L’Antitrust
sanziona finalmente le compagnie di navigazione che stanno mettendo in ginocchio l’intera economia della Sardegna, ma lo fa con grave ritardo e limitando l’intervento alla sola
stagione 2011. Quasi che ingiustificati ed abnormi aumenti delle tariffe non siano stati fatti anche l’anno scorso, penalizzando duramente la stagione turistica, e nuovi rincari non pesino quest’anno pregiudicando le prospettive dell’estate. Alla faccia della contiguità territoriale da garantire (che dovrebbe essere un obbligo di rango costituzionale) e dell’interesse del sistema Italia a sviluppare il più importante polo di attrazione di un turismo qualificato a livello mediterraneo, i gestori di traghetti (legati da cartelli dei prezzi e intrecci azionari e familiari) sono stati lasciati liberi finora di condizionare lo sviluppo socio-economico di un pezzo dello Stato italiano. Altro che aree del territorio gestite dalla criminalità in cui lo Stato è assente (come si sente spesso accusare per molte parti del sud Italia).
In nome di finte liberalizzazioni, le istituzioni (e in primo luogo i politici indifferenti...) hanno totalmente rinunciato a difendere occasioni di sviluppo di interesse nazionale in Sardegna, lasciando che gli armatori si spartissero i collegamenti marittimi e praticassero tariffe che non hanno riscontro con quelli praticati per raggiungere la Corsica, le Baleari o le isole greche. Per una famiglia con auto al seguito è oggi impossibile andare in Sardegna senza pagare (per i soli traghetti) un migliaio di euro. Cifra che in tutte le altre isole dei mari a noi vicini permette non solo di effettuare la traversata, ma di pagarsi anche una settimana di soggiorno.
A pagare il costo abnorme di tariffe scandalosamente gonfiate è peraltro tutta l’isola, al punto che nei giorni scorsi si sono rischiati scontri sociali per le proteste di molti operatori sardi che si trovano con i costi degli acquisti dal continente aumentati e le prenotazioni dei turisti praticamente azzerate. E non è che ad avvantaggiarsene siano altre località della penisola, perché l’alternativa alla Sardegna per molti connazionali o stranieri sono solo coste “non italiane”.
Le cause di un simile disastro sono numerose, ma la principale ha un nome e cognome: la precisa volontà di due anni fa del governo Berlusconi di bloccare il possibile intervento della Regione Sardegna nel progetto di salvataggio della Tirrenia (che da compagnia pubblica garantiva i collegamenti e faceva da calmiere sul mercato...). Una scelta politica che mirava, attraverso il fallimento della Tirrenia, a favorire il passaggio di navi e rotte in mani “amiche”. Le stesse che poi hanno dato vita al cartello che tanti disastri ha causato.
Ora però tocca al Governo in carica di dare un segnale forte e chiaro. Il turismo (che non è solo quello per i grandi ricchi) e comunque l’economia della Sardegna hanno diritto a collegamenti efficienti e a prezzi ragionevoli. Se le attuali compagnie non svolgono questo servizio ci sono molte strade alternative, partendo dall’attivazione di nuove linee affidate a compagnie francesi, spagnole o greche fino alla chiusura delle tratte per chi non rispetta degli standard di qualità e costo. Ai ministri competenti e alla Regione Sardegna restano però pochi giorni (o forse poche ore) per evitare un nuovo disastro. L’Antitrust ha aperto la strada perché si recuperi il tempo perduto, ma l’ottimismo è davvero ridotto al lumicino. E la Sardegna diventa un esempio di come il Paese non tutela e non sviluppa la sua principale risorsa economica, il turismo.