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Il Covid porta i cuochi sui social. È finita l'epoca dei food blogger?

La chiusura dei ristoranti ha costretto gli chef professionisti a darsi da fare attraverso la tecnologia. In tanti si sono spostati sui propri profili social per suggerire ricette e segreti. La concorrenza per i cuochi amatoriali si è alzata. Ma chi la sta spuntando? Quali sono i contenuti che funzionano? Cosa cercano le aziende?

di Federico Biffignandi
 
31 marzo 2021 | 08:30

Il Covid porta i cuochi sui social. È finita l'epoca dei food blogger?

La chiusura dei ristoranti ha costretto gli chef professionisti a darsi da fare attraverso la tecnologia. In tanti si sono spostati sui propri profili social per suggerire ricette e segreti. La concorrenza per i cuochi amatoriali si è alzata. Ma chi la sta spuntando? Quali sono i contenuti che funzionano? Cosa cercano le aziende?

di Federico Biffignandi
31 marzo 2021 | 08:30
 

Dall’Expo in poi il mondo del cibo - del food come dicono i neofiti o i food blogger - è esploso a livello mediatico e popolare. Non che la cucina fosse sconosciuta agli italiani, anzi, ma improvvisamente - purtroppo per certi versi, per fortuna per altri - è diventata di tutti e per tutti non solo dei cuochi stellati. L’internazionalità dell’evento milanese ha aperto le porte a influssi provenienti dall’estero con sapori e profumi che hanno conquistato la massa conquistando in un attimo i social, l’amplificatore per eccellenza della nostra società.

I cuochi italiani, quelli professionisti che per anni avevano dovuto lavorare nell’ombra ed essere considerati lavoratori di serie B, hanno dovuto rincorrere per evitare di annegare ribadendo le ricette regionali che in tutta Italia ci invidiano, ma che avevamo dimenticato. Così dimenticato che riproporle nelle versioni originali non era sempre un vanto, ci voleva sempre un tocco esotico per rendere più chic il piatto.

Chef sui social Il Covid porta i cuochi sui social È finita l'epoca dei food blogger?

Chef sui social

Tutta questione di estetica

Ecco, l’estetica, quella caratteristica che improvvisamente per un piatto è diventata predominante, anche sul gusto. L’estetica del piatto, ma anche dei cuochi stessi con gli chef che sono diventati sempre più delle star, dei volti da copertina, da televisione. Ma perché proprio l’estetica? Perché nell’era dei social l’immagine conta più di ogni altra cosa e il cibo fotografato e rinchiuso in un quadrato Instagram è risultato essere troppo ghiotto per incassare like e trasformarsi da casalinghe che a malapena riuscivano a cucinare un piatto di pasta al sugo in… food blogger.

L’esplosione della cucina ha spaccato, anche a causa dei social, il mondo in due: da una parte i tradizionalisti, i puristi, i professionisti che pensano che la cucina si faccia in cucina; dall’altro gli amatori che da casalinghi, appunto, hanno incassato il favore del popolo trasformandosi in food blogger. Di ricette, pochine, di apparenza troppa, di sostanza pochina. Eppure funzionava. Ma funziona tuttora? La lotta è diventata più serrata perchè il Covid ha un po' fatto traballare certe gerarchie con gli chef che non potendo stare in cucina hanno aumentato la loro presenza sui social proponendo ricette e consigli.

La sentenza di Seth Godin

Secondo il guru del marketing contemporaneo, Seth Godin in generale l’epoca degli influencer è finita. «Il futuro degli influencer - ha detto recentemente in un’intervista rilasciata a Il Sole 24 Ore - appartiene già al passato. Perché nella maggior parte dei casi coloro che vengono definiti influencer non lo sono affatto. Piuttosto sono hacker egoriferiti legati alle pubbliche relazioni, e per giunta spesso scarsamente remunerati. D’altronde raccontarsi sui social media è una corsa che non porta alcun vantaggio, perché nel lungo periodo non genera né attenzione e né fiducia. Nella stragrande maggioranza dei casi i social sono una trappola. Certamente ci forniscono un microfono, ma sta poi soltanto a noi decidere come utilizzarlo al meglio».

Anche per il cibo è così? Anche l’era dei food blogger è finita? Ne abbiamo parlato con Vincenzo Cosenza, chief marketing officer di Buzzoole, piattaforma di influencer marketing che monitora costantemente i trend social più caldi.

