Comprensibile la delusione di Alfio Ghezzi, uno dei più brillanti giovani cuochi italiani, per la debacle della nazionale italiana al
Bocuse d’or. Forse un po’ meno la sorpresa. Ma davvero ci si può aspettare che in una battaglia ormai planetaria per la leadership del gusto i francesi possano rinunciare alla loro grandeur e alla loro antistorica pretesa di dettare le regole? E davvero si può pensare che l’Italia, unica e vera alternativa in cucina o nel mondo del vino, possa avere qualche chance di affermarsi oltralpe? Cerchiamo di essere realisti. Senza voler passare per provinciali o indulgere allo sciovinismo nostrano, siamo da tempo convinti che spendere soldi per competere ad armi impari in questo concorso sia ormai una vera stupidaggine. E gli enti pubblici che sostengono queste battaglie perse in partenza dovrebbero chiedersi se i soldi dei contribuenti non andrebbero spesi meglio.
La cucina di stile francese non è la nostra e, finché potrà, Parigi ci terrà sempre un gradino sotto perché siamo di fatto gli unici competitor, avendo strappato ai francesi un primato di scelta dei consumatori in molte parti del modo, Asia e nord America in primis. E basterebbe pensare ai “politici” giudizi della
Michelin: saremo anche il secondo Paese dopo la Francia per numero di locali con le stelle, ma con tre stelle ne abbiano meno che a
Tokyo. E questo non è casuale.
Del resto è giusto che sia così. La Francia ha la forza di imporre i suoi miti nel mondo. A partire dallo
Champagne. Noi non siamo nemmeno capaci di organizzare un serio concorso nazionale di cucina. Fra gelosie e rivalità di associazioni o enti territoriali continuiamo ad eliderci a vicenda e non sappiamo nemmeno dare vita ad una squadra nazionale che, come avviene a Parigi, è simbolo del Paese. In Italia se ad un convegno c’è il cuoco A, il collega B palesemente fa sapere che non ci andrà. Se qualcuno organizza un evento capace di raccogliere le migliori rappresentanze del settore, subito qualcun altro progetta appuntamenti alternativi. E in tutto questo i Governi della Repubblica continuano ad ignorare il grande valore culturale e di immagine rappresentato dalla nostra cucina e dalla nostra enogastronomia.
Per tornare al Bocuse d’or, smettiamola di pensare di poter vincere in quella sede con queste regole. O cambiamo la natura della nostra cucina o non se ne farà nulla. E in questo è amara la considerazione fatta da Ghezzi riguardo alla possibilità di poterci riprovare a Lione fra due anni: «Mi servirebbe - ha detto - almeno un anno con un allenatore francese, un Mof (Meilleur Ouvrier du France). Ma dovrei abbandonare la Locanda Margon». Che senso ha? O vinciamo per le nostre proposte e le nostre caratteristiche, oppure lasciamo perdere il Bocuse d’or. E magari diamo vita ad un serio concorso nazionale. Il nome è già scritto: “Il Marchesi d’oro”, in onore del Divino che ha cambiato la cucina italiana.