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I cuochi alle scuole alberghiere: professori senza passione e troppa teoria

I presidenti di Euro-Toques, Fic, Le Soste e Jre rispondono alle accuse degli istituti alberghieri che avevano sostenuto che i ristoranti sfruttassero i giovani. «Quando ero studente - dice Pozzulo - si facevano 18 ore di laboratorio all'anno per ognuno dei 5 anni. Oggi quel monte ore è spalmato su tutti i 5 gli anni»

di Federico Biffignandi
03 settembre 2021 | 17:22
Ragazzi senza passione per la cucina La risposta dei cuochi alle scuole: professori senza passione e troppa teoria
Ragazzi senza passione per la cucina La risposta dei cuochi alle scuole: professori senza passione e troppa teoria

I cuochi alle scuole alberghiere: professori senza passione e troppa teoria

I presidenti di Euro-Toques, Fic, Le Soste e Jre rispondono alle accuse degli istituti alberghieri che avevano sostenuto che i ristoranti sfruttassero i giovani. «Quando ero studente - dice Pozzulo - si facevano 18 ore di laboratorio all'anno per ognuno dei 5 anni. Oggi quel monte ore è spalmato su tutti i 5 gli anni»

di Federico Biffignandi
03 settembre 2021 | 17:22
 

Ma quale sfruttamento, la verità è che negli istituti alberghieri le ore di laboratorio sono state ridotto all'osso e la preparazione dei professori è spesso approssimativa, oltre al fatto che dalla cattedra non emerge passione e i ragazzi si scoraggiano, arrivando impreparati in cucina, nonostante un diploma in mano.

Si fa duro lo scontro tra chef e istituti alberghieri dopo che alcuni di questi ultimi avevano attaccato i ristoranti, rei, a detta loro, di sfruttare i ragazzi tra orari improponibili, paghe offensive e poca capacità di trasmettere il mestiere. Ora è arrivata la risposta dei cuochi che passa attraverso le parole dei presidenti delle quattro principali associazioni: Euro-Toques, Fic, Le Soste e Jre.

 

Rabbia e rammarico per ragazzi poco appassionati e capaci

La linea dei quattro leader, Enrico Derflingher, Rocco Pozzulo, Claudio Sadler e Filippo Saporito è unanime. C'è rammarico nell'ammettere che i programmi delle scuole, ad oggi, sono insufficienti; c'è rabbia nel dover dire che troppi professori mancano di preparazione; dispiacere nel constatare che la passione giusta non viene infusa nei ragazzi; preoccupazione nel vedere arrivare in cucina neodiplomati che non hanno le basi; arrendevolezza nell'evidenziare che la nuova generazione non ha la "grinta" che avevano loro, oggi chef affermati, che la voglia di far fatica è sempre meno e che, una volta di più, la pandemia non ha fatto altro che far scricchiolare le poche soddisfazioni che i giovani vedevano nel mestiere di cuoco.

Enrico Derflingher, Rocco Pozzulo, Claudio Sadler e Filippo Saporito La risposta dei cuochi alle scuole: professori senza passione e troppa teoria

Enrico Derflingher, Rocco Pozzulo, Claudio Sadler e Filippo Saporito

 

Poca pratica, troppa teoria a scuola

In primis, il problema della pratica. I programmi scolastici hanno ridotto drasticamente le ore di laboratorio per dare spazio ad altre materie. «La voglia di lavorare in cucina c’è - spiega Derflingher - ma è anche vero che le scuole alberghiere non possono garantire una formazione adeguata perché la pratica è limitata o addirittura inesistente, c'è troppa teoria nell'offerta formativa».

Gli fa eco Claudio Sadler, che affonda: «Generalizzare è sbagliato - ammette - ci sono scuole che preparano bene ed altre che non formano per nulla. Il problema è, in media, le scuole alberghiere sono diventate dei rifugi per famiglie: chi non sa cosa fare, finisce all’alberghiero. Una volta lì poi impara poco, non si possono ridurre le ore di lezione tecnico-pratiche a favore di altre più culturali, importanti sì, ma che non possono prevalere sulle materie di indirizzo. E poi quando si fa laboratorio manca la materia prima, le scuole non hanno pesce a sufficienza da distribuire ai ragazzi per consentirgli di imparare a prepararlo al meglio».

