Pochi soldi e troppi sacrifici. Ecco perché mancano i camerieri

In sala manca personale. I motivi sono legati al rapporto svantaggioso tra stipendio e orari. I giovani hanno sempre meno voglia di fare gavetta, le imprese sempre meno soldi . Marco Reitano, presidente di Noi di Sala: «Il ruolo del cameriere va riconosciuto di più, altrimenti i giovani scappano»

11 maggio 2021 | 13:09
di Federico Biffignandi
C’è voglia di tornare al ristorante, c’è voglia di servire i clienti al tavolo, ma c’è sempre meno voglia di diventare camerieri. Un recente studio di pubblicato dal Centro Studi di Confindustria ha evidenziato che  turismo, enogastronomia e ospitalità pagano un ammanco di professionalità pari al 56%. Questa mancanza non è solo del settore Horeca, ma ne tocca molti altri: per le imprese infatti sono «introvabili 318mila diplomati pari al 28% degli ingressi previsti». I motivi di questa mancanza sta nello scarso rapporto tra mole di lavoro e retribuzione, ma anche nella mancanza di prospettive e di prospettive di alto livello.

La questione non è certo nuova: i giovani hanno sempre meno voglia di fare fatica e di dedicarsi alla gavetta, ma dall’altra parte l’offerta delle imprese è sempre più scarsa perché propone un monte ore straordinario e una paga che difficilmente supera i 1.100 euro. E quindi, che si fa? Si cambia strada, molto spesso sia dopo la scuola, che ancor prima di iscriversi.



La crisi dei ristoranti, un fattore

Anche perchè di questi tempi con i ristoranti chiusi a lungo e con buchi di bilancio enormi, chi cercherà un posto di lavoro è difficile che punterà su un settore così fragile come quello della ristorazione, il primo che il Governo ha fino a qui deciso di bloccare nelle sue misure anti-Covid. Proprio per questo motivo la ristorazione nel 2020 ha visto perdere circa il 40% del volume di affari registrato nel 2019, anno dei record per la spesa alimentare fuori casa con un fatturato di 86 miliardi euro: 22.692 imprese del settore hanno chiuso i battenti e ne sono state avviate 9.207, il dato più basso degli ultimi 10 anni. A scattare la fotografia (già anticipata in questi mesi da Fipe) è il Rapporto 2021 dell'Osservatorio Ristorazione, spin-off dell'agenzia RistoratoreTop. Va da sè che in questo scenario nascono sempre meno camerieri i quali, cercando disperatamente di rimanere nella ristorazione, nel corso dei vari lockdown si sono anche trasformati in rider per sfruttare il boom del delivery.

La panoramica sull’andamento del settore la offre Marco Reitano, presidente dell’associazione Noi di Sala che dal 2012 lavora per rendere la professione di cameriere sempre più riconosciuta e di alto livello.

Reitano, conferma che i giovani che intraprendono la strada della “sala” nel mondo dell’accoglienza sono sempre meno?
Sì, è uno studio veritiero. I camerieri mancano al ristorante, negli hotel e in generale nel mondo del turismo.

Quale è il problema?
Il problema sta nel fatto che non si evolve la cultura del cameriere, ovvero che questa professionalità non è riconosciuta a dovere. Resta un mestiere sottopagato, un mestiere che prevede orari molto complicati e così i giovani si allontanano. Chi persegue è perché ha una passione straordinaria per questo mestiere, ma sono pochi. Questa carriera toglie spazio alla socialità, al tempo personale. C’è da dire anche che in passato c’era più voglia di fare sacrifici mentre ora molta meno, ma è altrettanto vero che oggi i ragazzi non vedono crescita, non vedono la possibilità di occupare posizioni superiori, mancano le prospettive che invece in passato c’erano.



C’è anche un problema di retribuzione?
Sì, certamente. Gli stipendi medi si attestano sui 1000-1.100 euro e se una volta la professione si reggeva molto anche sulle mance anche questo aspetto oggi è in caduta, le somme sono sempre meno consistenti. Il divario è ampliato ancora di più perché il mestiere si è raffinato, le competenze richieste sono sempre di più e sempre più specifiche. Stiamo andando verso la strada già battuta negli altri Paesi ovvero quella per cui il cameriere deve essere anche un venditore, ma siamo molto lontani.

C’è differenza tra nord e sud? Esiste una geografia delle vocazioni?
Al centro-sud Italia ci sono più mestieranti, c’è l’attitudine alla stagionalità e ci sono più occasioni, più eventi, più cerimonie. Al nord invece c’è molto più “ricircolo”, le dinamiche sono molto diverse, si punta più ai ristoranti di alto profilo ma in quei contesti i camerieri sono spesso di passaggio, non si fermano per molto tempo, cercano sempre altro, qualcosa di meglio, per crescere.

L’altra grande questione che riguarda il settore è la Brexit. Molti giovani italiani che in migliaia arrivavano al cospetto della Regina per lavorare in pub e ristoranti sono scappati da quando il Regno Unito ha annunciato l’uscita dall’Ue lasciando “liberi” 350mila posti. Che ripercussioni ha questo fenomeno sul mercato italiano?
Il problema esiste ed è sia professionale che sociale. I giovani italiani che rientrano dal Regno Unito restano delusi: tornano per cercare un’occupazione simile, forti di un curriculum di alto livello, ma si scontrano con una realtà che è quella di cui sopra, soprattutto per quanto riguarda la retribuzione e la qualità perché al limite trovano posto in un locale qualunque che non rende merito alla preparazione accumulata. A quel punto devono cambiare strada, restano senza lavoro e con pochi soldi. Ma questo succedeva anche prima della Brexit, quando i giovani sentivano il richiamo dell’italianità, ma una volta rientrati faticavano a proseguire in sala. Anche come formazione perdono qualcosa; andare all’estero significava incontrare gente di tutto il mondo, condividere ed imparare, mentre qui in Italia questo non è possibile perché nessuno viene in Italia da altri Paesi per cogliere occasioni economiche in questo mondo.



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Alberto Lupini


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