Nonostante i dubbi e le perplessità per il ritardo con cui affrontiamo questa scadenza, l’appuntamento dell’
Expo potrebbe rappresentare una scadenza importante per definire la nuova strategia che l’Italia intende adottare nella lotta contro le contraffazioni alimentari. Da tempo si registrano segnali interessanti: dalle iniziative sui mercati esteri per promuovere i prodotti a indicazioni geografiche (pensiamo al recente sblocco per le vendite di Grana Padano e Parmigiano Reggiano in
Corea del Sud) a quelle sulle etichette alimentari. Novità che fanno ben sperare nell’avvio di una vera e propria battaglia per tutelare beni in cui l’Italia non ha per fortuna nulla da imparare dal resto del mondo (salvo come venderli al meglio...).
Il
Forum internazionale sulle contraffazioni alimentari annunciato dal ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, dovrebbe essere la sede in cui vedere concretamente qualche iniziativa capace di dare più tutela ai nostri prodotti sul mercato interno e su quello internazionale. Quella che abbiamo di fronte è una doppia sfida in cui il Governo deve scegliere con grande attenzione partner ed alleati. In ballo non ci sono tanto i livelli di produzione (pure importanti), quanto la valorizzazione della qualità che, se ben tutelata, è l’unica carta per vincere e crescere.
Il primo riferimento non può che essere al
trattato di libero scambio con gli Stati Uniti, dove l’Italia si gioca la possibilità di vincere per la ricchezza delle sue tradizioni ed indicazioni tipiche, oppure di mettere nel cassetto i progetti per un nuovo ciclo di sviluppo virtuoso basato sui valori della terra e della tavola. Gli Usa spingono per una riduzione delle tutele di tipicità a favore di formule che puntino più su presunte garanzie igienico sanitarie. Una soluzione che favorirebbe solo produzioni industriali su larga scala e che non a caso ha il consenso dei tedeschi, che certo non hanno la ricchezza del nostro giacimento di prodotti tipici tutelati dall’Unione europea. La posizione americana e tedesca potrebbe piacere ad alcuni industriali di casa nostra, ma sembra che al momento il Governo sia assolutamente deciso a fare valere la carta delle tipicità. Speriamo.
Il secondo fronte importante è invece tutto interno. L’introduzione delle etichette alimentari obbligatorie è stato un passo importante, ma, come abbiamo già sottolineato, limitato da stupidaggini come quella di togliere l’indicazione del sito produttivo (opportunamente
introdotto invece per il vino...). Quanto fatto finora può andare nella direzione giusta ma non basta. Serve una scelta di campo più precisa per fare sul serio squadra. E questa non la si può fare se in questa strategia manca un protagonista assolutamente di rilievo come la ristorazione.
In un ristorante, in una pizzeria, in un agriturismo o in una pasticceria (attività che andrebbero ricondotte ad un’unica categoria merceologica e sindacale...) la filiera agroalimentare si gioca tutte le possibilità di promozione. Per questo serve un’alleanza e una politica nuova che non può però passare, ad esempio, attraverso il ridicolo dei
tappi anti rabbocco dell’olio, che danno un vantaggio solo agli imbottigliatori e non garantiscono nessuno sulla qualità del contenuto.