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Covid-19 e smog si danno la mano? Quando più indizi fanno una prova

Solo ipotesi al momento, ma molti scienziati stanno studiando se c'è una correlazione fra clima, temperatura e inquinamento dell'aria per spiegare la diffusione del coronavirus in aree simili come Whuan, Corea e Lombardia (oltre all'Iran). Ambienti uguali a quelli dell'Europa e di parte degli Stati Uniti.

di Alberto Lupini
direttore
 
17 marzo 2020 | 17:30

Covid-19 e smog si danno la mano? Quando più indizi fanno una prova

Solo ipotesi al momento, ma molti scienziati stanno studiando se c'è una correlazione fra clima, temperatura e inquinamento dell'aria per spiegare la diffusione del coronavirus in aree simili come Whuan, Corea e Lombardia (oltre all'Iran). Ambienti uguali a quelli dell'Europa e di parte degli Stati Uniti.

di Alberto Lupini
direttore
17 marzo 2020 | 17:30
 

Clima e inquinamento potrebbero spiegare l’attuale diffusione nel mondo del coronavirus?
Al momento non ci sono conferme scientifiche, ma solo indizi. Anche se molti pesanti.

PM10 nel mondo - Covid-19 e smog si danno la mano? Quando più indizi fanno una prova

PM10 nel mondo

Per essere chiari, ci sono oggettivamente delle condizioni molto simili nelle aree dove si sono avuti fino ad oggi gli epicentri di questa pandemia (Wuhan, la Corea del sud e la Lombardia), come pure nelle altre dove sta esplodendo: l’Europa e gli Stati Uniti (nonché la zona di Qom in Iran). Ma per ora nulla di più. Che sia però più di un’ipotesi è confermato anche dagli scienziati di tutto il mondo che, come riportava oggi i Corriere.it, stanno analizzando una serie di dati che sembrano collegare tra loro le aree più interessate da un virus che colpisce le vie respiratorie: latitudine, temperature, umidità e, ovviamente, il livello di inquinamento. In particolare le micidiali polveri sottili, quel PM10 che in questi giorni, sono le immagini da satellite a indicarlo, sembrano scomparse in queste aree, soprattutto per il blocco di molte attività e della mancanza di auto sulle strade.

La domanda che ci si pone è se temperatura e clima, da un lato, e possibile debolezza del sistema respiratorio a causa inquinamento, dall’altro, siano o meno fattori che possono aver favorito la diffusione di un virus che, grazie alla globalizzazione e ai voli aerei, ha potuto spostarsi in ambienti di fatto simili. Il tutto da prendere con le dovute cautele considerando che il coronavirus comincia ad essere presente anche in Africa, con 30 nazioni colpite su 54 Stati africani e 450 casi accertati a oggi. E che magari ci sono aree come l’India o il Pakistan fortemente inquinate (anche se con climi diversi) dove al momento non c sono molti casi segnalati. Ma magari è solo perché come in Germania o in Gran Bretagna fino a pochi giorni fa, non si fanno controlli …

Guardando la mappa del mondo ci si accorge in ogni caso che c’è una sorta di fascia che corre attorno al mondo (più o meno fra i 30 e i 50 gradi a nord) che comprende tutte le aree finora colpite. Si tratta di regioni che hanno un clima subtropicale umido e con temperature miti, fra i cinque e gli 11 gradi. In aree più fredde (tipo Russia, paesi scandinavi o Canada) o più calde non ci sarebbero molti casi. Più o meno analogo anche il tasso di umidità degli ultimi mesi, fra il 67 e l’88 per cento.

C’è poi da inserire in questo contesto il valore dell’inquinamento, che anche in questo caso è su livelli simili. La regione cinese, come quella della Corea del sud o la Lombardia (ma il dato non è diverso per Francia, Germania o Gran Bretagna, dove l’epidemia sta dilagando ora…), sono fra quelle che nel mondo presentano valori spesso oltre la soglia delle tolleranze previste di legge. In un articolo del Washington Post di domenica si poneva il dubbio che una «cattiva aria» potesse contribuire a peggiorare gli effetti del coronavirus, così come, per esempio, il fumo o ogni altro inquinamento da combustione. Scienziati americani e cinesi hanno da tempo sostenuto ad esempio che questo fattore aveva inciso molto sull’espansione della Sars in Cina nel 2003: nelle regioni più inquinate era stata più mortale. E questo perché le polveri sottili si accumulano sui «macrofagi alveolari» e in caso di infezione creano più difficoltà di funzionamento nel sistema cardio-respiratorio.

E del resto la controprova la sia potrebbe avere considerando che oggi, a Wuhan, come in Corea del sud o in Lombardia, causa la riduzione del traffico automobilistico o aereo e la chiusura di molte fabbriche o caldaie di grandi complessi di servizi, i livelli di Pm10 sono crollati. A Milano, ad esempio, non si sfiora nemmeno la soglia limite di 50 microgrammi per metrocubo d’aria, lontanissimi dai livelli pericolo dei due mesi precedenti quando c’erano stati 35 giorni «fuorilegge» secondo le norme dell’Unione europea. Purtroppo ciò non significa che nel sud Italia o in Sardegna, dove l’aria è in media più pulita (a parte zone come le terre dei fuochi), potrebbe andare meglio che in pianura padana, ma l’augurio è che il clima possa sostenere questa speranza.

E a pandemia passata, se davvero fosse confermato che l’inquinamento può aver avuto una qualche parte in questo disastro planetario, qualcosa dovrà cambiare nel mondo. Se così fosse, Trump e i suoi amici negazionisti dell’inquinamento ambientale (americani, cinesi, brasiliani o indiani che siano), dalle grandi sorelle petrolifere alle produzioni industriali con poco controllo delle emissioni in atmosfera, non potranno non rendere conto ad un’opinione pubblica impoverita e ferita della follia che abbiamo commesso.
Forse non ha torto chi dice che questa pandemia potrebbe essere l’ultimo avviso di u pianeta malato che a breve potrebbe eliminare la pericolosa specie che oggi cerca di dominarlo.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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