«L’Italia senza ristoranti nei weekend non sarebbe l’Italia». Con questa affermazione al Corriere della Sera, Alberto Cartasegna, ceo e co-fondatore di Miscusi, ha riacceso il confronto sul futuro della ristorazione. Dopo la scelta di Trippa di chiudere nel fine settimana per far riposare la brigata, sempre più locali scelgono tra modelli opposti di sostenibilità: c’è chi punta sul benessere dei dipendenti riducendo i turni, come Casa Perbellini, e chi invece investe in organizzazione, automazione e managerialità per garantire aperture continue. Un tema che divide gli chef, da Fronduti a Rizzo, ma che racconta la stessa sfida: conciliare accoglienza, qualità della vita e sostenibilità economica in un settore in piena trasformazione.
Il weekend al ristorante: chiudere o restare aperti?
Negli ultimi mesi la ristorazione italiana è attraversata da un dibattito sempre più acceso: chiudere o restare aperti nel weekend, il momento tradizionalmente più redditizio per il settore. Una scelta che non riguarda solo i turni o la gestione dei costi, ma il modello stesso di ristorazione, la cultura del lavoro e la sostenibilità umana del mestiere.

Trippa i fondatori Pietro Caroli e lo chef Diego Rossi
Tutto è partito da alcuni casi emblematici: la decisione di Trippa, la trattoria milanese di Diego Rossi, di chiudere nel fine settimana per garantire alla brigata due giorni di riposo, ha innescato una riflessione collettiva. Da allora «si fa strada un nuovo modello di ristorante», più attento al benessere del personale e ai ritmi di vita.

Alberto Cartasegna, ceo e co-fondatore di Miscusi
Ma non tutti la pensano così. Altri imprenditori del settore, come Francesco Rizzo di Cascina Ovi, hanno espresso una visione opposta: «Chiudere nei weekend non conviene», ha spiegato, «perché il ristorante è il centro della festa, e noi siamo qui per accogliere quando gli altri si divertono».
Due modelli, due filosofie: chiudere per equilibrio o restare aperti per identità
Nel corso del 2025, sempre più ristoratori di fama hanno deciso di sperimentare formule nuove. Lo chef Giancarlo Perbellini, ad esempio, ha scelto di chiudere Casa Perbellini 12 Apostoli nei weekend, motivando così la decisione: «È un premio per i ragazzi, un modo per restituire equilibrio e gratificazione a chi lavora con me». Una scelta che - come ricordato nell’approfondimento di Italia a Tavola dedicato ai «turni più sostenibili» - non rappresenta un caso isolato: sempre più brigate e titolari rivendicano il diritto a «un tempo di vita regolare, con ferie, riposi e orari compatibili con un equilibrio personale».

Lo chef Giancarlo Perbellini
All’opposto, il mondo della ristorazione organizzata e dei format aperti sette giorni su sette rivendica un’altra visione: quella di un servizio continuo, sostenuto da una gestione manageriale, automazione e organizzazione dei turni. Lo ha spiegato di recente Alberto Cartasegna, ceo e co-fondatore di Miscusi, che ha scelto di estendere gli orari e restare aperto tutti i giorni: «L’Italia senza ristoranti nei weekend non sarebbe l’Italia. Comprendo chi decide di chiudere, ma non condivido quel messaggio: si possono trovare soluzioni per far star bene il personale senza smettere di accogliere».
Il nodo centrale: un nuovo welfare
Tutti gli attori del dibattito concordano su un punto: il lavoro nella ristorazione deve cambiare. Come sottolineato più volte da Italia a Tavola, il settore si trova a fronteggiare «turni spezzati, weekend obbligati, difficoltà nel reperire personale e carichi di lavoro eccessivi». Cartasegna ricorda: «Io stesso ho cominciato lavando piatti e dormendo tra un turno e l’altro. La ristorazione può e deve essere meglio di così. Voglio lanciare il messaggio che questo lavoro è bello e si può fare». Anche Giancarlo Perbellini insiste sul tema del welfare: «Non si può continuare con ritmi che portano i ragazzi a lasciare la cucina dopo pochi anni. Dobbiamo dare un segnale, e per me questo segnale è chiudere nel weekend». Un concetto ripreso in altri contributi pubblicati su Italia a Tavola, dove si evidenzia come «la sostenibilità del lavoro sia oggi una condizione necessaria per garantire qualità e continuità del servizio».
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Francesco Rizzo, titolare di Cascina Ovi
Sul versante opposto, Francesco Rizzo invita a non stravolgere la natura del mestiere: «Il ristorante vive di emozioni e di momenti condivisi. Se togli il sabato o la domenica, togli il cuore del nostro lavoro».
Una visione condivisa anche da Andrea Fronduti, chef e ristoratore milanese, che proprio a Italia a Tavola ha detto chiaramente: «Se vuoi il sabato libero, cambia mestiere».

Lo chef Matteo Fronduti
Sostenibilità, organizzazione, automazione: le nuove chiavi
Dietro le scelte di chi resta aperto c’è spesso una struttura manageriale più solida. Il modello di Miscusi ne è un esempio: 400 dipendenti, turni organizzati due settimane prima, stock option per i manager, uso di tecnologia e robotica per ridurre la fatica fisica. «Abbiamo ingegnerizzato la nonna», scherza Cartasegna, «automatizzando i processi per rendere il lavoro più leggero». Nel frattempo, chi sceglie la chiusura punta su nuove formule di sostenibilità sociale: ferie garantite, rotazione dei weekend, bonus e benefit per il personale. Due vie diverse, ma accomunate dalla stessa consapevolezza: il modello tradizionale non regge più.
Un cambiamento culturale ancora in corso
Il confronto tra posizioni così diverse mostra che la ristorazione italiana è in piena trasformazione. Da un lato, si consolida l’idea che il benessere dei lavoratori sia parte integrante della qualità dell’esperienza gastronomica; dall’altro, resta forte il legame identitario tra ristorante e weekend, tra servizio e socialità.
«La ristorazione è il centro della festa» ricorda Rizzo, «e dobbiamo restare aperti quando le persone vogliono stare insieme». Ma, come nota Perbellini, «la festa deve poter esistere anche per chi la prepara». Nel mezzo, si muove una nuova generazione di imprenditori che prova a conciliarli entrambi: innovazione, tecnologia e organizzazione per non rinunciare né al servizio né alla qualità della vita.
Verso una nuova cultura del mestiere
Il dibattito sulla chiusura dei ristoranti nei weekend non è una moda, ma uno specchio dei cambiamenti profondi che attraversano il settore. La ristorazione italiana, tra modelli d’autore e catene organizzate, cerca oggi un equilibrio tra accoglienza e sostenibilità, tra servizio e qualità della vita. E come spesso accade, la risposta non è unica: ognuno dovrà trovare la propria formula di equilibrio, nel rispetto del mestiere e delle persone che lo rendono possibile.