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Non è una cucina per donne? Eppure le Stelle brillano

Dover parlare ancora di gender gap fa male. Ma i dati sui licenziamenti delle donne durante il Covid sono allarmanti. La ristorazione in tema di occupazione femminile è un settore virtuoso. Ma si può conciliare carriere e figli? Cuoche e ristoratrici correggono: Non se, come.

di Jenny Maggioni
 
08 marzo 2021 | 08:30

Non è una cucina per donne? Eppure le Stelle brillano

Dover parlare ancora di gender gap fa male. Ma i dati sui licenziamenti delle donne durante il Covid sono allarmanti. La ristorazione in tema di occupazione femminile è un settore virtuoso. Ma si può conciliare carriere e figli? Cuoche e ristoratrici correggono: Non se, come.

di Jenny Maggioni
08 marzo 2021 | 08:30
 

Qualcosa sembra bollire in pentola. E la Rossa più famosa di Francia che nel 2021 è diventata più rosa ci fa ben sperare che il piatto finale diventi finalmente ricco. Già, perché equo avrebbe dovuto esserlo da tempo. E senza troppi proclami. Ma che se ne dica il problema nel mondo della ristorazione, così come nella società in generale, c’è ed è grave: ancora oggi, nell’ambito di una famiglia, se uno dei due coniugi deve rinunciare alla carriera per o a vantaggio dei figli, di solito è la donna. Non parliamo poi se la famiglia è monogenitoriale! E in più oggi ci si è messo pure il Covid.

Non è una cucina per donne? Eppure le Stelle brillano
Ristorazione e gender gap? Settore virtuoso
Covid e lavoro: le donne le più colpite
Di certo, la pandemia ha colpito tutto e tutti, ma ci sono alcune significative e sintomatiche differenze. E a pagare il conto più salato della crisi occupazionale sono state proprio le donne (che tra l’altro, a parità di mansioni, sono anche retribuite meno). I numeri non lasciano dubbi: secondo una prima indagine Istat, da dicembre 2019 a dicembre 2020 si sono persi 444mila posti di lavoro, di cui ben 312mila occupati da donne, le quali vedono anche aumentare il tasso di inattività. Nel solo mese di dicembre 2020 a perdere il lavoro sono state 99mila donne (quasi tutte giovani) su un totale di 101mila posti andati in fumo: 99mila donne contro 2mila uomini. E non solo. Secondo il rapporto Inail, le donne, sul lavoro, sono anche state più colpite dal Covid: 70 contagi professionali ogni 100.

I motivi sono presto detti: da un lato, la presenza massiccia di donne in molti dei settori essenziali (sanità, servizi sociali ma anche nella vendita al dettaglio, in primis i supermercati) che spiega l’alto impatto della malattia fra le donne in età da lavoro. Dall’altro lato, quello dell’occupazione, le donne sono più presenti nei settori non essenziali” (fermati dal lockdown) che ora affrontano una contrazione drammatica: turismo, ristorazione e in generale i servizi (dove è femminile l’84% della forza lavoro).

Gender gap: virtuosa la ristorazione
E qui casca l’occhio. Perché oggi come oggi, purtroppo il dato che emerge sembra la somma di diversi gap. E se da un lato la ristorazione dimostra di essere uno dei pochi settori virtuosi dove l’occupazione femminile supera quella maschile (al 52%, secondo i dati Fipe-Federazione italiana pubblici esercizi del 2019), l’altra faccia della medaglia vede quelle stesse donne a non occupare posizioni apicali, come quella di chef. Senza nulla togliere al prezioso ruolo della sala, dove tra l’altro negli ultimi tempi si cominciano a leggere nomi femminili.

Per il nuovo catering del dopo Covid La sfida della formazione - Italia a  Tavola
Valentina Picca Bianchi

Valentina Picca Bianchi, presidente Nazionale Gruppo Donne Imprenditrici inquadra la situazione: «La pandemia - spiega - ha evidenziato ancora di più il problema della disparità di genere ed ha posto - con carattere di urgenza – l’attenzione su problemi come la disoccupazione femminile, il disinteresse per l’infanzia, la mancata conciliazione famiglia-lavoro, l’insufficienza del welfare sociale sui servizi alla persona da zero anni alla terza età, solo per citarne alcuni, e su quanto sia importante che queste tematiche siano attenzionate dalla politica per uno sviluppo globale e sostenibile. I problemi e le esigenze di genere delle donne non sono solo delle donne ma riguardano uno sviluppo sano, equo ed equilibrato di tutta la società».

Uno dei temi cruciali è il gender gap salariare. «Ci vorrà almeno un secolo per superare il gender gap - prosegue la presidente - non bisogna mai smettere di sognare; è fondamentale per realizzarsi, con coraggio e determinazione. È importante non fermarsi e non smettere di credere nelle proprie potenzialità. Sappiamo bene che nel mondo un uomo su due sa di avere più possibilità lavorative di una donna. Qualche volta non si tratta neppure di pressione sociale ma di semplici retaggi e tabù duri a morire. Per quanto riguarda il gender gap salariale le donne sono sempre meno pagate degli uomini, circa nove punti sotto la media europea, e con la crisi del Covid-19 le disparità aumentano. Nel Recovery Plan sono indicati alcuni propositi che speriamo si trasformino in azioni concrete. Anche in Europa, ormai da diverso tempo, il gender gap è nel mirino delle Istituzioni Ue, se si considera che le prime direttive comunitarie in merito sono della metà degli anni 70. Tuttavia, è nel 2006 che si è registrato un netto cambio di passo, soprattutto per quanto concerne la questione della parità di genere sotto il profilo delle opportunità economiche e di lavoro.