Cosenza, lei è d’accordo con la posizione di Godin?
La sua critica è riferita agli influencer che puntano su se stessi invece che valorizzare un marchio o un prodotto. C’è una metamorfosi in atto: se all’inizio si ricercavano ripetitori di messaggi preconfezionati, oggi le aziende cercano dei creator ovvero dei profili che riescono con il loro stile ad interpretare il messaggio dell’azienda e a far proprio il prodotto che devono promuovere. Il nuovo profilo deve essere riconoscibile agli occhi del pubblico, non solo come colpo d’occhio, ma come modo di fare, come atteggiamento, come linguaggio. Come tutte le evoluzioni c’è chi resterà indietro e scomparirà e chi invece progredirà e sopravviverà alla metamorfosi.

Nel mondo del food cosa sta succedendo? Spopolano ancora i food influencer?
Nel mondo del food resiste chi propone contenuti di alta qualità. Ci sono tre tipi di influencer: gli ispiratori,  che riescono a conquistare le persone proponendo ricette particolari e offrendo tutorial. Ci sono poi i trend setter che stimolano nuovi modelli di consumo, nuovi gusti, nuove culture, nuove cucine (vegana o etnica ad esempio). E poi ci sono gli esperti che focalizzano l’attenzione sui valori nutrizionali, sull’aspetto salutare del cibo e nell’ultimo anno l’interesse su questo aspetto è cresciuto moltissimo.

Lei ha parlato di tutorial. C’è qualche social che funziona meglio di altri per questo tipo di proposta?
In ogni social per i video c'è una durata massima consentita. In generale stanno funzionando molto i contenuti brevissimi, che sono il punto di forza di Tik-Tok. Ma per quanto riguarda la cucina c’è bisogno di più qualità e di long-form per i quali l'ideale è YouTube o Facebook. Ora sta muovendo i primi passi Clubhouse, sarà interessante capire se e come il food si inserirà in questo nuovo canale visto che è solo orale e non sembra essere così adatto per il settore. Instagram invece è diventato il posto dove esserci per forza, le aziende fanno influencer marketing soprattutto lì anche perché il social si è aperto a nuovi formati che danno la possibilità di accedere direttamente agli acquisti o di pubblicare video di qualsiasi durata con l’IgTv e il Reel.

Quindi è da sfatare il mito dei post brevi che sono più efficaci dei papiri?
In parte, sì. Ma dipende dal social che si sta utilizzando. Lo strumento che ancora funziona bene nel mondo del food è il blog perché lì gli autori hanno tempo per esprimere i loro contenuti, curarli al meglio, consentire ai lettori di assaporarli fuori dalla necessità imposta dai social di essere sempre “live”.

Come mai i food influencer hanno ottenuto più successo dei cuochi professionisti sui social?
Perché sono riusciti ad arrivare prima. Mentre i cuochi erano in cucina a preparare piatti nuovi, buoni, di tendenza, i food blogger erano sui social a spiegare come preparare ricette, passo a passo in modo che tutti potessero replicarle a casa e sentirsi un po’ protagonisti.

In un vostro recente studio è emerso che nel 2020 il post in lingua italiana che ha ottenuto più interazioni in assoluto è proprio del settore food, ovvero quello pubblicato da Chiara Ferragni e sponsorizzato da Galbani. La cheesecake di marca ha ottenuto infatti circa 614.000 interazioni. Perché?
Non esiste una regola per avere successo sui social, gli influencer non sono bidimensionali e non si può dire perché qualcuno ottiene successo piuttosto di altri. Benedetta Rossi - ad esempio - non è chef, ma è stata capace di creare una community che voleva avere a che fare con una persona genuina. Nel caso della cheese cake può essere benissimo un caso anche se ci sono dei punti fermi: Chiara Ferragni viene vista come un’icona di stile che non si assocerebbe mai alla preparazione di un piatto, per quanto semplice. Ha sorpreso molti questo aspetto anche se l’immagine non era particolarmente creativa, c’era un elemento di curiosità.
 
Ma i social servono alle imprese per vendere?
Diciamo che non possono non esserci, soprattutto per chi si rivolge ai consumatori e le aziende alimentari rientrano in questa categoria. Esserci però richiede una presenza attiva, bisogna diventare dei brand editoriali, sapere quando condividere e quando interagire col pubblico. Non è facilissimo, ma rientra nelle prerogative del marketing moderno. Chi non vuole esserci può far leva sull'influencer marketing, ovvero coinvolgere un influencer in grado di comunicare il messaggio aziendale al proprio pubblico. Altro punto di attenzione riguarda la continuità, meglio pianificare attività continuative con gli influencer, perché quelle occasionali potrebbero essere percepite come strumentali.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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