 

 

La misura di quanto la formazione in laboratorio sia stata stroncata la dà Rocco Pozzulo che è anche docente all'Istituto alberghiero di Potenza e può offrire un doppio punto di vista: «Quando ero studente io - dice - facevamo circa 18 ore di laboratorio a settimana ogni anno per cinque anni - dice - mentre adesso sono drasticamente diminuite: c'è un abisso. Bisogna anche ammettere, tuttavia, che con i programmi di prima uscivano dagli istituti cuochi meno dotti, mentre oggi hanno una cultura generale che non va sottovalutata e che può essere utile nel momento in cui si troveranno a sostenere convegni o confronti con altre personalità».

 

Professori incapaci di trasmettere la passione

Il problema però non è solo tecnico, ma anche morale. I cuochi incolpano i professori di non essere capaci di trasmettere la passione per il mestiere perchè loro in primis non la possiedono. I docenti sono spesso ex-studenti che non hanno intrapreso un lavoro operativo nel mondo della cucina; viene quindi da chiedersi: come puoi spiegare un mestiere così particolare senza averlo mai fatto?

«Come si fa un torrone - spiega un po' provocatoriamente Saporito - lo possono imparare tutti seguendo un tutorial su YouTube. Alle scuole però spetta il compito di trasmettere la passione ai ragazzi. Già quando ero io tra i banchi rimproveravo i docenti perchè non ci raccontavano di Gualtiero Marchesi o di Alain Ducasse e anche oggi è così, solo che con MasterChef e internet certe conoscenze le si possono apprendere comunque».

Gioca e Parti

 

Ma è colpa solo dei professori, incapaci di trasmettere passione, o dei ragazzi "mollicci" di oggi che - forti di idoli come gli influencer - pensano di ottenere il successo immediatamente e senza sforzi?

«Io sono convinto che i ragazzi che vogliono sfondare in questo mondo superano gli ostacoli - dice Sadler - basta che superino lo scoglio dell'adolescenza e di tutte le problematiche comportamentali che essa comporta. Certo, i ragazzi devono sapere - e questo è raro - che in cucina ci si presenta in una maniera educata e con una presenza adeguata che prevede, ad esempio, l'utilizzo della divisa, cosa che molti rifiutano o non contemplano».

Ai giovani serve più tempo nelle cucine La risposta dei cuochi alle scuole: professori senza passione e troppa teoria

Ai giovani serve più tempo nelle cucine

 

«Bisogna ammettere che i ragazzi di oggi hanno meno voglia di sacrificarsi - osserva Pozzulo - ma fino a che punto possiamo dargli torto quando si parla di entrare nel mondo della cucina, un mondo totalizzante, che ti toglie dalla famiglia e dalla possibilità di dedicare tempo alla vita privata. A causa della pandemia, molti cuochi adulti hanno lasciato questo mestiere perchè hanno toccato con mano il bello di stare in famiglia, di trascorrere le festività con i figli e questo si ripercuote sulle giovani leve».

Si torna al concetto di poca pratica con Saporito che propone una soluzione: «Credo che se aumentassero i contatti tra scuole e ristoranti i ragazzi potrebbero capire da vicino cosa significa lavorare in cucina e accendere in loro la passione, la voglia di provarci. Certo, i professori anche qui dovrebbero avere l'intrpaprendenza di aggiornarsi perchè la cucina è "modaiola", non statica».

 

Cuochi, poco tempo e poca pazienza nell'insegnare

Ma siamo sicuri che tutta la formazione debba pesare sulle spalle della scuola? I cuochi sono proprio esenti dal proseguire nel percorso di formazione di un giovane? Del resto, è noto, la scuola (almeno quella italiana) non è in grado di preparare i ragazzi al mondo del lavoro. Un neolaureato in medicina non è certo pronto per entrare in sala operatoria. Così come un neolaureato in giurisprudenza non sa come gestire un processo. Cosa succede in cucina?

