Riportiamo da Corriere.it
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VERONA - «Mi domandano sempre increduli ma è proprio lei il signor Bauli? Chissà perché tutti aspettano di trovarsi davanti una persona paciosa e corpulenta. Sono abituati al mio amico Giovanni Rana e io invece sono alto e magro». Il signore del pandoro, Alberto Bauli (nella foto), oggi ha 69 anni e ha appena avuto semaforo verde dall'Antitrust (penando non poco) per comprare le storiche aziende fondate da Angelo Motta e Gioacchino Alemagna. Le due aziende dopo anni di tribolazioni sono assai dimagrite (ai tempi d'oro avevano 8 mila dipendenti, oggi 190) e messe assieme per dipendenti e fatturato valgono solo un quarto della Bauli ma continuano ad avere un blasone da serie A e nell'immaginario degli italiani evocano la Grande Milano, quella della Campionaria e del miracolo economico.
In realtà i panettoni vengono prodotti da una vita a S. Martino Buonalbergo, a due passi da Verona ma poco importa, è come se grazie a Bauli il Nord Est avesse comprato un pezzo di Milano. Una bella rivincita per i veneti e anche per il pandoro. Alberto Bauli non scopre ancora le carte ma pensa di differenziare i due marchi, Alemagna nell'alta pasticceria e Motta nella grande distribuzione e comunque non li vuol troppo milanesizzare. Perché dice «il panettone è un dolce nazionale». A renderlo orgoglioso, in verità, più che lo shopping ambrosiano è la scelta fatta dal venditore, la potentissima multinazionale Nestlé. «Non volevano dare Motta e Alemagna a un fondo di private equity che avrebbe tagliato l'occupazione, cercavano un acquirente che desse garanzie di qualità perché hanno profondo rispetto dell'industria dolciaria italiana».
Racconta Bauli: «Dal '70 ad oggi ho conosciuto ogni amministratore delegato che produceva i panettoni Motta. Succedeva sempre che venivano da noi a pranzo a chiederci che mestiere è fare l'industriale del dolce da ricorrenza». Una volta accadde che anche che tal Barbieux, un manager francese, dopo il caffè apostrofasse i veronesi «non sarete anche voi venuti qui per venderci la vostra azienda» e si beccasse l'orgogliosa (e profetica) risposta «caso mai succederà il contrario ». Anche quando la famiglia Zanin aveva venduto a Bauli i biscotti Doria era successa una cosa analoga. Volevano accasare l'azienda e scelsero sulla carta lo sposo ideale. Bussarono a casa Bauli e in due colloqui l'azienda era venduta e comprata. L'identificazione tra i 770 lavoratori fissi, i mille stagionali e l'azienda del pandoro è altissima. In 30 anni mai avuto conflitti sindacali, a nessuno viene in mente di cambiar padrone nonostante lavorino come dei matti. L'attuale amministratore delegato, Gastone Caprini, di anni ne ha 65, è in azienda da 30 anni e non ha nessuna voglia di andar via. Anche i finanzieri delle Fiamme Gialle arrivati in fabbrica per un controllo confessarono a Bauli di «aver trovato un ambiente incredibile».
Su tutti regna Alberto che dalla poltrona di presidente controlla tutto grazie a un report di 60 paginette con tutti i dati aziendali che gli arriva ogni settimana sulla scrivania. Perché la Bauli è un'azienda modernissima e super- tecnologica: nel solo stabilimento di Castel d'Azzano sono stati investiti in 10 anni ben 150 milioni di euro per automatizzare tutto il possibile tanto che al confronto con gli impianti Nestlé il Veneto batteva la Svizzera. Non tutti i Bauli han scelto di lavorare in azienda, anzi. I due fratelli di Alberto, Carlo e Adriano, s'occupano d'altro e per quanto riguarda i tre figli il primo, Carlo Alberto, fa l'avvocato ed ha curato il deal con la Nestlé, il secondo Francesco sta conseguendo un Master in biotecnologie alla New York University, la terza, Chiara, studia filosofia. Solo un nipote, Michele, ha preso la strada del pandoro. «Ma non è un problema. In fondo siamo dei veneti anomali, per noi la famiglia è una cosa distinta dall'azienda, non c'è quel coinvolgimento totalizzante di tanti altri colleghi del Nord est. Nella vita c'è tanto d'altro».
Per sfondare Bauli capì per tempo la forza della pubblicità. Cominciò addirittura con Carosello ma doveva programmare gli sketches mesi prima e poi magari glieli piazzavano dopo Capodanno, quando vender pandori è un'impresa impossibile. «Una volta venne in azienda addirittura il generale Fiore per controllare se le cose che dicevamo nella pubblicità corrispondevano al vero!». Poi apparve Silvio Berlusconi «e sono stato uno dei 350 industriali ospitati in via Rovani per farsi spiegare come funzionava la tv commerciale: è stata la nostra e la sua fortuna». Oggi del Cavaliere-premier Bauli pensa che «ha grande successo perché interpreta istanze latenti ma per questo deve dare risposte, se non le darà verrà contestato anche lui». Perché le cose che «noi industriali volevamo 30 anni fa, un Paese che fosse più anglosassone e meno burocratico, sono ancora lì da fare».
Persino produrre dolci è difficile in Italia, quando va bene si guadagna poco. Ad avere ammazzato tante piccole e medie imprese è stato il cambiamento determinato dalla grande distribuzione organizzata. E persino per chi si chiama Bauli è un braccio di ferro continuo. «Sei costretto a passar da loro e ad accettare le regole. Usano il pandoro e il panettone come prodotti civetta, li vendono sotto costo per attirare il cliente, che una volta entrato riempie il carrello di altri prodotti. Loro comunque ci guadagnano e noi siamo costretti a comprimere i margini». Per le imprese più fragili diventa sempre più difficile tenere il mercato e così a produrre i dolci da ricorrenza sono rimasti in quattro a Verona, due nel Piemonte e uno solo a Parma. Un altro pezzo di industria che presto o tardi se ne andrà? «No - risponde Bauli - La qualità alla lunga vince. E poi la gente a Natale non può fare a meno del pandoro o del panettone. Senza, si sente povera».
Dario Di Vico
Corriere.it
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