Un tempo isole felici dello shopping e del divertimento, ora i centri commerciali si trovano a fare i contri con una desertificazione indotta che, nel 2020, ha generato un calo delle vendite pari al -30%. A soffrire di più, la ristorazione. Un colpo al cuore del modello di sviluppo degli shopping center che, grazie all'integrazione fra ristoranti e luoghi di divertimento, prima della pandemia avevano creato un vero e proprio paradigma internazionale.
A registrare la perdita di vendite (e identità) è l'Osservatorio del Consiglio nazionale dei centri commerciali (Cncc) che ha analizzato un campione rappresentativo di centri commerciali associati, 233 strutture per un totale di 8.534 negozi. E quelli che sono andati peggio sono proprio bar, chioschi, ristoranti, fast food che hanno visto le proprie vendite crollare del 45,8%.
I centri commerciali hanno chiuso il 2020 con un calo del 45,8% delle vendite nel comparto ristorazione
Dati attesi ma preoccupantiIl dato negativo era comunque atteso e considerato
inevitabile da parte del
Cncc. D'altronde, non avrebbe potuto essere diversamente considerando che per 10 mesi, a partire da marzo 2020, il settore dei centri commerciali, dei parchi commerciali e dei factory outlet ha dovuto scontare
chiusure totali o parziali, oltre al divieto di apertura nei
weekend imposto in alcune Regioni. Considerazione non da poco che ha influito anche sulla realtà analizzata dall'Osservatorio. Per compilare l'analisi, infatti, il Cncc ha dovuto considerare solo quelle strutture che fossero riuscite a resistere, aperte, per almeno
10 mesi nel corso dell'anno. Un periodo che, inevitabilmente, lascia fuori molti attori del settore le cui condizioni esogene (leggi: limitazioni di orario, spostamento, apertura, ecc) avrebbero appesantito ulteriormente i
dati.
In ogni caso, l’elemento che emerge è che tutte le
categorie merceologiche hanno registrato evidenti cali delle vendite, seppur con performance diverse: detto della ristorazione che guida la classifica con le maggiori perdite, al secondo posto si piazzano
abbigliamento e calzature (circa -34,5%) seguiti da attività di
servizi (-33,9%). Più contenute la perdita di vendite
beni per la casa (-15,9%) ed
elettronica di consumo (-13,5%).
Pesante poi l'incidenza delle chiusure nei
fine settimana che, a partire dal mese di novembre, hanno contribuito a una contrazione dei fatturati pari a -49%, con un impatto maggiore su ristorazione (-69,5%) e abbigliamento e calzature (-63,9). Sempre con riferimento al mese di novembre, se si considera il trend di
ingressi dei visitatori si registra un calo del 52,7%, addirittura più marcato rispetto ai fatturati.
Tra difficoltà e ripensamentiVista la chiusura dell'anno, il rallentamento del piano vaccinale e una stagione estiva ancora lontana, il settore dei centri commerciali si trova a un punto di
svolta. Cambiare modello o resistere? Forse tutte e due. E comunque non sarà indolore: «Per quanto riguarda la ristorazione, soprattutto in riferimento ai
piccoli operatori a gestione famigliare, il rischio è quello di trovarsi di fronte a un problema di
vacancy. Nonostante
il recente passaggio in zona gialla di molte regioni, alcune imprese fanno comunque fatica a riaprire. E chi ci è riuscito non lo ha fatto le stesse dinamiche e format attivi pre-pandemia», afferma
Roberto Zoia, presidente del Cncc.
Situazione difficile, anche a livello
immobiliare (con la ristorazione che occupa un 5-10% della quota canoni d'affitto), ma che lascia aperto lo spazio per
qualche sperimentazione che potrebbe far evolvere il concetto di
food court: «Nei due anni precedenti la pandemia un può tutti avevamo puntato sulle food court perché molto apprezzato dai clienti, soprattutto quelli dei centri commerciali urbani, magari vicini a uffici e centri direzionali oltre che dai visitatori serali. Il food, infatti, si è sviluppato inizialmente come servizio aggiuntivo alle attività di divertimento, come i
cinema, che lavoravano molto di sera. È chiaro dunque che un ripensamento ci sarà», prosegue Zoia. La possibilità è che lo spazio liberato si trasformi in qualcos'altro, magari un punto di
spedizione: «La vera sfida per i centri commerciali, a livello di ristorazione, sarà offrire servizi comuni di consegna a domicilio senza passare per i big del
delivery ma facendo massa critica con il centro commerciale che si incarica delle consegne a domicilio per tutte le attività presenti in food court verso un bacino di utenza ristretto. Questo comporterebbe un recupero di
marginalità e
redditività attraverso una sinergia tra landlord e tenant», conclude Zoia.
Alimentare, iper sempre in riduzioneOltre alla ristorazione, il food dei centri commerciali è anche l'àncora
alimentare rappresentata dagli
ipermercati. Un format che, prima della pandemia, era già stato investito da un cambiamento dovuto al boom dell'Horeca e dei negozi specializzati. E ora? «Il processo di riduzione delle
superfici degli ipermercati continua. Ma ora come allora riguarda essenzialmente lo spazio dedicato alle categorie non-food. Personalmente, le maggiori differenze pre e post-Covid le vedo nelle
referenze: più prodotti pronti, più gastronomia per quei clienti che non vogliono cucinare né si avvalgono del delivery. Penso comunque che una volta che ripariranno consistentemente i ristoranti questa proposta si ridurrà», afferma Zoia. E il
discount? Non ha cittadinanza ancora nelle gallerie commerciali? «Per il momento direi di no. Ho visto alcuni esempi in Sicilia, ma si trattava di ingressi dovuti all'abbandono dello spazio da parte di insegne full price», conclude Zoia.
Le richieste del CnccFra dati e fenomeni, la realtà bussa alla porta. Gli
effetti negativi delle misure restrittive imposte dalle autorità per fronteggiare l’emergenza sanitaria legata al Covid-19 hanno dimostrato «la reale e urgente necessità di misure di
sostegno specifiche e significative per gli operatori dei centri commerciali, con particolare riferimento alle attività a conduzione familiare il cui equilibrio economico è maggiormente a rischio, considerato anche il prolungamento delle misure
restrittive nei primi mesi del 2021», si legge nella nota diramata dal Cncc. In assenza di tali misure, infatti, si potrebbe assistere già nel breve periodo a rilevanti e inevitabili conseguenze sull’
occupazione, stimabili in una riduzione del 20% dell’attuale forza lavoro diretta e indiretta impegnata nei centri commerciali (pari ad almeno 100 mila lavoratori).