«Il bisogno di nuove leve è urgente - risponde Derflingher - sembra una razza in via di estinzione. Certo è che non è facile formare nuovi professionisti, da parte dei cuochi e della brigata serve pazienza e dedizione, che in questo momento vengono meno per via del momento di crisi e preoccupazione che colpisce tutti».

C'è bisogno di cogliere le occasioni, di lavorare al 100% tutte le volte che si può per tappare i buchi del 2020 insomma, e così il tempo di insegnare un mestiere non c'è. Ma non per tutti. «Per noi è un grande piacere far crescere i giovani - dice Sadler - ma è ridicolo che i ragazzi oggi svolgano 3 settimane di stage in una cucina: cosa potranno mai imparare?».

«Spetta anche ai cuochi proseguire il percorso di formazione intrpareso da un giovane - evidenzia Pozzulo - e in questo i cuochi devono aver più pazienza con i neodiplomati e impegnarsi a colmare i buchi che hanno, oltre a riuscire a trasferire la passione per il mestiere tanto quanto viene richiesto ai professori. La questione è anche economica: come Fic chiederemo alle istituzioni di defiscalizzare i contributi per i dipendenti in modo da poter assumere maggior personale da distribuire su più turni per lavorare meglio e con maggior agio».

Come detto, in cucina tocca anche sradicare il mito MasterChef, un aspetto sul quale Saporito ha insistito: «Bisogna far conoscere ai ragazzi la punta di diamante della cucina, cioè fin dove si può arrivare, ma trovare anche il giusto equilibrio spiegando che il mestiere è faticoso e diverso da tutti gli altri. Parlando di "successi" i cuochi devono essere bravi a far comprendere ai ragazzi che anche un cornetto fatto al meglio in un bar di provincia deve essere un obiettivo e un risultato che dà soddisfazione, ma spesso manca tempo e voglia».

Gli altri articoli della nostra inchiesta:

L'accusa delle scuole: ragazzi sfruttati dai ristoranti, così fuggono all'estero
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L’appello dei cuochi alle scuole alberghiere: non spegnete l’entusiasmo dei ragazzi
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Laboratorio ed #Excel servono! Ai nuovi barman non può bastare solo la teoria

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09/09/2021 11:02:11
5) Valutare gli errori per tornare a formare
Purtroppo dagli anni ottanta in poi ogni Ministro dell'istruzione ha promosso riforme che hanno quasi azzerato le ore di lezione pratica degli Alberghieri del primo biennio: (Cucina da 18 ore + 3 di teoria a settimana alle 2 ore attuali a settimana -21 ore settimanali); (Sala da 14 + 3 di teoria, a 2 ore -15 ore; (Accoglienza Tur. da da 12 + 3 a 2 ore settimanali -13 ore a settimana. Al terzo anno le ore a settimana di pratica salgono a 7, cinque ore al quarto anno e 4 al quinto anno. Risultato? Gli studenti che approdano agli attuali IPSSEOA e sono veramente moltissimi, circa il 50% di chi sceglie l'indirizzo professionale, sono convinti di trovare quello che cercano, cioè "la pratica" ma, senza accorgersene, finisce l'anno e non l'hanno incontrata. Stessa cosa anche al secondo anno. A questo punto lo studente ha circa 16 anni e si è perso i due anni più importanti per apprendere le basi della disciplina pratica che più gli piaceva. La conseguenza inevitabile è quella di avere "bruciato" i desideri, la voglia, l'entusiasmo con cui erano entrati in classe; quando mai potranno recuperare quei due anni... Quindi non solo si perdono per strada le loro speranze e le attese delle aziende alberghiere e della ristorazione ma, cosa ancora più grave, si sono creati migliaia di giovani disorientati, insoddisfatti, scoraggiati, incapaci persino di accettare proposte di lavoro, figuriamoci di proporsi... Ora, è vero che la preparazione culturale è importante anche nei professionali ma, per fare questo si è arrivati ad ANNULLARE le COMPETENZE PRINCIPALI, QUELLE PRATICHE, che garantivano: lavoro per i giovani; utilità per le aziende; soddisfazione ed orgoglio degli Istituti che li avevano formati; giustificazione dei costi sostenuti dalla Società. L'alternanza scuola-lavoro è naufragata perché lo Stato voleva risparmiare (materie prime, ore formative, costi di gestione generale ecc.), mentre gli imprenditori (con la garanzia statale), volevano mandare avanti le proprie aziende con grande impiego di stagisti (gratis o poco retribuiti e senza versamento di contributi). Sarebbe quindi ora che, una politica di sviluppo seria, nell'interesse dei singoli e della nazione, mettesse fine a questo assurdo modo di agire che spesso distrugge invece di correggere.
Emanuele Benvenuto

