, ma a tutta la squadra. Senza i ragazzi, uno chef da solo non è nulla. Li rendo partecipi delle decisioni, anche nella creazione dei menu: ascolto i loro pareri, giusti o sbagliati che siano, e quando sbagliano mi prendo il tempo per spiegare il perché. Devono sentirsi coinvolti, non semplici esecutori.
L’ingresso in Guida Michelin: riconoscimento e responsabilità
Cosa rappresenta l’ingresso nella Guida Michelin?
L’ingresso in guida è stato un traguardo importantissimo, che sinceramente non mi aspettavo di raggiungere in così poco tempo. Sono entrato al Saint-Georges a metà novembre, in un periodo complicato, e ho potuto fare solo piccoli cambiamenti. Poi a gennaio c’è stata la chiusura aziendale, e di fatto abbiamo iniziato a lavorare in maniera strutturata solo dopo. In sei mesi siamo riusciti a entrare in guida: è stata una sorpresa bellissima.
Cosa cambierà ora?
Adesso, però, comincia la parte più difficile: le aspettative della clientela saranno sempre più alte. Ma io sono una persona che non si accontenta mai, che è sempre alla ricerca del nuovo. Questo riconoscimento non mi pesa, anzi: mi dà energia e adrenalina, mi sprona a crescere, a migliorare ogni giorno, a lavorare sui dettagli che fanno la differenza.
Chi è lo chef Giuliano Fusaro
Nato a Milano il 21 novembre 1995, cresce tra Frico e Gubana grazie alle radici friulane dei nonni paterni. Da adolescente decide di seguire la propria strada, scegliendo di non proseguire nell’attività di famiglia, e si iscrive all’Istituto Alberghiero Carlo Porta di Milano, dove ha la possibilità di avvicinarsi al mondo della ristorazione sia in Italia che all’estero, in paesi come Francia e Australia. Dopo il diploma inizia la sua carriera presso il ristorante Asola Cucina Sartoriale con lo chef Matteo Torretta, dove apprende il valore del lavoro di squadra. Successivamente si trasferisce a Firenze per collaborare con lo chef Danilo D’Alessandro al ristorante Il Locale, situato in uno dei palazzi storici dei Medici, offrendo ai clienti un’esperienza completa tra storia, cucina e cocktail bar.

Lo chef Giuliano Fusaro ai tempi di Terrazza Duomo 21
Tornato a Milano, lavora al ristorante Acanto con lo chef Alessandro Buffolino presso l’hotel Principe di Savoia, accumulando conoscenze ed esperienze che lo portano successivamente in Terrazza Duomo 21, iconica location nel cuore della città, sotto la guida di chef Roberto Conti. Da novembre 2024 è resident chef al Saint Georges Premier, unico ristorante all’interno del Parco di Monza, dove ha la possibilità di esprimere al meglio la sua cucina creativa, valorizzando le materie prime e la storia del luogo.
La corsa quotidiana verso l’eccellenza dello chef Giuliano Fusaro
Il Gran Premio dura un weekend, ma per Giuliano Fusaro e la sua squadra la corsa è quotidiana: mantenere alta la velocità senza perdere eleganza. L’ingresso in Guida Michelin è stato il semaforo verde, ora la sfida è correre sempre più forte senza mai tradire la storia e l’anima del Saint-Georges Premier.
Viale di Vedano 7 20900 Monza