In quell’anno viene varato il regolamento Ce n. 1922/2006 del Parlamento Europeo e del Consiglio, che instituisce l’Istituto europeo per l’Uguaglianza di genere, con il compito di supportare le istituzioni europee e gli stati membri ad integrare iol principio di uguaglianza nelle loro politiche e a lottare contro la discriminazione fondata sul sesso. Gli assi d’azioni più importanti da perseguire sono: migliorare l’applicazione del principio di parità retributiva, lottare contro la segregazione occupazione e settoriale, valorizzare le capacità, gli sforzi e le responsabilità delle Done, svelare disuguaglianze e stereotipi, rafforzare i partenariati per lottare contro il divario retributivo di genere».
 
«Investire sulle donne - chiude Picca Bianchi - è strategico per la crescita dell’intero Paese. L’imprenditoria femminile è uno dei settori strategici da promuovere, sia per lo sviluppo del paese che per il raggiungimento di un pieno processo di empowerment femminile anche nel contesto lavorativo. Il nostro Gruppo Donne Imprenditrici di Fipe è stato firmatario della lettera promossa dall’associazione del Giusto mezzo e che ha raccolto più di 36mila firme affinché una fetta sostanziosa dei fondi del Recovery Fund sia a supporto dell’occupazione femminile e delle infrastrutture sociali (asili nido, incentivi, servizi di cura e assistenza, investimenti in Stem, nuovi organismi di parità).
Confido che questo Governo metta in campo azioni concrete per il superamento del gender gap, l'empowerment femminile, il riconoscimento sociale ed economico dei lavori di cura e la loro condivisione con gli uomini, la parità salariale, le pari opportunità di lavoro e carriera. Io resto convinta che il coraggio delle donne che sanno osare scelte innovative possa essere il primo passo per la ripartenza di tutto il paese».

Alta cucina ancora maschilista?
E così nella ricorrenza della Festa della donna, non avremo voluto trovarci a digitare “chef” nelle immagini di Google e trovarci per la maggior parte un uomo in giacca bianca con in mano il classico cucchiaio o intento a ritoccare il piatto. Per non tornare indietro al settembre 2019 quando durante la conferenza di alto livello sulla gastronomia “al di là delle frontiere”, organizza da The World’s 50 Best Restaurants (concorrente anglosassone della Michelin, per intenderci) con protagonisti quattro grandi chef francesi, (Alain Passard, Bertrand Grébaut, Romain Meder e Yannick Alléno), la domanda di un giornalista italiano «Sì, ma le donne dove sono?» mandò tutti in confusione. Con lo scivolone finale di Alléno, le “roi” di Francia (13 stelle Michelin in tutto) che disse: «Mi spiace, ma ci sono impedimenti strutturali. Molte donne ci chiedono di lavorare a mezzogiorno perché la sera devono occuparsi dei bambini. Noi uomini siamo fortunati, le donne pensano ai figli, ce l’hanno nel Dna».

Dopo un anno sono arrivate anche le scuse pubbliche dello chef («Mi scuso con le donne: l’alta cucina non può più escluderle. È ora di cambiare. Nei miei ristoranti di Parigi stiamo introducendo la flessibilità nei turni per favorire la conciliazione tra casa e lavoro. Dissi una stupidaggine, ma ci ho pensato a lungo e ora come azienda stiamo cercando di cambiare per far entrare più donne nell’alta cucina). Ma, al di là delle accuse di sessismo o meno, l’uscita di Alléno ha comunque riportato l’accento su un problema che esiste.

Stelle o maternità?
Ed è rappresentato dalla “scelta” che le donne, non solo nell’alta cucina, sono ancora oggi chiamate a dover fare: carriera o figli? Perché, come sottolinea uno studio elaborato dalla Fondazione Leone Moressa per Federcasalinghe, per l'occupazione femminile italiana, rileva il report, il problema non è solo il Coronavirus. Il vero nodo è la mancanza di un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini.

Hélène Darroze - Non è una cucina per donne? Eppure le Stelle brillano
Hélène Darroze

Perciò non fanno più, purtroppo, scalpore le parole di Hélène Darroze, che dopo aver recentemente incassato tre stelle per il ristorante londinese The Connaught e due per il parigino Marsan (portandola ad essere la seconda donna più premiata da Michelin, dopo Anne-Sophie Pic con una costellazione di 8 astri) ha confessato, in una lunga intervista concessa all’agenzia di stampa francese Afp, di aver dovuto rimandare la maternità ai 40 anni (fino all’adozione di due bambine vietnamite) per concentrarsi esclusivamente sul lavoro.