06/09/2021 11:26:31
4) Baratro
Sono d’accordo su tutto i docenti sono quasi tutti ex alunni che non hanno mai visto una sala o una cucina. La colpa è del reclutamento degli stessi non basta il diploma ci vorrebbero gli attestati di servizio come Maitre o Chef di cucina. Sono un ex docente e FB. Saluti
Carmine Lenci

05/09/2021 00:42:20
3) Reclutamento personale
Quando facevo la scuola alberghiera, primi anni 70, nel fine settimana c'era la fila dei ristoratori in segreteria x reclutare personale x le cerimonie. Oggi è impensabile fare questo con tutti gli ostacoli burocratici da svolgere. Noi già dopo i primi 2 3 mesi di scuola eravamo in grado di fare gli extra, non si guardava l'orario, e si cercava di farlo al meglio il nostro lavoro che sia di sala o cucina, e speravi che che la prossima volta ti tichiamassero x mettere quei soldini guadagnati con le tue forze e le tue capacità. Se 20 anni fa in Italia erano tutti allenatori oggi sono tutti chef
Paolo Mazzieri

04/09/2021 15:07:40
2) Prima di appellarsi Chef bisogna diventare Cuoco
Sono d’accordo sulle osservazioni dei colleghi. Bisogna però pensare al concreto. Cioè: il mestiere del cuoco è un mix di cultura e professionalità. Essenzialmente è un mestiere manuale e la manualità è essenziale . La pratica deve andare di pari passo con la teoria. Non si può pensare che l’allievo impari una ricetta a memoria ma non ha mai tenuto un coltello in mano, non ha mai sezionato un pollo o pulito e sfilettato un pesce, preso in mano una verdura e utilizzata per quello che vale. Senza le basi pratiche troveranno sempre difficoltà ad inserirsi in una brigata dove magari trovano un pari età che già lavora da tre anni in cucina senza essere passato dalla scuola, esistono ancora ragazzi che fanno cucina da autodidatti e lo fanno bene perché loro sono entrati per passione in cucina e non perché un diploma lo qualifica “ tecnico di cucina” e pretende di essere trattato economicamente come tale pur non sapendo fare praticamente nulla. In cucina lo chef ha sempre meno tempo da dedicare alle giovani leve perché il personale è notevolmente ridotto anche grazie alla tecnologia, ed è impegnato ad arrivare all’orario di servizio con la sua linea pronta e si deve anche preoccupare della sicurezza degli stagisti che non si taglino o che non si ustionino solo perché hanno poca dimestichezza nell’approcciarsi alle cucine. Il cuoco è rimasto l’unico operatore che trasforma la materia prima in un prodotto finito il quale viene consumato subito quindi senza margine di errore. Queste sono cose che si imparano solo praticandole. Poi i ristoratori dovrebbero retribuire i professionisti con una giusta paga e gli apprendisti di conseguenza ma se la differenza tra il costo di un cuoco finito ed un apprendista è di poche centinaia di euro, va da se che l’apprendista non vede nel suo formatore un obiettivo da imitare e raggiungere .
Sergio Mian

04/09/2021 10:31:38
1) Risp
Neanche la teoria.e i prof che insegnano cucinanon tutti hanno fatto cucina sono anche di altri rami.
Antonietta Di maggio



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