Hélène Darroze: il vento sta cambiando
Non è un lavoro per donne, dunque? Assolutamente no! Anzi Hélène Darroze invita le colleghe a «continuate a vivere la vostra passione da donne. Non cercate di essere altro che donne. Abbiamo una sensibilità diversa e questo si vede nel piatto. Quando un uomo cucina vuole innanzitutto dimostrare se sa fare questo o quello, mentre ho l’impressione che una donna voglia semplicemente dare piacere. Si tratta più di emozione, cui si aggiunge tecnica, che di tecnica aumentata di emozione. Lo dico con rispetto e ammirazione verso la cucina in pantaloni. Conosco, sì colleghe che hanno sempre sofferto di essere donne in un mondo maschile, io per conto mio ho sempre trovato il mio posto. Ma non ho mai voluto essere chiamata cheffe».

Isa Mazzocchi: Come fai è la domanda giusta, non se si può
Ed è proprio di queste differenze naturali che caratterizzano e rendono unici l’essere donna o uomo, che, secondo Isa Mazzocchi de La Palta di Borgonovo Val Tidone, una stella Michelin, bisognerebbe parlare, in positivo: «Mi dispiace che nel 2021 siamo ancora a qui a parlare di questo gap. Così come scoprire i dati allarmati che, in questo orribile anno di pandemia, hanno colpito di più le donne. Ma l’Italia ha purtroppo ancora una mentalità vecchia e tradizionalista. Anche se sul “campo” qualcosa sta cambiando: 53 anni fa, quando ho iniziato, sì c’erano più difficoltà per noi cuoche nell’approcciarsi a un mondo fortemente maschile. Difficoltà che sembra, fortunatamente, non abbiano le ragazze di oggi. Anche se ancora, purtroppo, arrivano da me donne che mi chiedono come si può conciliare la maternità con la voglia di crescere e lavorare in questo settore».

Una domanda che, appunto quando fatta dalle donne, non è un gap ma una risorsa: «Bisognerebbe partire da questa domanda: Come fai? Come si fa? Perché in essa c’è già la risposta. Si può fare. E ci sono tante cuoche, e non solo, che lo dimostrano ogni giorno».

Non è una cucina per donne? Eppure le Stelle brillano
Isa Mazzocchi

E le Guide se ne accorgono
Appunto, perché in cucina come in qualsiasi altro settore, quello che bisogna guadare è la sostanza, che c’è e che tanta, e non semplicemente garantire un po' di “quote rosa”. Ma il vento sembra stare cambiando. Almeno in Francia e in Gran Bretagna come dimostrano le tante donne premiate nell’edizione 2021 nella Rossa francese e il trionfo femminile in quella inglese, con due nuovi tre stelle a Londra assegnati a due ristoranti guidati da chef donne (il Core di Clare Smyth, chef dell’Irlanda del Nord e l’Hélène Darroze at The Connaught, il ristorante all’interno del Connaught Hotel di Londra). Ma non solo. In Francia è stata data per la prima volta la stella a un ristorante vegano: l’Ona di Ares guidato da Claire Vallée.

In Italia il 51% dei ristoratori dichiara di avere una chef donna
E in Italia? Nell’edizione 2021 su 26 nuovi monostelle, nessuna donna. E questo nonostante in Italia la presenza femminile nella ristorazione sia, appunto, alta.

Secondo il 72% degli utenti di di TheFork, la piattaforma per prenotare un ristorante online, ad esempio, negli ultimi anni la quota di lavoratrici nel comparto food è aumentata. Una stima confermata dal 39% di operatori del settore, che sostiene di aver aumentato il numero di dipendenti donne assunte negli ultimi tre anni. Secondo la stessa ricerca, il 51% dei ristoratori dichiara di avere una chef donna, mentre il numero medio di donne impiegate in cucina è pari a 1,3. 2,2 è infine la media di lavoratrici attive in altri ruoli e altre mansioni, dalla sala all’amministrazione.

In parte ciò è dovuto anche ai nuovi e forti modelli nel mondo del food a cui ispirarsi: da Antonia Klugmann a Cristina Bowerman passando per Rosanna Marziale (vincitrice del sondaggio di Italia a Tavola "Personaggio dell'anno dell'enogastronomia e dell'accoglienza" nel 2011). Dalle pasticcere Debora Massari, Stella Ricci e Marta Boccanegra alle pizzaiole Teresa Iorio, Maria Cacialli e Isabella De Cham.

Donne di talento e che insegnano che è giusto lottare per inseguire i sogni e che, in attesa che la mentalità e la società cambi, smettendo anche di parlare di questi argomenti, dimostrano ogni giorno che ce la possono fare, anche a coniugare lavoro e figli. Come ha detto: Manu Buffara, best female chef del Sud America: “in effetti ancora oggi molti ci vorrebbero relegare alla casa, all’accudimento dei figli. Ma proprio questa sfida poi ci fa lavorare ancora più duro per raggiungere quei risultati prima appannaggio maschile. E ai miei due figli che quando mi vedono uscire mi chiedono “devi andare a lavorare?”, rispondo: “No, vado a cambiare il mondo”».

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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